Com’è andato il Draft 2022

Draft 2022
Copertina di Matia Di Vito

La notte più attesa dell’anno non ha deluso le aspettative. Tra colpi di scena che hanno colto alla sprovvista anche insider come Adrian Wojnarowski, tra reach inaspettate in lottery e trade a sorpresa, anche il Draft 2022 è stato più che mai caotico ed elettrizzante.

Alla fine i giocatori chiamati da Adam Silver e Mark Tatum sono stati 58, con le seconde scelte di Miami e Milwaukee non effettuate a causa delle sanzioni per tampering. Con la redazione andiamo a vedere squadra per squadra come si sono comportate le franchigie NBA.

Orlando Magic

Dopo una stagione conclusa con 22 vittorie a fronte di ben 60 sconfitte gli Orlando Magic sono stati premiati dagli dei del basket con la prima scelta assoluta del Draft 2022, a discapito degli Houston Rockets e dei Detroit Pistons.

Contrariamente a quanto anticipato dall’insider ESPN Adrian Wojnarowski, il quale, a poche ore dall’inizio del draft, aveva annunciato che i Magic avrebbero probabilmente scelto Jabari Smith Jr. alla numero 1, la franchigia di Orlando ha deciso invece di puntare sull’italiano Paolo Banchero proveniente da Duke.

Se da una parte questa scelta non ha eccessivamente stupito esperti e tifosi, in quanto Banchero, come approfondiremo tra poche righe, è il prospetto ideale da inserire in questi giovani Magic, dall’altra il fatto che quest’ultimo non abbia svolto alcun workout per Orlando e non abbia nemmeno visitato le strutture della squadra prima della notte del draft, avrebbe potuto far sollevare qualche dubbio riguardante la volontà dei Magic di spendere la scelta numero 1 sull’ala italiana.

Nonostante ciò, gli Orlando Magic hanno preferito Banchero agli altri due pretendenti alla prima scelta assoluta, ovvero Chet Holmgren e Jabari Smith Jr. Per quanto, personalmente, un frontcourt composto da Franz Wagner, Wendell Carter Jr. e Chet Holmgren sarebbe stato molto interessante in entrambe le metà campo e sarebbe risultato un cheat code difensivo fin dal giorno zero (considerando che Holmgren sarebbe stato un netto upgrade rispetto a Mo Bamba), lo sconfinato repertorio offensivo di Paolo Banchero andrà a colmare una lacuna piuttosto importante nel roster di Orlando, ovvero l’assenza di un go-to-guy e di uno scorer in grado sia di portare punti che, in minor misura, creare per i compagni in situazioni di giochi rotti.

Per questo motivo, verosimilmente, Paolo sarà la principale opzione offensiva di questi giovani Magic fin da subito: la varietà di soluzioni di cui dispone per arrivare al ferro, punire dal midrange o dal post basso e aprirsi per tirare da oltre l’arco sarà una manna dal cielo per i suoi nuovi compagni di squadra, i quali, nell’ultima stagione e mezzo, a turno si sono dovuti improvvisare scorer/creatori di gioco ottenendo risultati non sempre buoni, per usare un eufemismo.

Nonostante questa mancanza di creazione palla in mano, molti dei giocatori a roster hanno un elevato feel for the game, sanno muoversi senza palla e hanno un’intelligenza cestistica superiore alla media, caratteristiche che li rendono potenzialmente molto complementari a Banchero, considerando anche che quest’ultimo è uno dei migliori passatori del draft.

Oltre alla scelta più alta del draft, i Magic disponevano anche delle pick 32 e 35; quest’ultima è stata spedita ai Los Angeles Lakers (con la quale hanno selezionato Max Christie) in cambio di soldi e una scelta futura al secondo giro, mentre con la 32 hanno scelto il freshman in uscita da Michigan Caleb Houstan, ala molto lunga e classico prototipo del giocatore 3&D da sviluppare.

Nonostante Houstan abbia caratteristiche che si incastrano bene con i giocatori a roster, il fatto che il reparto ali/lunghi sia piuttosto affollato (ricordiamo che dovrebbe tornare in campo anche Jonathan Isaac) potrebbe relegarlo alla GLeague per tutta la prossima stagione, in attesa di avere più indicazioni sia su di lui che sul resto della squadra.

Oklahoma City Thunder

Presti si presentava al draft forte delle scelte 2, 12 e 34, dopo aver ceduto ai Denver Nuggets la 30 in cambio di una prima futura e di JaMychal Green. Quando Paolo Banchero è stato chiamato alla uno, i Thunder hanno sfruttato l’occasione per assicurarsi i servizi di Chet Holmgren, unicorno da Gonzaga in cima alla loro board.

Chet è un centro di 215cm con oltre 230cm di wingspan, e difensivamente rischia di essere un cheat code. Non tanto per l’elevatissimo numero di stoppate realizzato al college, quanto per il fatto che la sua presenza innalza la qualità difensiva di una squadra in modo incalcolabile.

Chet è un ottimo deterrente al ferro, ed è difficile da attaccare in post perché è molto competitivo e tiene bene la posizione, nonostante sia fisicamente un anno indietro rispetto a quanto dovrebbe. Con lui in campo, Gonzaga ha concesso il 42% al ferro e il 29% dalla media, senza di lui il 50% e il 35%.

