Draft NBA for dummies

Draft NBA for dummies
Copertina di Matia Di Vito

Il draft NBA è materia complicata, quasi oscura. Dietro ad ogni scelta si cela un mondo di valutazioni, scouting, controlli sul background, modelli statistici, workout. Tra ogni scelta e il suo risultato finale un mondo di variabili. Per un fan NBA che si avvicina al mondo del draft e dello scouting ci sono tantissime dinamiche che possono risultare poco intuitive e immediate. Pur capendo che sarebbe impensabile costruire una guida omnicomprensiva, questo articolo si prefigge l’obiettivo di dare qualche strumento in più per comprendere ed approcciare in modo consapevole il draft.

Un gioco di probabilità

È d’obbligo partire da una regola per certi versi banale ma imprescindibile per approcciare il draft NBA in modo adeguato. Il draft è un gioco di probabilità. Serve abilità ed un’attenta preparazione, ma c’è una componente di imprevedibilità che può portare ai risultati più disparati ed inattesi.

Per questa ragione spesso giudicare una scelta solamente dal risultato finale, con il senno di poi, ad anni di distanza, senza considerare il processo che ha portato alla scelta stessa è ingiusto. Un processo di valutazione attento, minuzioso, eseguito con l’approccio giusto può portare comunque ad una scelta “sbagliata”.

Ci sono tantissimi esempi a suffragio di questa tesi. Giocatori che andavano scelti dove sono stati scelti ma che hanno avuto una carriera stroncata da infortuni imprevedibili, come ad esempio Oden o Fultz.

Ma anche semplicemente giocatori che sono stati giudicati correttamente, scelti per il loro upside da una squadra in cerca di talento, ma che semplicemente non hanno raggiunto quel livello sperato (per cui c’era un x% di probabilità di successo), i cosiddetti “swing” sul talento.

Fit o potenziale?

I più grandi dubbi e le più grandi discussioni nascono attorno a questo punto: scegliere il giocatore che può inserirsi meglio nella rotazione o il miglior prospetto disponibile? Ci sono varie scuole di pensiero e la risposta più corretta è ovviamente “dipende”, ma ci sono alcune linee guida che possono aiutarci.

In generale, la teoria del “Best Player Available” è quella più in voga tra le squadre NBA in ogni punto del draft. Questo per diverse ragioni: le squadre cambiano in fretta, i rookie generalmente non hanno un impatto positivo, il miglior giocatore disponibile ha comunque un “trade value” più alto e quella del fit generalmente è una pratica che può portare a grossi errori e rimpianti.

I Golden State Warriors che scelgono Wiseman alla 2 perché privi di un centro vero, lasciando scivolare LaMelo Ball alla 3, è un chiaro esempio di una scelta effettuata pensando maggiormente al miglior fit che ha portato a pessimi risultati.

Una squadra che non ha ancora a roster le proprie pietre angolari sceglierà sempre il miglior prospetto, quello con il potenziale maggiore, indipendentemente dal ruolo in cui gioca. Soprattutto se in lottery.

Ci sono state ovviamente delle eccezioni, squadre che, pur scegliendo in lottery, hanno puntato su profili con un ruolo ed un fit idoneo poiché avevano già le loro teoriche pietre angolari a roster. È il caso dei Phoenix Suns con Cameron Johnson ad esempio, una scelta che lasciò perplessi, ma era un prospetto che andava ad inserirsi perfettamente accanto a Booker ed Ayton.

College Basketball Heroes

Nonostante molte squadre collegiali stiano virando verso un approccio tattico molto simile a quello NBA, il basket che si gioca al college e quello che si gioca al livello superiore sono diversi. Differiscono a livello tattico, atletico, di costruzione del roster. Ne consegue che le skills e le caratteristiche fisiche che portano al successo a livello collegiale non si sovrappongono perfettamente a quelle utili per vivere e sopravvivere in NBA.

Capita spesso (è capitato anche a me, così come ad altri amici con cui mi sono confrontato per l’articolo) che lo spettatore NBA che si avvicina al mondo del draft resti spaesato e stranito dalla scarsa considerazione ricevuta da alcune delle stelle più entusiasmanti del basket collegiale. Come mai un lungo dominante con medie pazzesche riceve meno considerazione di un’ala limitata che tira solo da tre ed ha medie discrete?

