La telenovela Jalen Brunson è giunta al termine

Brunson Knicks
Copertina di Matia Di Vito

Se ce l’avessero detto anche solo un anno fa, probabilmente anche la parte texana di questo articolo si sarebbe messa quantomeno a ridacchiare. Invece è tutto vero: il più grosso colpo dei primissimi giorni di free agency si chiama Jalen Brunson. La sua vicenda si è in realtà svolta piuttosto in fretta, così velocemente da andare addirittura indietro nel tempo, un po’ come la DeLorean. Già due giorni prima dell’apertura ufficiale dei cosiddetti giorni di moratoria, infatti, Tim MacMahon metteva la pietra tombale sulle speranze dei tifosi di Dallas.

Brunson non va via a prezzo di saldo, poco ma sicuro. 104 milioni in 4 anni ad un giocatore mai nemmeno convocato all’All-Star Game è una cifra che sicuramente fa storcere il naso di primo acchito, ma non è poi così dissimile dai contratti di molte altre point guard in giro per l’NBA. Ma che conseguenze ha avuto questa firma sui destini tecnici e salariali delle due squadre?

La firma dal lato Mavericks

Enrico Bussetti: Un colpo durissimo da digerire, inutile girarci intorno. Durante tutta la cavalcata playoffs dei Mavericks dello scorso anno le parole chiave sono sempre state più o meno dello stesso tenore: gruppo, coesione, squadra, fratellanza…

Dallas non era probabilmente ancora pronta a puntare con decisione al titolo, essendo anche al primissimo giro a quelle altitudini; questo gruppo di giocatori costituiva tuttavia un’ossatura molto solida e sarebbe probabilmente bastato qualche ritocco per posizionarsi stabilmente tra le migliori squadre della intera NBA. L’addio di Brunson, invece, ridimensiona decisamente i sogni di gloria. Lo fa perché va via senza niente in cambio, lo fa perché non è scontato che inserire un nuovo pezzo al fianco di Dončić sia così automatico e lo fa perché Dallas non ha margine di manovra per poterlo sostituire degnamente.

La permanenza di JB pareva essere quasi scontata fino a circa una settimana fa, ma anche dopo i primi rumor insistenti sono rimasto personalmente fiducioso: tante volte ho visto i Mavericks trovarsi dall’altra parte della barricata a liberare spazio salariale e smuovere mari e monti per poi ritrovarsi con il cerino in mano. Questa volta, invece, pare che a prevalere siano stati la voglia di Jalen di essere al centro di un progetto e il suo amore giovanile per i Knickerbockers. Due elementi contro cui i soldi di Dallas (potenziali o realmente offerti, questo con certezza non lo sapremo probabilmente mai) potevano ben poco.

Senza Brunson Dallas perde il suo Robin, voglioso di essere Batman altrove. E dire che questa convivenza con Dončić non sembrava così scontata all’inizio delle carriere dei due, con il #13 che sembrava essere perfetto materiale da sesto uomo, con tanta palla in mano contro le seconde linee. Brunson negli anni si è invece affermato come un giocatore molto più raffinato: non un drago senza palla ma abbastanza intelligente per essere spesso e volentieri al posto giusto, passatore di ottimo livello ma anche tiratore da fuori. Ciliegina sulla torta il suo ball handling, che gli ha permesso di sviluppare negli anni una serie di finte, esitazioni e avvitamenti per concludere al ferro con buonissime percentuali nonostante la stazza o in alternativa alzarsi per un jumper dalla media.

Senza di lui i piani di Dallas cambiano notevolmente: Spencer Dinwiddie e Tim Hardaway Jr. restano cedibili ma decisamente con più cautela e Goran Dragić, a questo punto, diventa quasi necessario. Anche tra le ali si cercherà probabilmente un profilo più multidimensionale in attacco, un po’ per sopperire alla mancanza di creazione venuta a crearsi e un po’, banalmente, per necessità di star power. I Mavs si sono mossi anche in maniera decisa per quanto riguarda i lunghi, firmando con un triennale “generoso” JaVale McGee e acquisendo via scambio Christian Wood. Pensare che Dwight Powell, Dāvis Bertāns e Maxi Kleber, già presenti a roster, restino tutti e tre in squadra per la prossima stagione è ormai alquanto improbabile, per cui quasi sicuramente in Texas non è finita qui.

Resta però l’enorme dispiacere per aver perso un giocatore che era un po’ un fiore all’occhiello per i Mavs: pescato alla numero 34 del Draft, cresciuto e coccolato in casa fino a diventare un uomo da 41 punti in una gara di playoffs, perfetta spalla dell’uomo franchigia. Che peccato, JB.