Chet in attacco è un ottimo tiratore da tre, anche e soprattutto dalla punta, sa tagliare e realizzare su alley oop, sa smarcarsi e trovare appoggi al ferro. OKC trova il lungo di cui aveva bisogno per la fase difensiva e migliora delle spaziature abbastanza tragiche.

Alla 12 i Thunder scelgono a sorpresa Jalen Williams da Santa Clara, prototipo dell’ala dribble, pass, shoot che si vede molto ultimamente al draft: si pensi a Moses Moody, Franz Wagner, ma anche a Desmond Bane. Jalen ha sfiorato il club 50-40-80 al college ed è un eccellente tiratore, soprattutto in catch and shoot, situazione in cui ha segnato il 48% dei canestri dall’arco. Può punire la drop coverage sul pick and roll tirando dal palleggio, e in queste situazioni sa creare molto bene per i compagni.

Il feel for the game è tra i migliori della classe ed è un giocatore intelligente con e senza palla. Preoccupa un po’ la difesa PoA, visto l’atletismo non eccezionale, tuttavia i 220cm di apertura alare gli consentono di contestare efficacemente i tiri avversari. Inoltre, l’IQ cestistico in attacco gli permette di leggere molto bene cosa fare sui pick and roll in difesa. I Thunder vanno quindi su un profilo pronto, utilissimo a migliorare le spaziature.

Presti ha poi preso Ousmane Dieng dai New York Knicks, vincendo un braccio di ferro con Cleveland, mentre sembra che persino NOLA abbia valutato il francese alla 8. Il prezzo sono tre prime protette – di Detroit, Denver e Washington, sostanzialmente il ricavato delle trade Şengün e Jerami Grant – per la 11. Presti era innamorato del profilo di Dieng e non ha esitato a pagare bene il prospetto in uscita dalla NBL. Dieng ha faticato molto in Australia, salvo esplodere nelle ultime 12 partite, in cui ha realizzato 13.3 punti col 48% dal campo e il 36% da tre.

Fin dall’inizio Dieng si è contraddistinto come ottimo difensore on ball: enorme con i suoi 208cm, non ha avuto problemi a stare sulle guardie, molto mobile e sveglio nel contestare i tiri, e intelligente anche in situazioni di aiuto. Ha mostrato buoni istinti da passatore e un ball-handling sopra la media del ruolo, ma soprattutto sul secondo aspetto dovrà lavorare per la NBA.

Inoltre è un ottimo atleta, ma manca di forza per concludere nonostante il contatto. Ha un buon footwork e un discreto tocco, ma le percentuali da tre non sono incoraggianti, benché sia migliorato a stagione in corso e sappia tirare dal palleggio. Deve lavorare molto sul fisico e sulla maturità cestistica, ma rischia di diventare un asso difensivo con upside in attacco, insomma un giocatore estremamente utile per la NBA moderna.

La scelta 34 di Jaylin Williams sembra un po’ un doppione di Jeremiah Robinson-Earl: centro undersized molto sveglio nei passaggi, ottimo in difesa nel subire sfondamenti e con un tiro in fase di sviluppo. Forse qui Presti poteva trovare qualcosa di meglio.

Houston Rockets

Il GM Rafael Stone si presentava al draft forte della scelta numero 3, della numero 17 da Brooklyn e della numero 26 da Dallas. Potendo scegliere per il secondo anno di fila in top 3, una rarità persino per una squadra che sta tankando, Stone si è assicurato il prospetto che è rimasto del trio dei migliori, Jabari Smith Jr. Il prodotto di Auburn è una bellissima presa, che aggiunge a Houston taglia sugli esterni in difesa, capacità di switch e il tiro da tre più puro dell’intera classe.

Jabari è infatti un tiratore eccezionale per volume e difficoltà delle conclusioni che si prende, spesso in testa agli avversari. Il suo limite è per il momento il ball-handling e la creazione palla in mano, ma a 19 anni avrà tempo per lavorarci e ha la stoffa per diventare un All-Star.

Interessante anche la scelta di Tari Eason alla 17. L’ex LSU è un’ala tra le migliori nella classe per capacità di switch, con una wingspan infinita e una competitività folle. Maestro del pressing a tutto campo e nel creare caos, potrebbe rappresentare una coppia difensiva da incubo con Jabari Smith ed eventualmente Usman Garuba. Tari è un giocatore molto forte fisicamente, con un tiro in fase di sviluppo e in generale è un atleta sopra la media.

Il problema principale è l’eccessiva foga con cui gioca, è arrivato a commettere 7.7 falli per 100 possessi nelle gare che contavano qualcosa al college. Doveva infatti partire dalla panchina per evitare di uscire subito per falli e non ha giocato molti minuti a gara per lo stesso motivo. Se i Rockets sapranno disciplinarlo, potrebbero anche scoprire una gemma da All-Defense.

Che dire poi della scelta di TyTy Washington, acquisito alla 29 con tanto di due seconde mandando Wendell Moore a Minnesota. Il prodotto di Kentucky è un ottimo passatore e giocatore di pick and roll, e ha un jumper affidabile, cosa che lo rende un interessantissimo creatore secondario da affiancare a Jalen Green, dato il fallimento della coesistenza con KPJ.

