Los Angeles è la citta delle guardie

Guardie Los Angeles NBA
Copertina di Valentino Grassi

Dopo i primi mesi di regular season, e con le immagini di incredibili quintetti con 4 o 5 guardie ancora ben impressi negli occhi, abbiamo provato a dare qualche risposta ai tanti punti di domanda che circondano questa simpatica analogia che vede coinvolte le due squadre losangeline: come mai i due coach stanno spingendo l’acceleratore su quintetti così piccoli? Chi detiene la quota maggiore di colpe tra giocatori, coach e front office? Quali sono i margini di manovra per le due squadre nell’immediato futuro?

Le guardie dei Lakers

Non vanno decisamente bene le cose nella sponda gialloviola della città degli angeli, dove l’utilizzo di quintetti troppo piccoli prospera, e non coincide con aumenti nella qualità di gioco. Il che poi, non cozza con il pessimo record dei Lakers al momento, favorito nelle vittorie da prestazioni da hero-ball di James, da una serie di sfide ben interpretate da Davis a livello di forma, e poco altro. Per il resto, quando c’era bisogno di un contributo importante dei comprimari, che fosse in volata o meno, le sconfitte sono apparse senza troppe discussioni.

Certo, si può parlare di mancanza di concentrazione nei minuti finali di partite tirate, dove spesso le prime opzioni offensive del gruppo arrivano con la lingua a penzoloni. Affaticate o senza lucidità.

Con l’assenza per infortunio di Anthony Davis, un James eroico non solo è costretto a far pentole e coperchi, ma dal suo dominio sui possessi decisivi dipendono i risultati. Dominio che ovviamente deve portare a punti, sia personali che del suo supporting cast.

Ed il problema è proprio lì, a prescindere da quel che dica il coach Darvin Ham, che dopo la tremenda sconfitta casalinga contro gli Hornets si è definito “incazzato” a causa di cosiddette “ferite autoinflitte”. In modo molto “democristiano”, additando proprio i cali di tenuta mentale sulla gara, alla base di errori di posizionamento sia offensivi che difensivi.

La verità emerge però più direttamente osservando i possessi decisivi, semplicemente guardando al quintetto messo in campo. Certo, determinato dall’assenza sia di Davis che – nella circostanza – di un Thomas Bryant uscito per un fastidio e mai più rientrato sul parquet.

LeBron James coadiuvato da Patrick Beverley, Russell Westbrook, Dennis Schroder e Austin Reaves.

Di fatto, uno small ball con quattro guardie contemporaneamente sul parquet, che – purtroppo per il rendimento di squadra – non è la prima volta che viene presentato. Ed è sufficiente osservare gli errori compiuti in fase difensiva, offensiva e nella gestione delle transizioni per capire che si, a sfida del 23 dicembre con Charlotte, è stata letteralmente buttata via.

Il paradosso è che non si tratta né della prima sfida lasciata sfuggir di mano, né dell’ultima in ordine temporale. Ed il fatto che il record poco lusinghiero dei gialloviola possa esser giustificato con troppe partite perse in volata, volendo per singole giocate, è una semplificazione pericolosa.

Schierare un quintetto piccolo può apparire un tentativo di difendere più aggressivamente la linea dei tre punti, magari puntando a favorire recuperi e alzando il pace di squadra. Con o senza James a fare da quinto, che tendenzialmente non disdegna di correre in transizione, seppur non nella maggior parte del tempo passato in campo.

Quando coach Ham parla di “cali di concentrazione” nel post partita, probabilmente fa riferimento ai ritardi negli aiuti, a rotazioni non impeccabili, ad una difesa del pitturato che latita inevitabilmente, con la concessione di troppi extra possessi. Una questione legata alle misure, ma anche al sistematico dimenticarsi il tagliar fuori l’avversario, oppure a posizionamenti approssimati per provare ad accaparrarsi la palla.

