Gli (In)glorious Basterds dei Miami Heat

Miami Heat miserabili
Copertina di Marco D'Amato

Secondo un’antica leggenda, tanto tempo fa ci fu un coraggioso redattore di questo sito che ebbe la folle idea di proporre ai piani alti un articolo riguardante la rotazione dal settimo al decimo/undicesimo uomo di una certa squadra di pallacanestro del Canada militante nella NBA. Per quanto l’idea fosse al contempo bizzarra e interessante, essa venne sonoramente bocciata dai capi supremi e non venne mai sviluppata. Questo fino ad oggi, giorno in cui un altrettanto valoroso redattore delle “pagine” che state leggendo ha deciso di vendicare il tanto deriso collega proponendo un articolo simile, ma spostandone l’ambientazione dal freddo Canada all’accogliente e umida Florida (Miami, nello specifico).

Tralasciando la tanto scherzosa quanto veritiera genesi di questo articolo, è giunto il momento di capire come i Miami Heat siano riusciti ad arrivare alla pausa dell’All Star Game con il miglior record della Eastern Conference (a pari merito con i Bulls, 38-21) nonostante le numerose assenze di Butler (19 partite), Adebayo (25 partite) e di altri elementi chiave e, soprattutto, di come siano stati in grado, anche quest’anno, di scovare e far rendere al meglio almeno un paio di giocatori semi-sconosciuti che, probabilmente, rischiano di essere utili anche ai playoffs.

P.J. Tucker (8.5 PTS, 5.5 REB, 2.1 AST, 50/45/72)

Cominciare un articolo sui “Bastardi Senza Gloria” dei Miami Heat citando un giocatore fresco fresco di titolo NBA non è esattamente l’ideale, eppure parte del contributo che P.J. Tucker sta offrendo in campo, specialmente nella metà campo offensiva, è inaspettato. Se da una parte l’apporto in difesa dell’ex-Bucks non è mai stato in dubbio, a maggior ragione se inserito in un sistema difensivo eccellente come quello degli Heat, dall’altra la versatilità che ha messo in mostra in attacco in queste 59 partite è stata piuttosto inattesa.

Oltre al solito contributo da oltre l’arco (ad oggi si parla di un clamoroso 45% da 3 su 3.1 tentativi, miglior percentuale della lega) e a rimbalzo offensivo, soprattutto quando gli avversari decidono di nascondere il loro peggior difensore in campo su di lui, il nativo di Raleigh si è perfettamente inserito nel sistema offensivo di Coach Spoelstra, in cui tagli e handoff la fanno da padrone. Tucker è molto attivo lontano dalla palla e si fa sempre trovare al posto giusto al momento giusto, come si può vedere in queste clip:

Tucker è molto abile sia nell’occupare il dunker spot al momento giusto sia nel tagliare dal lato debole sfruttando le disattenzioni della difesa

L’ex-Rockets, inoltre, anche a causa di una meccanica di tiro non troppo rapida, è “costretto” a essere molto aggressivo nell’attaccare i closeout per mantenere il vantaggio creato dai compagni, situazione che gli consente di arrivare al ferro con relativa comodità.

Anche da rollante Tucker è un fattore, soprattutto nelle situazioni di dribble handoff in cui riesce a sfruttare al meglio la gravity esercitata dai tiratori presenti a roster per concludere al ferro quasi indisturbato con un floater/push shot.

Ma i due aspetti del gioco di Tucker che più hanno stupito fino ad ora sono stati la sua capacità di attaccare spalle a canestro, anche dal palleggio, giocatori più leggeri di lui e le sue abilità da passatore dal post, prepotentemente emerse nel lungo periodo in cui Bam Adebayo è rimasto ai box, in cui P.J. ha agito da vero e proprio fulcro offensivo in attesa di servire i propri compagni a seguito dei relativi movimenti off ball (come testimonia il 10.5% di AST%, miglior dato in carriera).

Nelle seguenti clip, invece, si vede come Tucker sfrutti la propria fisicità per avvicinarsi al ferro spalle a canestro per punire le squadre che scelgono di nascondere il loro peggior difensore in campo su quello che, a detta loro, sarebbe il peggior attaccante avversario sul parquet.