Ci sono alcuni giocatori che prosperano in quella zona di differenza tra basket NBA e collegiale. Generalmente sono i giocatori ai due estremi dello spettro: i lunghi con una certa stazza ed uno skillset intero e le guardie più piccole.

Questi tipi di giocatori, per quanto possano essere decisivi a livello collegiale, hanno dei limiti fisici e tecnici che generalmente non permettono loro di farcela in NBA. Quindi le squadre NBA saranno più interessate ad un Olivier-Maxence Prosper per il suo potenziale da giocatore di ruolo che al Kendric Davis di turno.

Contratti garantiti e non

Questo punto è più tecnico che filosofico ma è importante per capire certe mosse che potrebbero apparire insensate.

Partiamo da un presupposto: le squadre sono vincolate ad offrire un contratto garantito con delle cifre in un range determinato dalla rookie scale ad ogni giocatore scelto al primo giro. Questi vincoli salariali non esistono invece per i giocatori scelti dalla trentunesima scelta in poi. Inoltre, con il nuovo CBA che entrerà in vigore dal primo luglio, le squadre potranno usufruire della Second-Round Pick Exception per firmare i giocatori al secondo giro con contratti da 3-4 anni, pur non avendo spazio salariale.

A parte alcune rare eccezioni, generalmente la differenza tra i giocatori disponibili per le ultime scelte del primo giro e quelli disponibili per le prime scelte del secondo giro è minima. La flessibilità concessa da una scelta al secondo giro rispetto ad un contratto garantito però non lo è e questa flessibilità può essere importante, soprattutto nel caso di contender con situazioni salariali delicate.

Quindi paradossalmente in tanti casi avere una delle primissime scelte del secondo giro risulta uno scenario migliore che avere una delle ultime del primo. La scelta numero 30 viene considerata a livello teorico peggiore della scelta numero 31.

Undrafted per scelta

Questo è un punto che generalmente stupisce i non addetti ai lavori ed è particolarmente importante per comprendere lo svolgimento del draft stesso e per non creare certe narrative che alla lunga possono risultare stucchevoli.

Alcuni prospetti, quando comprendono che le loro quotazioni non sono straordinarie e rischierebbero di venir scelti molto in basso al secondo giro, decidono deliberatamente di non essere scelti e lo comunicano preventivamente alle squadre.

Ma come?! Chi deciderebbe volontariamente di rinunciare ad una delle serate più magiche della propria vita e di non sentire il proprio nome chiamato su un palcoscenico così importante?

È una scelta certamente dolorosa ma molto pragmatica. Venendo scelti al secondo giro, i diritti su un giocatore appartengono alla squadra, ma il giocatore in questione non ha comunque garanzie su un futuro contratto. I giocatori che finiscono undrafted invece diventano automaticamente free agent, potendo decidere liberamente del loro futuro.

Molti giocatori, consigliati dai loro agenti, decidono di andare undrafted volontariamente per trattare con le squadre più adatte a loro o poiché hanno già accordi (motivo per cui tanti two-way vengono annunciati immediatamente dopo la fine del draft).

Sono principalmente speculazioni ma pare che nel draft dell’anno scorso molti prospetti abbiano deciso di andare undrafted da una certa scelta in poi, costringendo le squadre ad attingere dal gruppo di giocatori internazionali (che hanno tutto l’interesse ad avere i loro diritti in mano a qualche franchigia invece), con ben sei giocatori non americani chiamati tra le ultime dieci scelte.

Predraft e Smoke screen

Il processo che porta al draft è sempre molto movimentato, quasi caotico. Dopo i grandi eventi come il GLeague Elite Camp e la Combine in cui le squadre possono osservare da vicino i prospetti, generalmente inizia la girandola dei rumors e delle promesse.

I fans non attendono altro ma è sempre bene ricordare che ci sono tante parti con interessi diversi che scendono in campo in questo periodo che precede il draft. Tutte queste parti creano un “polverone” di rumors che può ingannare o spaesare l’osservatore meno esperto.

Agenti, squadre, giocatori possono cercare di distorcere la percezione generale diffondendo rumors falsi. Gli agenti e i giocatori intendono avere più esposizione possibile, soprattutto nel caso di giocatori nei range più bassi. I giocatori più quotati possono tentare di indirizzare la scelta verso la squadra che più li aggrada invece.