In attacco, il disastroso posizionamento di Beverley nella transizione condotta da Reaves sul 130 pari – il momento che costa la partita ai gialloviola – è solo la punta dell’iceberg, e riguarda sia una mancanza di comunicazione tra gli attori in campo, che grosse deficienza in materia di fit tra i giocatori. Ed il nodo nevralgico del perché lo small ball dei Lakers sia un fallimento, risiede i questo punto: il roster è mal assortito, mal pensato, ed a prescindere da Davis o meno, inadatto a permettersi certe contemporaneità in campo.

Nella sconfitta di Miami del 29 dicembre, la totale incapacità di attaccare la zona di Spoelstra con 4 guardie in campo è esplicabile con un solo, tristissimo, dato. Il 33.8% di squadra dall’arco, venticinquesimo nella lega. Andando più nel particolare, contornare James con tiratori tutt’altro che affidabili – non perché in una stagione sfortunata, ma generalmente in carriera – non può pagare in nessun modo.

Il più efficace per percentuale (41.2%) risulta essere il rookie Max Christie, che difensivamente avrebbe anche istinti importanti pur vedendo poco il campo. Tra gli altri, merita una menzione il solo Lonnie Walker IV, che non si presentava con grande storico a livello di efficacia dall’arco, ma che provando tanto (5.4 volte per incontro), realizza con il 38.4%.

In tutto questo, con LeBron James seduto in panchina a recuperare, il quintetto piccolo con Thomas Bryant al centro è stato letteralmente sottomesso dalla zona di Miami, generando tiri approssimativi, con movimento assente e nessuno in grado di forzare l’attacco al ferro. Aprendo, magari, qualche timido spazio.

Che poi, anche quando succede, l’inaffidabilità dei cosiddetti tiratori aiuta non poco le difese avversarie, che possono permettersi di non affannarsi troppo nelle chiusure, concedendo tiri open.
Ne è dimostrazione la tripla di Schroder in coda alla sfida con Charlotte, miracolosamente favorita da un LeBron che riesce a pescarlo mentre perde la scarpa: solo ferro, con il Gordon Hayward che dovrebbe disturbare, che si limita ad osservarne la traiettoria.

Anche questo già visto, soprattutto nel disastroso avvio gialloviola dove le triple non entravano davvero mai, con mancanze di rispetto palesi verso Westbrook e anche Anthony Davis, spesso battezzati senza preoccupazione.

LeBron James ha lanciato messaggi diretti al management gialloviola, dopo la sconfitta di Miami. Secondo molti addirittura sottintendendo una sua volontà di cessione, ma il focus appare circoscritto  alla prossima deadline. E quindi riguarda eventuali movimenti di mercato. Vero che l’estate dei Lakers è stata caratterizzata dall’immobilismo determinato dal contratto di Westbrook, difficile da muovere e ingombrante a livello di cap, anche se rumors di accordi dai quali il GM Pelinka si è ritirato all’ultimo, sono arrivati.

Il terzo quarto nella sfida natalizia di Dallas, soprattutto la seconda parte senza James, è stato visto veramente da tutti. E con lui tutte le carenze in materia di costruzione del roster: ragione dell’imbarcata di 51 punti incassati nella frazione. Difensivamente impietosa la clip sottostante, per la qualità di tiri concessi a livello di ritardi nelle rotazioni. Contemporaneamente, nell’altra metà campo all’uscita di LeBron le soluzioni sono state disastrose.

Evidenza che giocatori come Beverley, Westbrook e Schroder non sono sostenibili in campo contemporaneamente. Può andar bene quando James trova le energie per prendere in mano la sfida come avvenuto ad Atlanta, ma alla lunga l’idea di acchiappare una posizione play-in appare improbabile.

Per aggiustare il tutto – ammettendo che Davis rientri – servirebbe un secondary creator affidabile da alternare a LeBron, un lungo dinamico che permetta a AD di non usurarsi troppo nel pitturato, e ovviamente un tiratore. Almeno uno, che sia affidabile. La trade presunta che avrebbe portato Russ e scelte a Indiana, per Hield e Turner, sarebbe stata più che ideale. E forse pure profetica nell’evitar l’affaticamento di un Davis che ha giocato una serie di gare incredibili prima di infortunarsi, ma non è ancora riuscito a trovar un lungo con cui condividere il parquet.