TyTy ha un’ottima gravity sul tiro, affidabile, ma ha peccato in atleticità e non ha impressionato nell’andare al ferro, mettendo molto poco sotto pressione le difese in quel frangente. Considerato che sarà Jalen Green a occuparsi di quello, la scelta di Washington sembra molto azzeccata. Il lavoro di Stone è stato ancora una volta ottimo al draft.

Sacramento Kings

Jaden Ivey non ha voluto saperne dei Kings prima del draft e allora McNair ha scelto Keegan Murray, un ottimo prospetto, complemento perfetto sulle ali di una squadra che vuole puntare in alto. Murray è un ottimo scorer, un ottimo tiratore, un buon difensore, un giocatore intelligente e sa andare benissimo al ferro.

Il problema è che il potenziale di Murray non è quello di un All-Star e prenderlo alla 4 è una reach, soprattutto considerato chi è stato scelto dopo. Jaden Ivey ha molto più talento e una convivenza con Fox sarebbe stata pensabile ma, anche qualora avesse messo un veto totale sui Kings, è incomprensibile non riuscire a fare trade down e ricavare almeno qualcosa.

Molto probabilmente Murray non sarà un bust, ma è altrettanto probabile che Sacramento abbia passato sull’ennesimo All-Star.

Detroit Pistons

L’allievo di Sam Presti Troy Weaver ha scelto benissimo al draft, approfittando di Sacramento per prendere un complemento perfetto per Cunningham in Jaden Ivey. La guarda di Purdue sa giocare molto bene off ball, e dà una dimensione atletica incredibile a Detroit, che compie un passo molto avanti verso la competitività.

Riuscire a scegliere anche Jalen Duren, giovanissimo centro dai mezzi atletici devastanti è un colpo da maestro di Weaver, che ha speso un prima e quattro seconde per accaparrarsi un talento interessantissimo, pur con limiti di comprensione del gioco.

Infine la scelta di Procida, che rimarrà in Europa per uno o due anni, potrebbe tornare utile per avere una potenziale ala 3&D, giocatori indispensabili nella NBA moderna. Il dubbio è piuttosto sulla convivenza con Isaiah Stewart e su un eventuale arrivo di Ayton, ma Detroit ha ceduto il contratto di Grant per ritrovarsi con due talenti potenzialmente generazionali e un cap space disponibile per un max. Difficile fare meglio.

Portland Trail Blazers

Analizzare i movimenti di Portland durante la notte del draft 2022 è piuttosto complesso, dal momento che la strategia della dirigenza è stata da molti definita come non perfettamente allineata al percorso portato avanti per tornare subito competitivi per un posto playoff nella stagione 2023.

Le scelte numero 7 e 57 hanno portato in dote a coach Chaunchey Billups i nomi di Shaedon Sharpe e Jabari Walker, mentre la scelta 36 (trasformatasi poi nel nostro connazionale Gabriele Procida) è finita a Detroit, probabilmente come ulteriore compensazione dell’affare Grant, acquisito per la prima scelta 2025 dei Milwaukee Bucks poco prima del draft.

Shaedon Sharpe rappresenta il principale oggetto misterioso del draft appena concluso e la decisione di Portland di selezionarlo appare difficilmente decifrabile. La scelta di prendere Grant, sfruttando la trade exception e lo spazio salariale generati dalla trade di CJ McCollum alla deadline, faceva pensare a una dirigenza in modalità win now, tanto che molti avevano ipotizzato la possibilità di trade down o trade out dalla 7 per ricevere qualche veterano pronto da utilizzare per tornare subito ai playoff.

La scelta invece è rimasta a Portland ed è stata spesa per un giocatore ben lontano dall’essere considerato pronto ad entrare in una rotazione NBA con un ruolo importante, essendo Sharpe fermo da un anno dopo essersi riclassificato all’high school ma non aver mai giocato al college a Kentucky. Il rookie dei Blazers non ha inoltre impressionato nelle interviste con le squadre, mostrandosi poco pronto sulla composizione e le caratteristiche dei roster e quasi supponente coi giornalisti.

Questo atteggiamento, unito al fatto di non aver mai potuto vedere Sharpe giocare del basket competitivo, lo avevano reso uno dei possibili nomi in crollo della notte del draft, ipotesi smentita proprio della scelta di Portland.

Sharpe è un’ala di 198 centimetri, con un fisico abbastanza pronto per la NBA e una verticalità molto spiccata. Nonostante il mistero che ruota attorno al giocatore, gli scout sembrano aver individuato dei pregi e dei difetti abbastanza evidenti nel suo gioco. I pregi riguardano la sua capacità di giocare lontano dalla palla, grazie ad un tiro promettente e all’atletismo che lo contraddistingue, rendendolo una minaccia anche su tagli e lob.

I difetti riguardano principalmente le sue apparenti difficoltà nel battere l’uomo in 1vs1 dal palleggio, sia per mancanza di un primo passo bruciante che di un ball handling funzionale al creare dei vantaggi. Idealmente Sharpe potrebbe essere un ottimo complemento per Lillard e Simons ma appare fuori dalla timeline della storica stella dei Portland Trail Blazers, al ritorno in forma del quale si legano molte delle speranze della franchigia di tornare competitiva.