Per la prima volta dall’ultimo anno a Phoenix, P.J. sta tentando più conclusioni da 2 punti che da 3 (per 100 possessi), e le sta convertendo con il 54%, percentuale che fa schizzare la sua TS% al 62% (migliore in carriera e abbondantemente sopra alla media della lega).

Questo “nuovo” Tucker è a dir poco essenzial5_812_e per una condender che ancora troppo spesso fatica a generare buone occasioni di tiro a difesa schierata; per questo motivo il suo contributo, per quanto inaspettato, non è da considerare un bonus, bensì una condizione necessaria per consentire a Miami di essere competitiva contro le migliori della classe.

Caleb Martin (9.5 PTS, 4.0 REB, 1.0 AST, 51/38/74)

La firma di Caleb Martin (inizialmente tramite un two-way per poi essere convertito in standard) è inizialmente passata sotto traccia, ma l’ex-Hornets ha impiegato appena sei partite per finire nella rotazione in pianta fissa. Per questo motivo, a mio parere, Martin è il giocatore che più ha stupito in queste prime 59 partite, passando dal mettere piede in campo solo nel garbage time o in caso di infortuni di altri giocatori, a chiudere le partite con giocate decisive, soprattutto in fase difensiva.

Ed è proprio grazie alla sua versatilità dietro che Caleb riuscito a ritagliarsi un ruolo di primo piano in una squadra che punta al titolo: Coach Spoelstra lo utilizza prevalentemente in marcatura sulle guardie avversarie, ottenendo risultati eccezionali. L’ex-Hornets concede solamente il 34.7% al tiro ai “piccoli” sia perché dotato di mezzi fisico-atletici di tutto rispetto, sia perché è molto disciplinato e difficilmente cade nelle finte.

Tra le “vittime” prestigiose di Martin figurano Trae Young (0/5), Khris Middleton (1/7), Stephen Curry (1/7) e Bradley Beal (0/4)

Anche nella difesa lontano dalla palla il prodotto dell’Università del Nevada è estremamente efficace, sia che si tratti di intercettare passaggi che di proteggere in ferro dal lato debole o di subire uno sfondamento.

Il suo motore pressoché infinito gli consente di impattare positivamente anche in fase offensiva senza distinzione tra transizione e attacco a difesa schierata. Il meglio di sé lo dà in campo aperto quando può sfruttare tutto il suo atletismo per finire sopra al ferro, contribuendo a rendere letali i contropiedi degli Heat (specialmente se guidati da Lowry).

Ma anche a ritmi decisamente più lenti è in grado di rendersi utile, soprattutto quando attacca i closeout e quando taglia dietro la difesa (ormai avreste dovuto capire che è una prerogativa di chi gioca negli Heat).

La ciliegina sulla torta è il tiro da 3, che fortunatamente quest’anno (facendo tutti gli scongiuri del caso) sta entrando con un ottimo 37.8% su 2.6 tentativi a sera, a differenza di quanto visto nelle due stagioni a Charlotte (e nelle 4 al college) in cui è stato piuttosto ondivago.

Questo skillset rende Caleb Martin un giocatore adatto a rivestire un ruolo importante anche nella post season, periodo dell’anno in cui i role player 2-way la fanno da padrone a discapito di alcuni specialisti. Proprio per questo motivo la dirigenza ha optato per spedire KZ Okpala a Oklahoma City (che l’ha subito tagliato), liberando così il posto per Caleb Martin che ora potrà partecipare anche ai playoffs (i giocatori firmati con un two-way contract non possono accedervi).

Gabe Vincent (9.2 PTS, 2.0 REB, 3.4 AST, 42/37/82)