La firma dal lato Knicks

Francesco Perillo: Duhon, Douglas, Larkin, Sessions, Trier, Payton… sono solo alcuni dei tredici play partiti titolari nell’Opening Night delle ultime tredici stagioni dei Knicks. Non serve aggiungere altro per farci capire quanto il rapporto tra le point guard e la città di New York sia uno dei più tossici e complicati della NBA moderna. Jalen Brunson riuscirà a spezzare la maledizione?

Prima di tutto è giusto dare un’occhiata a quello che ha messo in piedi il Front Office di New York per riuscire a portarlo a casa. Un corteggiamento iniziato mesi fa con rumors vari e continuato con una serie di mattoncini fondamentali tra cui: la firma di Rick Brunson, padre di Jalen, che torna come assistente di Thibodeau dopo le esperienze a Chicago e Minnesota; la gita a Dallas dei pezzi grossi della dirigenza per gara-1 tra Jazz e Mavs, che aveva fatto storcere il naso a molti; infine la pulizia intensiva del payroll nell’ultima settimana. Il tutto contornato dalla CAA, l’ombra sempre presente in ogni mossa dei Knicks, che vede Sam Rose, figlio di Leon, tra gli agenti dello stesso Brunson. Un affare in famiglia con probabile tampering a livelli massimi, ma che difficilmente potrà portare a delle sanzioni da parte della Lega.

I Knicks hanno operato in maniera molto aggressiva nella notte del Draft e nei giorni successivi. Walker, Noel e Burks, tre firme della scorsa estate, sono stati spediti in Michigan insieme a scelte per liberare spazio. Vedere una franchigia rinnegare completamente le mosse di 12 mesi fa per stravolgere i propri piani fa sorgere molte domande sulla presunta programmazione. Nel complesso si può dire tranquillamente che la gestione del Draft è stata negativa, per quanto le numerose scelte a disposizione abbiano evitato che gli addii fossero ancora più sanguinosi.

Alla fine, il contratto di Brunson sarà un 104×4, con l’aggiunta di qualche bonus e una player-option sul quarto anno. Molti soldi, probabilmente un leggero overpay, attenuato però dalla struttura “team friendly”, a scendere dai 28 del primo anno ai 24 dell’ultimo. Cifre che porteranno Brunson ad essere il 14esimo play più pagato della lega, dietro a gente come Russell e Fox, ma che sono l’ennesima conferma delle enormi difficoltà dei Knicks a farsi valere come big market.

Passando al campo, i dubbi sul fit con gli interpreti attuali rimangono. Brunson ha reso in maniera ottimale in un sistema con uno spacing che New York non ha e non avrà sicuramente l’anno prossimo. Randle e Barrett sono giocatori ancora altalenanti al tiro e con difficoltà off-ball, ma se per il secondo l’arrivo di Jalen sarà fondamentale per crescere e trovare più ritmo, per il primo potrebbe diventare una convivenza forzata in termini di gestione offensiva. Fournier garantirebbe di sicuro più flusso e andrebbe molto d’accordo con l’ex play dei Mavs, ma a quel punto in difesa si creerebbero diversi problemi.

Proprio per questo motivo non è da escludere un’uscita del francese o un nuovo ruolo dalla panca, con l’inserimento di Grimes in quintetto per dare più equilibrio. Tanti pezzi del puzzle da mettere insieme e per nulla scontati, ma il motivo principale per cui Brunson porterà un upgrade di livello di regia è l’efficienza mostruosa messa in mostra negli ultimi due anni. Jalen ha raggiunto il 90esimo percentile in p&r da ball-handler primario, oltre ad essere stato il miglior finisher al ferro della lega tra le guardie con almeno 200 layup, con più del 57% dal campo. Numeri dovuti certamente anche al sistema e alle capacità dei Mavs di liberargli l’area, ma che descrivono un giocatore che ai Knicks mancava davvero molto.

Sarà fondamentale l’intesa con i lunghi. Di Randle abbiamo già parlato, ma lo stesso Robinson, fresco di rinnovo, dovrà crescere molto nella qualità dei blocchi. New York è stata una delle squadre che ha giocato più p&r nella scorsa stagione, ma una delle peggiori in assoluto per efficienza in queste situazioni. Proprio per questo motivo sarebbe importante dargli diversi minuti anche con parte della second-unit, in particolare Toppin e Hartenstein.

I dubbi sono molti, e più che su Brunson in sè sono sulla gestione del Front Office negli ultimi mesi, ma servirà aspettare ancora qualche giorno per capire la struttura finale del roster 22-23. Nel frattempo, New York ha la sua point guard. Buona fortuna Jalen, ne avrai bisogno.

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Enrico Bussetti
Vive per il basket da quando era alto meno della palla. Resosi conto di difettare lievemente in quanto a talento, rimedia arbitrando e seguendo giornalmente l'NBA, con i Mavericks come unica fede.
Francesco Perillo
Tifoso dei Knicks e appassionato di basket; sogna ancora un futuro in cui il nostro pacioccone in maglia #7 alza il Larry O'Brien davanti alle folle del Garden.