La scelta risulta essere quindi difficilmente comprensibile, anche se è possibile ipotizzare che la dirigenza avrebbe provato a puntare su i due profili più pronti fuori dai “Big 3” del draft, ossia Keegan Murray e Ben Mathurin, chiamati però rispettivamente alla 4 e alla 6, se fossero stati ancora disponibili alla 7.

Jabari Walker invece si presenta a Portland come potenziale steal of the draft, essendo stato considerato da alcuni scout valevole di una scelta a fine primo giro in fase pre-draft. Walker è un’ala in uscita da Colorado con un profilo interessante dal punto di vista difensivo, sceso nelle board a causa di una prima parte di stagione disastrosa al tiro.

Dopo una stagione da freshman conclusa con percentuali fantasmagoriche dalla lunga distanza (oltre il 50%) in una versione di Colorado di più alto livello rispetto alla versione 21/22, la stagione da sophomore ha visto un inizio estremamente difficile e poi un rilancio negli ultimi mesi, con le percentuali che da febbraio hanno raggiunto il 45.7% da 3 su quasi 4 tentativi a gara.

Walker ha le potenzialità per diventare un ottimo role player, sulla scia di quelle ali versatili in difesa e capaci di allargare il campo in attacco che oggi stella dell’NBA vorrebbe al suo fianco, e prenderlo alla 57 è stata un’ottima mossa della dirigenza di Portland. Nonostante ciò, la mancanza di una squadra di G League affiliata ai Trail Blazers e un development staff non di primissimo livello potrebbero minare la qualità del suo sviluppo, come potrebbe succedere per altri giovani a roster.

New Orleans Pelicans

Rimane difficile trovare un fit migliore di quello tra Dyson Daniels e NOLA. Il prodotto di Team Ignite garantisce copertura difensiva al backcourt guidato da McCollum, e sa creare molto bene offensivamente. Come tipologia di giocatore ricalca i connettori che si vedono sempre più spesso negli ultimi draft, come Haliburton o Giddey.

Dovrà lavorare sul tiro, ma lo staff di New Orleans è il migliore della lega da quel punto di vista. L’IQ cestistico di Daniels e uno Zion in salute potrebbero lanciare la franchigia della Lousiana verso alte vette, e sarebbe anche ora.

La scelta di EJ Liddell alla 41 è molto interessante. Liddell è uno di quei giocatori che sa fare tutto in campo ed è migliorato molto al tiro e in difesa, e potrebbe anche trovare minuti sulle ali. Lo stash di Matkovic con la 52 è un’altra scelta logica, per non portare troppi giocatori giovani in una squadra che deve salire di qualità.

San Antonio Spurs

Se nella scorsa stagione eri un freshman giovane, sei stato produttivo e hai dimostrato quantomeno una base discreta di skills su cui costruire, avevi ottime possibilità di trovarti molto in alto nella board dei San Antonio Spurs per il draft 2022.

La direzione scelta dalla dirigenza dei neroargento per questo draft è stata molto chiara: vogliamo giocatori giovani e talentuosi, anche a costo di buttare qualche scelta, perché questo è il modo giusto per tentare di uscire dalla “palude” della mediocrità NBA.

La scelta di Jeremy Sochan, ala freshman dei Baylor Bears, oltre che rientrare in quest’ottica, è anche una scelta che rispecchia la “Spurs Culture”. Sochan è un giocatore concreto, intelligente, che fa della difesa il suo punto forte più che delle giocate offensive da highlight. Oltre a queste caratteristiche prettamente tecniche, Sochan si autodefinisce giustamente “un cittadino del mondo”, essendo di origini polacche (nazionale che rappresenta), avendo trascorso tutta l’infanzia in Inghilterra ed essendo ovviamente anche statunitense.

Branham invece è una guardia di 196cm che nel suo unico anno ad Ohio State ha dimostrato un grande potenziale per la sua versatilità al tiro, avendo ottime percentuali da ogni zona del campo ed essendo promettente nel tiro dal palleggio. In questo caso, la raccolta di informazioni sul background è stata cruciale nella scelta. Infatti, gli Spurs sono stati facilitati dal fatto che uno dei coach dello staff di Ohio State era compagno di scuola e amico del GM Brian Wright. Sono stati quindi convinti dal fatto di poter contare su informazioni sicure.

Infine, Wesley è forse la scelta più dubbia ma che segue comunque la linea decisa per le altre scelte. Parlando con alcuni amici americani ed esprimendo i nostri dubbi sul Wesley, tempo fa uscì la descrizione “an athletic mess”. Un disordine atletico quindi, una descrizione che rappresenta efficacemente quello che è Wesley al momento: una guardia atletica, dai grandi flash di potenziale e dagli altrettanto grandi difetti e cattive abitudini.

In generale, per quanto siano giocatori diversi, a qualcuno ricorda Dejounte Murray rookie per le cattive tendenze simili e per i dubbi che si portano dietro. Il lavoro dello staff ha funzionato con Dejounte. Chissà…

La decisione di scambiare la trentottesima scelta dimostra consapevolezza e la volontà di non voler mettere troppa carne al fuoco, soprattutto se consideriamo che probabilmente avevano già un accordo con Dominick Barlow, vista la sua firma quasi immediata da undrafted poco dopo il draft.