Il percorso che un giocatore undrafted deve affrontare per affermarsi nella NBA è già di per sé complicato e tortuoso, e il raggiungimento della meta (un posto fisso in rotazione) potrebbe non avvenire mai. Gabe Vincent ha seriamente rischiato di vedere le sue chances di calcare i parquet più prestigiosi del mondo in maniera continuativa sfumare davanti ai propri occhi, nonostante avesse tutte le carte in regola per farcela. L’avventura a Miami del prodotto di UC Santa Barbara è iniziata nel gennaio 2020, a seguito di una storica prima parte di stagione 2019/20 disputata in canotta Stockton Kings (G-League) e chiusa con oltre 23 punti di media con il 42% da 3 su oltre 10 tentativi a notte. Grazie a queste prestazioni (e compici i soliti infortuni, a cui si è aggiunto il famigerato Health & Safety protocol) Vincent ha iniziato ad avere minuti importanti all’inizio della scorsa stagione, ma i risultati non sono stati quelli sperati: nonostante fosse un difensore molto rognoso sui portatori di palla, Gabe era troppo indisciplinato e spesso eccedeva nella foga, mentre in attacco il suo mortifero tiro da 3 faticava a entrare (31% su 3 tentativi a partita in 50 uscite). Nonostante ciò, in estate la dirigenza ha deciso di offrirgli un ulteriore opportunità (anche a causa delle poche alternative ancora sul mercato) firmandolo con un contratto biennale al minimo salariale, scelta che si sta rivelando azzeccata.

Il motivo per cui la guardia nativa di Modesto sta giocando quasi 11 minuti in più dell’anno scorso (da 13.1 a 24.0, nonostante un inizio non facile) è l’aver ritrovato il proprio tiro da 3, che sta convertendo con il 37% su 4.9 tentativi a gara. Vincent è molto più efficiente nelle situazioni in cui tira piedi per terra (39.7% su 2.9 tentativi, +10.2% rispetto all’anno scorso) piuttosto che in quelle dove deve crearsi il tiro dal palleggio (32.3% su 1.9 tentativi), e il fatto che spesso condivida il campo con uno tra Butler, Herro e Lowry ha alleggerito il suo carico offensivo e nascosto le sue lacune.

Un altro motivo per cui Vincent sta riuscendo a rimanere in campo con costanza è la sua abilità nel gestire i pick and roll. Sia chiaro, come visione di gioco non si sta parlando di un Luka Doncic o un Trae Young, quanto piuttosto di un giocatore che ha capito e fatto suoi i ritmi NBA e che ora è in grado di scegliere il passaggio più corretto ed eseguirlo con le giuste tempistiche.

Nella propria metà campo, invece, Vincent è sempre stato un difensore point of attack sopra la media, grazie a una fisicità importante per una guardia di 191 cm e un’aggressività spesso superiore a quella degli altri nove giocatori in campo (che finalmente ha capito come usare correttamente).

Tutto ciò gli consente, inoltre, di essere fastidioso anche per giocatori più grossi e alti di lui che pensano di poter sfruttare il proprio vantaggio fisico senza faticare (Kyle Lowry ha sicuramente avuto un’influenza su Vincent da questo punto di vista).

Il suo utilizzo anche nella post season dipenderà molto dalle condizioni in cui si troverà Victor Oladipo (prossimo al rientro dopo quasi 11 mesi di stop), che sulla carta potrebbe garantire un impatto simile o di poco inferiore in difesa rispetto a quello di Vincent, ma decisamente maggiore in attacco; tuttavia, se disgraziatamente l’esperimento con l’ex-Pacers e Rockets dovesse fallire, Spoelstra non ci penserebbe due volte a restituire quei minuti a Gabe Vincent, sapendo di potersi finalmente fidare di lui anche nei momenti più importanti.

Max Strus (10.7 PTS, 3.2 REB, 1.3 AST, 44/40/77)

Così come per Vincent, anche quella di Max Strus è una storia un puro stile Miami Heat. Dopo una brevissima esperienza a Chicago (e 13 partite disputate con l’affiliata dei Bulls in G-League), il prodotto della DePaul University si è accasato a Miami nell’offseason 2020 con un contratto two-way, disputando 39 partite nella NBA, ma senza ottenere risultati particolarmente interessanti. Un anno e una Summer League dopo, il coaching staff degli Heat ha deciso di dargli un posto stabile nella rotazione, e questa scelta, per il momento, si sta rivelando fruttuosa.

Il compito di Strus in questi Heat è quello di farsi trovare pronto sul perimetro per gli scarichi dei vari Lowry, Butler e Herro e tirare senza alcuna esitazione, oppure, in alternativa, attaccare il ferro o prendersi una tripla dopo aver sfruttato un pindown. Per questi motivi non è raro vedere Strus in doppia cifra dopo appena un quarto di gioco per poi chiudere la partita con 20 o più punti.

