L’altalenante stagione di Duncan Robinson

duncan robinson
Copertina di Marco D'Amato

Duncan Robinson ha mosso i primi timidi passi nella NBA a partire dalla stagione 2018/19, in cui è sceso in campo per i Miami Heat in 15 incontri raccogliendo 50 punti complessivi e tirando con un misero 29% da 3. Nessuno, però, si sarebbe mai immaginato che, una manciata di mesi dopo, il nativo di York sarebbe diventato uno dei migliori tiratori della lega, guadagnandosi quel posto nel quintetto degli Heat che dal lontano 7 novembre 2019 non ha più abbandonato.

Dopo un’annata da “rookie” da 13.5 punti di media con il 44.6% da 3 su 8.3 tentativi (cifre che ai playoffs sono diventate 11.7 punti con il 39.7% da 3 su 7.4 tentativi) che l’ha proiettato in cima agli scouting report di tutte le squadre avversarie, Robinson era chiamato a compiere un rapido passo in avanti nel suo sviluppo in entrambe le metà campo, forte dell’esperienza dell’anno precedente conclusa alle Finals.

Il percorso di miglioramento dell’ex-Michigan durante questa stagione non è stato lineare: a un primo momento molto positivo, ha fatto seguito uno diametralmente opposto, ma fortunatamente nella parte finale della stagione abbiamo potuto ammirare il miglior Duncan Robinson di sempre. Per questo motivo ho scelto di dividere la sua stagione in tre parti distinte, in modo da capire quali fattori abbiano avuto un ruolo chiave nella crescita del cecchino del Maine.

L’inizio di stagione

14 partite: 33.3 minuti, 14.5 punti, 47.8% FG%, 46.1% 3FG% (8.2 tentativi), 68.9% TS%, 1.8 falli

Duncan Robinson ha cominciato la stagione NBA 2020/2021 nel miglior modo possibile: le sue percentuali al tiro non hanno subito drastici cali causati dalla maggiore attenzione che le difese avversarie gli hanno riservato (sono addirittura aumentate a livelli irreali e, per certi versi, insostenibili), e di questo ne ha beneficiato enormemente lo spacing degli Heat. Con la difesa terrorizzata dai suoi movimenti lontano dalla palla, Robinson si è spesso ritrovato con due uomini a marcarlo, consentendo alla squadra di Spoelstra di giocare 4 vs 3 e di trovare comodi appoggi al ferro grazie anche alla spiccata abilità nel tagliare di gran parte dei membri del roster.

Robinson ha inoltre sfruttato le sue uscite dal blocchi per mettere palla a terra e attaccare il ferro, per poi concludere con un layup o servire il rollante una volta fatto scattare l’aiuto.

Queste soluzioni si erano già occasionalmente intraviste nella bolla di Orlando, ma nella prima parte della stagione il nativo di York ha saputo utilizzarle con una discreta continuità, aggiungendo al proprio arsenale una soluzione molto importante nelle situazioni in cui ha avuto un sostanziale vantaggio sul difensore che lo inseguiva.

Sebbene D-Rob sia un atleta decisamente sotto la media NBA, anche in difesa si sono visti timidi miglioramenti, soprattutto lontano dalla palla, situazione in cui le sue scarse doti fisiche impattano meno il suo rendimento. In queste prime 14 partite, infatti, è stato il leader degli Heat in sfondamenti subiti, segno di un’attitudine difensiva e di uno spirito di sacrificio encomiabili.

La parte centrale della Regular Season e il periodo pre-trade deadline

29 partite: 32.9 minuti, 11.6 punti, 38.9% FG%, 34.6% 3FG% (8.8 tentativi), 55.2% TS%, 2.7 falli

Lo spartiacque tra una prima parte di regular season positiva e una seconda piuttosto negativa è rappresentato da un trittico di partite consecutive (in cui gli Heat sono sempre usciti sconfitti) in cui Robinson ha tirato complessivamente 6/31 da 3 (19.4%), striscia che ha dato via al periodo più buio della sua giovane carriera NBA. La momentanea perdita dei suoi superpoteri da oltre l’arco ha influenzato notevolmente tutti gli altri aspetti del suo gioco, specialmente in fase difensiva, situazione in cui già a regime normale non è mai stato il migliore in campo.

La frustrazione di D-Bo, incapace di punire le difese con il suo mortifero tiro, gli ha fatto perdere lucidità e concentrazione in difesa, in cui ha esposto tutte le sue lacune in modo piuttosto evidente: nella difesa point of attack la sua mancanza di rapidità laterale e forza nella parte superiore del corpo gli ha impedito di rimanere davanti agli attaccanti e di contrastarne le penetrazioni al ferro.

Lontano dalla palla le cose non sono andate meglio, anzi: in queste partite è prepotentemente emersa una preoccupante tendenza di Robinson, ovvero quella di saltare su qualsiasi finta, spesso compromettendo le rotazioni difensive.

Anche nei closeout in cui non ha abboccato alle finte di tiro, la situazione non è migliorata, e la colpa è stata della sua scarsa reattività, che non gli ha consentito di chiudere le linee di penetrazione dell’attaccante.

Se a tutto questo, come se non bastasse, aggiungiamo il fatto che in certi frangenti abbia ecceduto negli aiuti o si sia staccato da ottimi tiratori per effettuare raddoppi, ecco che si ottiene uno dei peggiori difensori della lega, costantemente cercato dagli attacchi avversari, motivo per cui Robinson si è spesso trovato ad avere due falli a proprio carico dopo pochi minuti dall’inizio del match.