Tutto considerato, è impossibile non dare un voto positivo al draft degli Spurs semplicemente perché hanno fatto quello che dovevano fare in questo punto del rebuilding e in questo momento della timeline: puntare ad aggiungere più talento possibile.

Washington Wizards

Johnny Davis è la guardia che mancava nel backcourt a Washington da diversi anni. Difensore senza alcun senso nel passare sopra i blocchi, è stato un ottimo scorer a livello collegiale, ma ha faticato al tiro da tre anche e soprattutto perché le spaziature di Wisconsin erano pessime.

Johnny è un ragazzo molto competitivo e dovrà cambiare il suo modo di giocare per adattarsi a Beal, ma potrà coprirlo difensivamente. Inoltre, la sua capacità di andare al ferro e di concludere attraverso il contatto è ottima, così come l’abilità di creazione. Un buon fit per un ottimo talento.

Ci sta anche la scelta di Nzosa, lungo che ha un po’ deluso in Spagna, ma che è giovanissimo e avrà modo di crescere prima in Europa, per poi lanciarsi negli Stati Uniti.

Charlotte Hornets

Il draft degli Charlotte Hornets è caratterizzato da qualche mossa confusionaria, e per questo motivo è giusto entrare nel dettaglio per cercare di comprendere quali siano state le motivazioni della dirigenza nell’indirizzare il proprio operato.

Gli Hornets erano in possesso di tre scelte: due nel primo giro (#13 e #15) e una al secondo (#45). Tuttavia, le recenti decisioni societarie facevano intuire un’impossibilità di aggiungere tre matricole alla formazione dello scorso anno per una più impellente necessità di competere nella prossima stagione. Per questo motivo, la dirigenza ha optato per lo scambio della tredicesima scelta assoluta.

Nonostante ci fossero due talenti cristallini ancora disponibili (AJ Griffin e Jalen Duren), gli Hornets hanno imbastito una trade con i Detroit Pistons che ha portato nel Michigan Jalen Duren e in North Carolina una prima scelta futura (Denver 2023) e quattro scelte al secondo giro appartenenti a varie squadre.

Subito dopo Charlotte si è trovata con a dover effettuare la scelta numero #15 e ha optato per la chiamata di Mark Williams, centro in uscita da Duke che ben si incastra con le necessità posizionali e tecniche della squadra. Williams è un profilo che garantirà sicuramente una forte presenza difensiva a protezione del ferro: elemento in cui il roster era molto carente e su cui si basa l’idea di difesa di Steve Clifford, neo allenatore dei calabroni.

Questa duplice operazione ha lasciato l’amaro in bocca essenzialmente per due motivazioni. La prima riguarda il ritorno ottenuto in cambio della scelta numero #13: il pacchetto offerto da Detroit sembra essere poco accattivante, soprattutto se considerato in relazione agli altri movimenti visti all’interno della nottata NBA. Il secondo punto di discussione riguarda invece la scelta di Mark Williams.

Il giocatore è sicuramente di buon livello e farà molto comodo per le necessità impellenti della squadra, tuttavia non era il miglior talento disponibile in quella posizione di scelta (AJ Griffin era ancora libero): gli Hornets avrebbero dovuto aumentare il livello di talento complessivo della squadra senza pensare troppo al fit.

La sequenza appena descritta ha lasciato perplessi molti osservatori. Per completezza di informazione, è giusto citare come nei giorni precedenti al Draft proprio Jalen Duren ha deciso di cancellare un allenamento privato con gli Charlotte Hornets e come lo stesso sia stato dall’inizio della fase dei workout molto interessato ad approdare a Detroit. Questo ha sicuramente condizionato il potere contrattuale degli Hornets, già minato dalla conosciuta necessità all’interno della lega di doversi liberare di almeno di una delle due scelte al primo giro.

Nel corso del secondo giro è arrivata un secondo scambio. Charlotte è salita dalla numero #45 alla #40 dando una seconda futura ottenuta nel pacchetto precedente ai Minnesota Timberwolves per assicurarsi le prestazioni sportive di Bryce McGowens, guardia in uscita da Nebraska.

Questa aggiunta non sposta l’equilibrio della squadra e addolcisce solo leggermente il gusto di questo Draft per i tifosi degli Hornets, che ora attendono con trepidazione l’inizio della free agency per capire se la direzione ad oggi confusa possa farsi man mano più chiara.

Atlanta Hawks

Per il secondo anno consecutivo, Atlanta sceglie un prospetto che era dato in piena lottery e che invece è calato nella notte del draft. AJ Griffin è un tiratore eccezionale e ha un profilo fisico interessante, ma è martoriato dagli infortuni da un paio d’anni e le sue condizioni mediche non hanno convinto molto le squadre in lottery.

I flash di creazione palla in mano sono però interessantissimi, il 45% dall’arco è una sentenza, ma in difesa il 19enne ha faticato moltissimo on ball, dove è stato battuto spesso e volentieri dal palleggio. Considerato che avrà bisogno di spazio e tempo per crescere e che Atlanta in teoria vorrebbe competere ad alto livello, non è la miglior scelta possibile per il presente, ma potrebbe esserlo per il futuro.

Tyrese Martin invece è un senior scelto alla 51 dal limitato potenziale, che dovrà stupire per entrare in rotazione.