A Thomas Bryant non si può chiedere di più, ma non dimentichiamoci che nei piani iniziali di Ham (epoca training camp), sarebbe dovuto essere Damian Jones il deputato ad iniziare le gare da centro accanto a Davis, offrendo dinamicità e versatilità da interscambiare con lui. Ad oggi, Jones sta offrendo numeri irrisori in appena 9 minuti di impiego per gara, durante 18 partite.

Ma più generalmente, stupisce l’incapacità di contornare un giocatore come James da tiratori affidabili. Non necessariamente piccoli, anche se questo è fondamentale nel bocciare senza mezzi termini gli esperimenti small. E ancor di più, sottolinea quanto la strutturazione del roster negli ultimi due anni sia stata imbarazzante, probabilmente liberando di un po’ di responsabilità i due coach che si sono alternati: il dimesso Vogel dello scorso anno, e l’esordiente Ham di adesso. Molto ridimensionato rispetto alle aspettative.

Anche loro, sbagliando senza dubbio, nel provar a far funzionare una macchina inceppata in partenza e quasi impossibile da far girare al meglio.

Le guardie dei Clippers

Così come per la sponda gialloviola, anche nella metà meno regale della LA cestistica stiamo assistendo a un utilizzo spropositato dei quintetti piccoli.

Vedere costantemente quintetti con tre o quattro guardie in campo sembra davvero anacronistico, specialmente nella lega che negli ultimi anni ha visto vittoriose squadre “enormi”- Raptors, Lakers, Bucks; ma anche Warriors, in grado di schierare attorno al miglior tiratore della storia ali/lunghi come Wiggins, Green, Looney e Porter.

Insomma, il manuale delle istruzioni- o blueprint– è ormai di dominio pubblico da qualche anno, eppure i Clippers continuano imperterriti a ignorarlo.

Non sfugge certo l’ironia nel vedere una delle squadre più profonde e con più ali della lega in questa situazione: i Clippers, sulla carta, hanno tutto ciò che serve per schierare quintetti piccoli “finti”, senza magari un centro di ruolo, ma con matchup molto favorevoli in almeno tre ruoli, con una difesa capace di coprire tantissimo spazio nella propria metà campo.

Non stupirà nessuno sapere che quando i Clippers hanno seguito questa strada sono sembrati una contender fatta e finita: le lineup con PG e Kawhi + due ali e/o Zubac sono apparse dominanti, e hanno fatto intravedere le potenzialità di una squadra che in tanti consideravano un solido upgrade rispetto alla versione del 2021.

Le lineup “grosse” dei Clippers hanno funzionato talmente bene che viene da chiedersi perché vengano utilizzate così poco, e le risposte possono variare.

La prima scontata spiegazione è la salute: per avere successo tali quintetti devono avere almeno uno/due giocatori in grado di battere l’uomo e generare vantaggio contro la difesa schierata *cough cough Toronto Raptors*, e nei Clippers quel ruolo lo devono avere le due stelle, spesso infortunate.

Quando vengono a mancare loro la metà campo offensiva ovviamente ne risente, e la risposta di Ty Lue è spesso e volentieri buttare in campo quante più guardie possibili per rimediare a un attacco statico, senza però ottenere grandi risultati al netto di un grosso sacrificio in difesa e a rimbalzo.

Stats
Statistiche di PBP Stats sui diversi quintetti con 3 guardie

Spulciando le statistiche è possibile notare che generalmente le lineup che coinvolgono John Wall sono le peggiori in termini di +/-, lasciando a desiderare non solo in difesa (Wall è abbastanza indubbiamente il peggior difensore della rotazione), ma anche in attacco, dove Wall fatica a lasciare il segno quando non può lanciarsi in campo aperto.

Contro le difese avversarie schierate Wall ha ben poca utilità. Non riesce più a battere il proprio uomo in 1-vs-1, e per questo ha spesso bisogno di un blocco per generare un vantaggio iniziale da sfruttare: purtroppo, però, LAC schiera spesso quintetti 5-out e la difesa può tranquillamente cambiare sul pick-and-roll senza preoccupazioni (Boston e Washington hanno giocato tutta la partita cambiando su Wall con Kornet e Porziņģis, con successo).