Per quanto in tanti vedano alcune similitudini tra lui e Duncan Robinson, specialmente per l’elevato volume dei tiri da 3, Strus è un giocatore diverso dal #55 degli Heat. Max è un tiratore diverso da Robinson: la maggior parte dei suoi tentativi da dietro l’arco sono presi con i piedi per terra con metri di spazio (salvo qualche uscita dai blocchi), mentre l’ex-Michigan è sempre in movimento e genera una gravity nettamente maggiore anche solo spostandosi di un paio di metri. Ciò che Strus sa fare meglio del compagno di squadra è attaccare il ferro, essendo molto più atletico e fisicamente imponente rispetto a Robinson. Oltre l’80% dei suoi tiri presi al ferro sono assistiti (non è in grado di creare dal palleggio), ma ha dimostrato di saper assorbire discretamente bene i contatti e finire anche tiri contestati.

La convivenza con Duncan Robinson, inoltre, gli ha consentito di migliorare come passatore (soprattutto quando è chiamato a mantenere i vantaggi creati) e tagliante, aspetti fondamentali per avere minuti in una squadra allenata da Spoelstra.

Il suo tallone d’Achille è la difesa: per quanto sia atleticamente nella media e abbia un fisico tutt’altro che esile, Strus non ha una rapidità di piedi tale da consentirgli di contenere i palleggiatori e, soprattutto, troppe volte risulta distratto lontano dalla palla, situazione un cui, invece, Robinson ha imparato a essere efficace. Tuttavia, è doveroso sottolineare come l’ex-Bulls tenti di compensare a queste sue mancanze giocando sempre con molta intensità e sacrificando il proprio corpo anche per subire sfondamenti.

Omer Yurtseven (6.2 PTS, 6.0 REB, 1.0 AST, 54/14/63)

Premetto: non sono il fan più accanito di Yurtseven e ritengo che l’impatto che ha avuto in assenza di Adebayo prima e Dedmon poi sia stato leggermente sopravvalutato; tuttavia, il Turco ha disputato una ventina di partite di tutto rispetto, sopperendo alle assenze dei due sopraccitati in maniera generalmente efficace.

In queste 21 partite, il prodotto di Georgetown University ha viaggiato a 9.7 punti, 10.3 rimbalzi (3.0 offensivi), 1.9 assist e 0.8 stoppate in 23.7 minuti di media (cifre che nelle 10 partite giocate da titolare sono diventate 13.6+13.9+2.9+0.5 in 30.1 minuti), fornendo un ottimo contributo sotto le plance, aiutato sia dai suoi 211 cm di altezza (e 125 kg di peso) sia da un senso della posizione innato (21.0% di REB%, terzo nella lega dietro a due specialisti come Drummond e Gobert). In attacco il suo compito si è limitato al raccogliere i rimbalzi offensivi e convertirli in 2 punti e chiudere i pick and roll, spesso con un alley-oop; nonostante ciò, in questa stagione “Yurt” sta tirando con il 55% da 2, dato estremamente basso considerando che oltre l’81% delle sue conclusioni avvengono a 3 metri dal ferro e sono perlopiù assistite.

Anche per quanto riguarda la metà campo difensiva il nativo di Tashkent non ha particolarmente brillato: utilizzato prevalentemente nella drop coverage per ovvie limitazioni atletiche, Yurtseven non è sembrato a proprio agio nel contenere le guardie, per quanto invece sia stato abbastanza efficace nel proteggere il ferro, nonostante il basso numero di stoppate. Guardando le partite l’impressione è che gli Heat siano stati fortunati in alcuni frangenti, con diverse squadre che hanno mantenuto il proprio gameplan e non hanno assiduamente cercato di coinvolgere il lungo degli Heat nei pick and roll.

Ciò che ha stupito, invece, sono state le sue abilità da passatore dal post “a la Adebayo”, che, unite a una rapidità di apprendimento impressionante di partita in partita, hanno fatto rimpiangere in maniera minore l’assenza di Bam

Ad oggi Yurtseven non è un giocatore da rotazione in una contender, ma, alla luce di ciò che ha mostrato nel periodo a cavallo tra dicembre e gennaio, non è escluso che un domani possa diventarlo, magari proprio in canotta Heat.

Chi rimarrà nella rotazione durante i Playoffs?