Indiana Pacers

Partiamo dall’inizio, dalla scelta numero 6. Forse più di qualcuno si aspettava di vedere Mathurin scelto un paio di scelte più giù, con i Pacers magari indirizzati su una scommessa diversa. Mathurin però è idealmente molto adatto a giocare accanto al resto del nucleo giovane dei Pacers, con quel suo skillset da “3&D” (per quanto sia una definizione spesso inesatta e limitante, è molto immediata), e offre comunque anche ulteriore potenziale a livello di creazione e ulteriori margini da smussare a livello difensivo. Sembra essere un buon compromesso tra fit e potenziale.

Andrew Nembhard invece non sembra avere un grande potenziale ma è già ad oggi un buon giocatore di basket ed è una scelta fatta con un chiaro obiettivo in mente: andare a riempire quel buco tra le guardie che andrà a crearsi dopo la partenza di Brogdon, che sembra essere sempre più incombente. Nembhard è un ottimo floor general, con una buona taglia e senza grossi difetti a livello di scoring, insomma uno che dovrebbe essere pronto al gioco NBA relativamente presto.

Kendall Brown rappresenta invece la scommessa sul giocatore grezzo ma con potenziale. Il prodotto di Baylor è un’ala con taglia ed è un ottimo atleta che dovrebbe sposarsi bene con l’idea e l’intenzione dei Pacers (e della “mente” Haliburton) di correre molto, andando a creare molte situazioni di gioco rotto e di transizione. Per il resto, Brow ha ancora tanti difetti: dipende molto da qualcuno che gli crei opportunità in attacco, il palleggio non è straordinario, non è un buon tiratore, la difesa è spesso disattenta.

In generale, i Pacers hanno dimostrato una buona consapevolezza di ciò che hanno già roster e di cosa vogliono aggiungere ad esso per creare una squadra con un senso e un’idea di fondo, cosa non scontata per una squadra al primo draft di un rebuilding.

Minnesota Timberwolves

La franchigia delle Twin Cities si presentava al draft dotata di quattro scelte (#19, #40, #48 e #50) e della presenza di Tim Connelly, freschissimo di assunzione come President of Basketball Operations e rinomato all’interno della lega proprio per la sua abilità nel saper valutare e scegliere i giovani giusti.

L’operato della “nuova” dirigenza dei Timberwolves è classificabile come la più classica delle mixed bag: ottimo dal punto di vista della gestione degli asset e dei movimenti delle scelte, però allo stesso tempo apparentemente mediocre nell’effettiva selezione dei giocatori che il prossimo anno vestiranno la maglia di Minnesota.

Lasciando da parte le indiscrezioni su D’Angelo Russell – che era dato tra i possibili partenti durante la notte del draft ma il cui mancato scambio non equivale affatto a una permanenza certa – le voci più insistenti davano i Timberwolves molto attivi sul mercato dei centri veterani, lasciando presupporre che Connelly e il suo staff volessero aggiungere stazza al roster, una caratteristica che era fatalmente venuta a mancare durante la scorsa stagione.

Dopo aver fatto trade down fino alla 22 grazie a uno scambio con Memphis, Minnesota ha optato quindi per Walker Kessler, lung(hissim)o da Auburn con una storica stagione difensiva alle spalle. L’ex compagno di Jabari Smith ha terrorizzato gli attaccanti avversari al ferro, totalizzando 4.6 stoppate per partita e un folle 19.1% (miglior dato dal 2008 ad oggi) di block percentage.

Kessler ha dalla sua – oltre a due braccia infinite e i già citati istinti superbi da stoppatore – un’ottima capacità di muovere i piedi rispetto alla taglia, e in attacco probabilmente sarà in grado di rendersi utile già da subito come bloccante e come minaccia nei pressi del ferro, ma i punti di domanda su come il suo skill set si adatterà al piano di sopra sono parecchi.

Contro i giocatori NBA sembra chiaro come, almeno per i primi tempi, Kessler sarà utilizzabile solamente in una difesa drop, che però non è adottabile dai Timberwolves per mancanza di giocatori adatti, soprattutto tra gli esterni. Inoltre risulta difficile immaginare una possibile convivenza per più di qualche minuto sporadico tra il prodotto di Auburn e Karl-Anthony Towns, che però pare essere nei piani di Minnesota.

Con la scelta numero 26 invece è stato selezionato Wendell Moore Jr., junior da Duke con la nomea di giocatore intelligente e potenzialmente molto utile come role player. Moore è un 2/3 che al college si è guadagnato da vivere grazie alla sua difesa e alle sue abilità a livello di playmaking, ed è facile capire cosa abbiano visto i Timberwolves in lui.

Pur senza un atletismo straripante, Moore è bravo a usare il corpo e le braccia lunghissime nella sua metà campo e sa rendere la vita difficile ai ball-handler avversari, oltre ad andare bene a rimbalzo. In attacco è un giocatore intelligente e con ottima capacità di capire il gioco, oltre ad aver tirato con buone percentuali da fuori – specialmente dagli angoli – nonostante il volume sia esiguo (41.3% su 3.2 tentativi a partita).

I motivi di preoccupazione però ci sono, a partire proprio dallo scoring: sui pick and roll i difensori di Moore non avevano paura a passare dietro al blocco, scommettendo sulla sua incapacità di segnare costantemente dal palleggio e facendo leva su una meccanica di tiro troppo rigida, oltre al fatto che l’ex Duke non ha l’atletismo o la forza fisica per andare con costanza al ferro.