Nonostante ciò, il minutaggio di Duncan è rimasto pressoché invariato durante tutta la stagione: Coach Spoelstra, infatti, non ha mai potuto fare a meno del prodotto di Michigan University per troppo tempo, essendo l’unico giocatore degli Heat in grado di sorreggere lo spacing dell’intera squadra.

L’avvicinarsi della trade deadline, inoltre, non ha facilitato le cose al tiratore 27enne, che è spesso stato inserito in ipotetici pacchetti da spedire altrove in cambio di giocatori più quotati in grado aiutare nell’immediato Butler e Adebayo a risollevare gli Heat. Questa precarietà è pesata come un macigno su Robinson, che nelle 5 partite precedenti alla deadline, preoccupato di essere ceduto, è sembrato la brutta copia di sé stesso (11.8 punti con il 32.0% da 3 su 10.0 tentativi).

Il finale di stagione

29 partite: 29.1 minuti, 13.7 punti, 47.4% FG%, 44.7% 3FG% (8.4 tentativi), 67.4% TS%, 2.7 falli

Con la trade deadline finalmente alle spalle e con la sicurezza di rimanere a Miami almeno fino a fine stagione, nell’ultima parte della regular season Robinson è tornato immediatamente a essere quello di inizio stagione.

Una ritrovata fiducia al tiro gli ha permesso di tornare a punire le difese avversarie nei modi che abbiamo potuto vedere a inizio stagione: in uscita dai blocchi lontano dalla palla si sono rivisti sia i giochi a due con il rollante che iniziative personali chiuse con un layup al ferro, talvolta anche assorbendo efficacemente un contatto.

Inoltre, seppur sporadicamente, è emersa anche la capacità di Duncan di attaccare dal palleggio partendo da fermo, aspetto del suo gioco fino ad allora inedito.

Ma è stata la fase difensiva a beneficiare maggiormente di una ritrovata efficacia in attacco: per quanto non sia diventato un atleta di alto livello da un giorno all’altro, il fatto che Robinson sia rimasto concentrato e attento anche nella propria metà campo gli ha consentito di limitare il proprio matchup in modi che prima di allora non si erano mai visti, chiudendo con il proprio fisico le linee di penetrazione al momento giusto e mostrando anche un discreto tempismo per la stoppata (a cui è arrivato anche grazie alle sue lunghe leve).

La stessa cosa è successa alla difesa lontano dalla palla, situazione in cui il nativo di York è tornato a essere determinante, in particolare sulle linee di passaggio.

Per un tiratore di questo calibro, anche dopo un periodo difficile discretamente lungo, era lecito aspettarsi un’inversione di marcia piuttosto netta a un certo punto della stagione, ma il miglioramento in fase difensiva che Robinson ha mostrato nell’ultimo terzo di regular season è stato piuttosto inaspettato, ed è stato un pezzo importante verso un eventuale (e probabile) completamento del suo percorso di sviluppo.

Se dovesse portare a compimento il suo personale processo di “Joe Harrisizzazione“, Duncan potrebbe essere una delle colonne portanti dei Miami Heat per diverso tempo.

Bilancio complessivo e free agency 2021

In questi ultimi sei mesi i Miami Heat hanno potuto valutare Duncan Robinson sia nel suo miglior momento di forma che nel suo peggior periodo da quando gioca nella NBA. Personalmente ritengo che il bilancio complessivo non possa che essere positivo, soprattutto alla luce delle ultime prestazioni che fanno presagire che ci sia ancora del potenziale inespresso in lui. Inoltre, il ragazzo è un lavoratore instancabile, caratteristica che, unita all’ambiente competitivo in cui è cresciuto negli ultimi due anni, potrebbe consentirgli di diventare la sua miglior versione possibile.

Dopo due anni nell’élite dei migliori tiratori della lega, è giunta l’ora per Duncan di trasformare il proprio sudore in tanti biglietti verdi: ad agosto sarà unrestricted free agent, e per ora non ha fornito indicazioni su come si muoverà nella finestra estiva di mercato.

Gli Heat hanno i suoi bird rights e quindi potrebbero firmarlo anche andando oltre il salary cap, ma qui entra in gioco una questione importante: quanti soldi vale Duncan Robinson? Per farsi un’idea su un ipotetica cifra si può dare un’occhiata ai contratti firmati da Joe Harris e Dāvis Bertāns (due dei giocatori a cui D-Bo è stato maggiormente paragonato) durante la free agency 2020: la guardia dei Nets è rimasta a Brooklyn con un contratto quadriennale da 72 milioni complessivi, mentre il Lettone ha rinnovato con gli Wizards per ben cinque anni e 80 milioni. Come tipologia di giocatore Robinson è più simile ad Harris che a Bertāns, e, per quanto quest’ultimi abbiano reso al di sotto delle aspettative in questa stagione (rispettivamente ai playoffs contro i Bucks e in regular season) difficilmente D-Rob firmerà un contratto sotto i 16/17 milioni annui, a prescindere dalla squadra che glieli offrirà.

Non è un segreto che gli Heat vogliano tornare tra le contender già dal prossimo anno, motivo per cui rinnovare Robinson molto probabilmente sarà la priorità numero uno di Pat Riley; a differenza di Herro, Robinson è un giocatore quasi fatto e finito che ha dimostrato di saper reggere con continuità un ruolo di primo piano all’interno dello scacchiere di Coach Spoelstra, e che in una squadra che ha due non tiratori come stelle, è a dir poco essenziale per poter giocare in modo efficiente.

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Davide Possagno
Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.