Escludendo ovviamente P.J. Tucker, che è stato firmato appositamente per chiudere le partite quando la posta in gioco sarà alta, il primo tra i giocatori quelli presenti in questo articolo che, a parere di chi scrive, avrà sicuramente un discreto minutaggio anche durante la post season è Caleb Martin. Il gemello di Cody, infatti, è dotato di uno skillset complementare a quello dei “big three” di Miami (Lowry, Butler e Adebayo) e di un fisico che gli permette di essere efficace nella metà campo difensiva su più ruoli e di non soffrire particolarmente anche matchup sulla carta a lui sfavorevoli. Molto probabilmente la quantità di minuti che giocherà dipenderà dal suo tiro da 3, sperando che si mantenga sui livelli visti finora, ma difficilmente lo vedremo relegato in panchina durante i playoffs.

Andando per ordine di importanza, il prossimo della lista è Gabe Vincent, il quale ha ampiamente dimostrato di meritarsi un posto in rotazione anche nella post season grazie soprattutto all’arcigna difesa che ha messo in mostra. Per il playmaker nigeriano si può fare un discorso simile a quello di Martin: è molto efficace senza palla, caratteristica che lo rende compatibile con i ball handler presenti a roster, ma, a differenza di Caleb, ha anche una buona capacità di gestire i pick and roll, abilità non da poco considerando la tendenza degli Heat di giocare a ritmi bassi e contro le difese già schierate. Anche per Gabe il tiro da 3 giocherà un ruolo chiave: la scorsa stagione, infatti, il nativo di Modesto ha faticato a rimanere in campo perché in attacco non offriva spaziature, mentre quest’anno si sta rivelando mortifero in situazioni di catch and shoot.

Max Strus, invece, potrebbe perdere minutaggio durante i playoffs: al contrario di Martin e Vincent, i quali riescono ad avere un impatto positivo o neutro in entrambe le metà campo, l’ex-DePaul University è un difensore sotto la media e in attacco è utile quasi esclusivamente se riceve in maniera dinamica o in uscita dai blocchi. Per quanto Strus si possa accendere in un attimo e possa riportare in carreggiata una partita iniziata male, verosimilmente Coach Spoelstra preferirà avere in campo giocatori in grado di creare a difesa schierata senza perdere troppo in fase difensiva. Inoltre, ci sarebbe anche Victor Oladipo da tenere sott’occhio: se l’ex-Rockets dovesse tornare a un livello simile a quello visto brevemente la scorsa stagione in maglia Heat, molto probabilmente Strus perderebbe gran parte del proprio minutaggio.

Chi sicuramente guarderà i propri compagni dalla panchina, salvo infortuni o situazioni di garbage time, è Omer Yurtseven. Il centro turco è il terzo lungo della rotazione dietro ad Adebayo e a Dedmon e, nonostante l’ottimo contributo fornito nelle partite di cui si è parlato pocanzi, non sembra particolarmente adatto al basket della post season, dove le squadre giocano sulle debolezze dei relativi avversari cercando di sfruttarle al massimo. Per Yurtseven bisognerà attendere il prossimo anno, in cui Coach Spoelstra potrebbe promuoverlo a riserva di Adebayo nel caso in cui Dedmon dovesse aver finito le cartucce da sparare.

A prescindere da chi vedremo in campo nei playoffs, questa stagione, finora, è stato il capolavoro sia di Erik Spoelstra e del suo coaching staff che di tutta dirigenza. Prima dell’inizio della stagione, in tanti, compreso il sottoscritto, reputavano gli Heat un’ottima squadra, ma non abbastanza profonda per tentare l’assalto al titolo; oggi, a distanza di qualche mese, l’opinione dei tifosi e degli addetti ai lavori è radicalmente cambiata e la squadra della Florida si prepara ad affrontare la post season con uno dei roster più profondi della lega (nonostante, a mio parere, manchi ancora creazione palla in mano) che, guidato dalla mente geniale di Erik Spoelstra, ha tutte le carte in regola per arrivare in fondo.

Concludo lasciandovi questa chicca, ad opera dell’unico e inimitabile Marco D’Amato, che riassume il mood e l’hype con cui i tifosi degli Heat stanno seguendo questa stagione:

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Davide Possagno
Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.