Tendenzialmente, quando si fa difficoltà a creare vantaggio con costanza, le abilità da passatore diventano più difficili da utilizzare a proprio vantaggio, perciò Moore dovrà innanzitutto affinare questo aspetto del suo gioco per poter avere una proficua carriera NBA. Inoltre sarà curioso capire come saprà adattarsi alla velocità dei pariruolo professionisti, soprattutto quelli con un primo passo bruciante.

Alla scelta numero 45 è arrivato il turno di Josh Minott, freshman da Memphis che ha messo in mostra atletismo e istinti straordinari ma allo stesso tempo di essere totalmente grezzo. Non si sa ancora che tipo di contratto firmerà, se un two-way o un pluriennale a costi contenuti, ma salvo sorprese Minott dovrà godersi le bellezze dell’Iowa – dove ha sede la squadra di G League degli Wolves – per almeno tutta la prossima stagione.

La scelta numero 50 è stata utilizzata invece per l’italiano Matteo Spagnolo, di proprietà del Real Madrid ma che quest’anno si è fatto le ossa a Cremona; come preventivabile, Tim Connelly ha già confermato che Spagnolo passerà almeno anche la prossima stagione in Europa, così da continuare con il proprio sviluppo.

Globalmente si è quindi trattato di un draft approcciato con l’intento di cercare giocatori più “esperti” (Kessler e Moore sono nati nello stesso anno di Anthony Edwards, che a breve comincerà il suo terzo anno in NBA) e capaci di aiutare la squadra nelle piccole cose, invece di cercare il potenziale fenomeno con alta probabilità di fallimento.

Il risultato però ha lasciato diversi tifosi dei Timberwolves – e chi vi scrive non fa differenza – con un po’ di amaro in bocca, dato che Moore e soprattutto Kessler portano con sé diversi punti interrogativi a cui non sarà facile trovare una risposta. Allo stesso tempo però sappiamo che il giudizio finale lo darà il campo, e la storia ci insegna che criticare le scelte di Tim Connelly in sede di draft non è affatto saggio.

Denver Nuggets

Draft dolceamaro per i Denver Nuggets, i quali sono riusciti ad ottenere dei prospetti che coprono alcune delle lacune del roster e ben si sposano con il gioco di Malone, ma a un costo decisamente elevato.

Una settimana prima del draft, JaMychal Green, veterano in grado di fornire solidi minuti anche ai playoff, è stato ceduto assieme alla scelta al primo giro del 2027 (protetta top 5) agli Oklahoma City Thunder in cambio della pick numero 30 e due scelte future al secondo giro. Scambio non esattamente vantaggioso per la franchigia del Colorado.

Questa mossa tuttavia sembrava poter essere funzionale al raggiungimento dell’obiettivo di Denver, ovvero risalire posizioni al draft in cerca di Johnny Davis, guardia two-way da Winsconsin. Fallito il trade-up era importante portare a casa un difensore PoA sulle guardie di buon livello e un centro di riserva che potesse garantire della versatilità difensiva e sostituire il fu DeMarcus Cousins.

Con la prima scelta a disposizione Booth ha selezionato Christian Braun, wing di due metri circa che copre il primo bisogno presentato: a Kansas (vincitrice del torneo NCAA) ha mostrato ottima mobilità laterale, foga agonistica, intelligenza lontano dalla palla e mezzi atletici molto sottovalutati. Allo stesso tempo Braun è un tiratore più che rispettabile in situazioni di spot-up, attacca molto bene i closeout ed è decisamente pericoloso in transizione e da tagliante. Un ottimo gregario da affiancare a Jokić.

Ismael Kamagate invece è il lungo che Denver cercava: nonostante sia ancora poco disciplinato ed in generale molto grezzo (non a caso rimarrà ancora una stagione a Parigi), ha dimostrato di poter essere molto impattante difensivamente, tanto da vincere il DPOY della massima lega francese a soli 21 anni. Ottimo draft quindi? Non proprio, l’inghippo sta nel come sono arrivati questi giocatori.

Braun probabilmente era il miglior fit per Denver una volta sfumato Davis, ma altrettanto probabilmente sarebbe potuto scendere fino alla #30, con la possibilità quindi di sfruttare la #21 su un giocatore di maggiore potenziale. Kamagate sorprendentemente è scivolato fino alla #46 ed è stato acquisito in corsa d’opera spendendo una scelta al secondo round nel 2024.

Con l’ultima chiamata del primo giro Denver ha selezionato Payton Watson, ala da UCLA. Watson è un altro prospetto difensivamente intrigante, il problema è che da qualsiasi insider e scout veniva proiettato almeno venti chiamate più in basso a causa dell’immaturità offensiva. Una reach decisamente importante, forse sarebbe stato addirittura possibile firmarlo direttamente da undrafted.

Insomma, il bottino non è male, ma gli asset spesi potevano essere investiti sicuramente meglio. Negli small market quando si prova a costruire una squadra in grado competere per il titolo si possono commettere pochissimi errori, ma l’impressione è che i Nuggets in questa sessione draft ne abbiano commessi un paio.