Le squadre infine hanno generalmente interesse a dissimulare le loro reali intenzioni con il cosiddetto “smoke screen“. Un esempio lampante di questa tecnica è la questione Jabari Smith Jr. – Paolo Banchero: per settimane il lungo da Auburn sembrava il favorito per la uno quando in realtà la scelta di Paolo Banchero non era sostanzialmente mai stata in discussione per i Magic a quanto pare.

La regola dei 20 giocatori

Nel processo che porta al draft è fisiologico entusiasmarsi ed innamorarsi di tanti prospetti. La cruda realtà è che mediamente da una classe draft escono circa una ventina di giocatori NBA.

Tutti vogliono trovare la stella o la “steal” a qualsiasi scelta, ma ogni analisi e valutazione dovrebbe partire da questo assunto: solo un giocatore su tre sarà un giocatore da NBA. Il primo obiettivo è quindi trovare questi 20 giocatori. Da lì poi, valutando il contesto di squadra, si può decidere se avere un approccio più o meno avverso al rischio.

Draft & Stash

Questo punto tratta una pratica attuata ormai da anni. La pratica del “Draft & Stash” consiste nel scegliere un giocatore che gioca in un campionato straniero con l’intento di lasciarlo a giocare all’esterno per alcune stagioni.

Ci sono varie ragioni alla base di questa pratica. Ovviamente si può semplicemente attuare per scegliere un giocatore che piace, ma che non si ritiene ancora pronto per il basket NBA, ma questa pratica può essere molto utile anche per questioni salariali. 

Ricollegandoci al punto sui contratti garantiti e non garantiti, questa pratica è stata utilizzata alcune volte per eludere i vincoli dati da una scelta al primo giro per esempio. Un celebre esempio è quello degli Spurs con Milutinov. Al draft 2015, gli Spurs avevano già in mente l’idea di firmare LaMarcus Aldridge e non intendevano scegliere un rookie americano che andasse ad occupare uno spot a roster e a rosicchiare quei milioni dal salary cap. Così scelsero un giocatore europeo con l’intenzione di NON firmarlo immediatamente.

Inoltre, il Draft & Stash è ormai diventato anche un modo utilizzato dalle squadre con tante pick per cercare di prolungare il valore di una scelta, non dovendo decidere subito il futuro del giocatore ma potendo mantenere i diritti su di esso per un periodo molto più lungo di quanto sia possibile con i giocatori in uscita dal college.

Il processo di scouting parte da lontano

Infine, bisogna ricordare che il processo dietro ad una singola scelta al draft generalmente richiede una preparazione pluriennale. La scelta al draft rappresenta il coronamento di un sogno lungo una vita per il giocatore ma in un business come quello NBA per le squadre può rappresentare un’importante tassello futuro o uno spreco milionario.

È chiaro che le valutazioni devono essere approfondite e niente deve essere lasciato al caso per quanto possibile. Noi appassionati di NBA, ci concentriamo sulla stagione o la carriera collegiale dei prospetti, ma esiste anche un sample precedente nel loro percorso.

Gli scout NBA generalmente seguono e conoscono da anni molti la maggior parte dei prospetti che si presentano al draft. Non ci sono solo le prestazioni al college ma anche all’high school, nei circuiti estivi, nei tornei con le nazionali giovanili e non. C’è molto di più oltre all’ultimo anno di basket giocato che rientra (o dovrebbe rientrare) nella valutazione di un prospetto NBA.

Un esempio lampante recente è quello di AJ Griffin. L’ala degli Hawks poteva sembrare un giocatore non particolarmente entusiasmante se consideriamo solo le sue prestazioni a Duke, un buon tiratore e poco più. Griffin però era un prospetto top alle scuole superiori, poi limitato da gravi problemi alle ginocchia. Il campione di basket giocato prima del college è comunque importante.

Oltre al basket giocato però ci sono ulteriori elementi utili. Generalmente una squadra NBA, soprattutto nel caso di scelte importanti, effettua un’ampia raccolta di “intel“, di informazioni sul passato e gli anni di formazione del giocatore. Quindi gli scout vanno ad informarsi da ex compagni di squadra, allenatori ma anche addirittura professori per riuscire a tratteggiare un profilo più accurato possibile del giocatore.

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Emiliano Naiaretti
Spurs, GLeague and draft @TheShotIT | Draft inebriated but lazy writer | Natural & environmental sciences (ANGRY) student