Wall, anche a difesa schierata, mantiene comunque un certo fascino da playmaker “puro”- sa servire con tempi perfetti Kennard e Powell in uscita dai blocchi, per esempio- ma se l’azione non termina immediatamente dopo un suo passaggio la difesa potrà sempre recuperare lasciando spazio a Wall e concentrandosi sugli altri quattro attaccanti.

Oltretutto, dopo un inizio di stagione incoraggiante, l’ex Wizards ha anche iniziato a tirare con percentuali terrificanti al ferro, perdendo una delle ultime arme che gli sono rimaste.

Tornando alla collezione di ali che i Clippers possono (potrebbero?) esibire, lascia perplessi vedere un veterano NBA ancora utile come Robert Covington fuori da una rotazione che conta addirittura 5 guardie in attivo ogni notte, senza contare la guardia titolare della squadra- Paul George.

Terrance Mann e Norman Powell sono un po’ più versatili, ma il loro ruolo ideale (specie quando manca un centro di ruolo come Zubac a coprirli alle loro spalle) è quello del 2, 2 “grossi” certo, ma se il tuo secondo o terzo giocatore per taglia e fisicità in campo è uno tra Mann e Powell, probabilmente avrai grossi problemi. E li avrai non per grosse colpe loro- Mann è un difensore splendido e fa tante piccole cose utili, Powell è forse meglio come rim protector che in difesa sul perimetro- ma perché si troveranno a dover gestire non solo il proprio matchup sfavorevole ma anche quello dei Reggie, Wall o Kennard del caso.

Fino ad oggi Lue ha spiegato i DNP di Covington con il ritornello “We know what we have in RoCo“, che riesce a convincere fino a un certo punto.

Sono diverse le voci di corridoio che parlano di una promessa in termini di minutaggio e partite fatta a John Wall, giocatore dall’ego probabilmente troppo importante per essere escluso dalla rotazione a metà gennaio e avere comunque la capacità di farsi trovare pronto in caso di necessità futura.

In ogni caso, è possibile che Ty Lue si stia prendendo il suo tempo prima di abbandonare l’esperimento Wall, che al momento è senza ombra di dubbio il giocatore da escludere dalla conta.

I Clippers (21-18 al momento) sono a 7 vittorie e 2 sconfitte nelle partite in cui Wall non ha giocato. Non c’è una correlazione 1:1 e Wall non è il peggior giocatore NBA, ma è innegabile che togliere minuti alla peggior guardia della rotazione per darli a qualche giocatore con più taglia (e più utile) avrebbe tramutato più di un paio di quelle 18 sconfitte in vittorie.

Anche solo guardando al recente filone di sconfitte, le partite contro Sixers, Celtics, Pacers e Heat sono state perse per rotazioni e quintetti molto discutibili.

Dopo essere stati per diverse settimane il peggior attacco della lega (insieme, ancora una volta, ai vicini di casa) i Clippers hanno sfruttato i rientri delle due stelle e stanno lentamente risalendo la classifica dell’Offensive Rating generale.

Il bicchiere mezzo pieno di dicembre per LAC è che con George e Leonard in campo la squadra ha tutte le sembianze di una super contender: questi mesi saranno utili per capire quanto le due stelle riusciranno a giocare- da anni il più grande ostacolo di questi Clippers- e se Lue riuscirà a pescare la giusta combinazione tra i comprimari.

Come detto all’inizio di questo capitolo, LAC ha a disposizione materiali sufficienti per fare molto bene in questo Ovest, e il Front Office di Lawrence Frank e Jerry West ci ha abituato ad aspettarci uno splash inaspettato a ridosso della deadline: con questa abbondanza di giocatori e qualche scelta da scambiare sembra imminente una trade, altra cosa a cui fare attenzione in questi due mesi in casa Clippers.

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Lorenzo Pasquali
Ha deciso di esplorare nuove vette del masochismo iniziando a tifare Clippers e Fortitudo. Le notti sogna un universo parallelo in cui CP3 e Griffin vincono il primo Larry OB della franchigia.
Davide Torelli
Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.