Memphis Grizzlies e Philadelphia 76ers

Memphis si presenta all’ennesimo draft con un’aggressività altissima. Kleiman ha forzato la trade per prendere il suo pupillo LaRavia alla 19. Il 20enne di Wake Forest sa fare tutto su un campo da basket, è estremamente intelligente, ha un mano educata e sa difendere ad alto livello: basti pensare che Paolo Banchero non è riuscito a batterlo dal palleggio, mentre non si può dire lo stesso del contrario.

Memphis poi ha rischiato una reach su David Roddy da Colorado State, un altro prototipo delle ali dribble, pass, shoot, che ha stupito al college con una mano educata da tre e un atletismo sottovalutato. Roddy ha creato molto bene per i compagni e trascinato al torneo NCAA i suoi, ma non ha convinto in difesa alla combine. Memphis l’ha preso cedendo Melton ai 76ers, che trovano il sostituto di Danny Green di cui necessitavano.

Kleiman ha anche preso Kennedy Chandler, esplosiva point guard di taglia ridotta, e Vince Williams Jr., prospetto 3&D. L’impressione è però che inizino a esserci troppi giocatori nel Tennesse e che vada fatto un investimento importante per fare il definitivo salto di qualità.

Dallas, Miami, Golden State, Milwaukee e Chicago

Dallas aveva ceduto la 26 con riluttanza, perché l’idea di prendere Jaden Hardy, scoring guard da sviluppare da team Ignite, li stuzzicava molto. Hardy è sceso fino alla 37, e Dallas non ha esitato a prendere il suo pupillo, che potrebbe essere una steal a quel punto del draft.

Miami va in controtendenza e prende un talento eccezionale come Nikola Jović, ala serba con spiccate doti da passatore per una taglia da lungo. Jović dovrà migliorare difensivamente, e sviluppare costanza al tiro dall’arco, ma il talento è indiscutibile.

Golden State prende Patrick Baldwin Jr., ala ottima al tiro da tre, ma che ha faticato in tutto il resto – difesa compresa – in una squadra decisamente troppo debole per esaltarne le qualità. Ryan Rollins è uno scorer interessante, che deve sviluppare il tiro e che rappresenta una scommessa simile a quella che fu Poole.

Milwaukee sceglie Beauchamp da Team Ignite, ala con ottimo potenziale atletico e che potrà diventare un buon 3&D, se svilupperà consistenza proprio nel tiro, in cui ha faticato molto quest’anno.

I Bulls scelgono Dalen Terry da Arizona, altra ala dall’archetipo dribble, pass, shoot che deve sviluppare bene il tiro, ma che in compenso è un ottimo difensore e rimbalzista.

Cleveland, Toronto, Clippers, Lakers, Boston

I Cleveland Cavaliers si sono contraddistinti per la brother move: hanno cioè scelto il fratello della loro giovane stella, Evan Mobley. Ma non è solo Isiah parte del loro draft. Khalifa Diop è un centro molto interessante che verrà lasciato in Europa a crescere, mentre Ochai Agbaji è una guardia 3&D che serviva alla squadra.

Toronto, dopo aver pensato di cedere Anunoby per la scelta numero 7, è andata per un centro, Koloko da Arizona, che dà centimetri utili soprattutto in regular season.

I Clippers e Boston vanno su due giocatori molto giovani e molto acerbi come Diabate, lungo di Michigan, e JD Davison, deludente guardia da Alabama con potenziale atletico notevole.

Bella anche la scelta di Max Christie per i Lakers, che aggiungono una potenziale ala 3&D molto giovane per il futuro. Christie ha un’ottima capacità di muoversi lontano dalla palla e di difendere, ma in tutto il resto deve svilupparsi ancora parecchio.

Ti è piaciuto l'articolo?
Dacci un feedback:

Loading spinner
Francesco Contran
Praticante e grande appassionato di atletica, si è avvicinato al basket per caso, stregato da Kevin Durant e dai Thunder. Non avendo mai giocato è la dimostrazione vivente che per far finta di capire qualcosa non serve aver praticato questo sport.
Davide Possagno
Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.
Daniele Sorato
Segue (suo malgrado) i Minnesota Timberwolves mentre nei ritagli di tempo viaggia, colleziona dischi e talvolta studia. Odia parlare di sé in terza persona e sicuramente non potrà mai guadagnarsi da vivere scrivendo bio.
Alessandro Benassuti
Alessandro, studente di economia e pallanuotista, nel tempo libero finge di capire qualcosa di basket. La sua passione sono gli small market, in particolare Oklahoma City e Denver per le quali tifa al di là del risultato. Si vanta di essere il miglior cuoco della redazione di True Shooting.
Filippo Barresi
Calciofilo prestato alla NBA, tifoso degli Charlotte Hornets e della Sampdoria. Studente di Marketing all'Università di Torino, classe 1998. Molto probabilmente non vedrà un successo sportivo nell'arco della sua vita.
Emiliano Naiaretti
Spurs, GLeague and draft @TheShotIT | Draft inebriated but lazy writer | Natural & environmental sciences (ANGRY) student
Paolo Di Francesco
Se potessi tornare indietro nel tempo donerei delle nuove ginocchia a Roy ed Oden. Visto che non posso, mi accontento di questi Trail Blazers meno entusiasmanti. Parlo di Eurolega su Four Point Play, solo per sfoggiare l’accento romano.