Quattro storie dalle Final Four di Eurolega

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Copertina di Sebastiano Barban

Le tanto attese Final Four di Eurolega sono tornate dopo ben due anni e non hanno di certo deluso le aspettative: Efes, Barcellona, Milano e CSKA si sono battute senza esclusione di colpi per cercare di portare a casa la vittoria, regalando partite bellissime agli appassionati.

Il trofeo, al termine del weekend di Colonia, ha preso la strada di Istanbul, con l’Efes di Ataman e dell’MVP di regular season e Final Four Vasilije Micić che è riuscito a vendicare la sconfitta di due anni fa col CSKA e che ha fatto pace con la sfortuna che gli aveva tolto la possibilità di giocarsi la vittoria lo scorso anno, quando sembrava che nessuno – se non la pandemia – avrebbe potuto fermare Larkin e compagni.

Dopo aver raccolto le nostre opinioni a caldo nella puntata del podcast immediatamente successiva alle Final Four, noi di Four Point Play abbiamo pensato di mettere da parte per un attimo i microfoni per provare a raccontare questo weekend dal punto di vista di un personaggio per ogni squadra, restando in fin dei conti fedeli al nostro format dei quattro punti.

Ascolta “Final Four: fenomenologia del weekend perfetto – ep 11” su Spreaker.

Sertaç Şanlı, dove sei stato fino al 2021?

La retorica dello scontro tra titani deciso dal “Signor Nessuno” è da sempre un topos al quale è impossibile sfuggire. Il fascino che l’eroe casuale esercita sul nostro immaginario è troppo forte per essere scacciato dalle righe che scriviamo o dai post della nostra bolla social.

Scrivere di Şanlı però ormai non significa più raccontare di un “Signor Nessuno”, e questo vale da mesi. In verità, anche chi scrive è rimasto a bocca aperta quando ha cominciato a far vedere le prime prestazioni interessanti della sua carriera di Eurolega durante lo scorso febbraio del 2021, l’inizio di un anno che vedrà il lungo dell’Efes compiere già 30 anni.

In un momento storico in cui i mixtape di adolescenti che schiacciano sulla testa dei propri coetanei ci fanno sembrare irrecuperabili giocatori che non hanno iniziato a dominare i campionati prima che il loro fisico finisse di formarsi, Şanlı ci ricorda di come la maturazione sportiva sia un processo lungo ed estremamente vario.

Il #15 ha mostrato di essere un giocatore vero e, se l’occasione di mettersi in mostra è arrivata solo per i problemi fisici di Pleiss e Dunston, il modo in cui l’ha sfruttata ha fatto sembrare la sua esplosione la cosa più naturale del mondo. Şanlı in campo non fa nulla di appariscente e sembra non avere una singola caratteristica dominante, con la quale ostentare la consapevolezza di poter far male in ogni situazione agli avversari.

Nonostante ciò ha mostrato una solidità rara per un giocatore che ormai consideravamo essere stato firmato per occupare la “quota turca” dell’Efes, un po’ come Gazi o Tuncer, nomi conosciuti solo da chi è abbastanza masochista da guardare anche il garbage time delle partite di metà regular season.

La metà campo offensiva è il territorio dove Şanlı ha saputo ritagliarsi il suo spazio, come un piccolo lord che riesce ad ottenere un bellissimo castello in un regno messo a ferro e fuoco da signori più ricchi ed attrezzati, come Micić o Larkin. Si è inserito nei meccanismi di Ataman con fluidità, la sua capacità di giocare pick and roll e pick and pop con i tanti ball-handler dell’Efes è stata la chiave del suo successo. Sertaç sembra sempre sapere dove posizionarsi per ricevere dai compagni, la sua court awareness è sorprendente nella metà campo avversaria e compensa la mancanza di una mobilità anche solo nella media.

Alternando movimenti senza palla dritti al ferro e situazioni in cui staziona sul perimetro per offrire spacing col suo tiro da fuori non battezzabile, Şanlı è il migliore dei tre centri dell’Efes in termini di integrabilità anche con i ‘4’, Moerman e Singleton, due giocatori che amano anche loro alternare gioco in post e soluzioni sul perimetro.

L’esplosione di Şanlı e della squadra di Istanbul sono arrivate insieme durante la stagione, quindi le Final Four giocate dal centro non potevano che essere la degna conclusione della corsa. A Colonia Şanlı ha giocato una semifinale dominante, nella quale ha fatto impazzire la difesa del CSKA, che gli ha concesso 6 canestri nel pitturato e lo ha mandato 7 volte in lunetta, dove è stato perfetto.

L’attenzione che ha richiesto difendere gli esterni della squadra turca è stata sfruttata alla perfezione dal centro, che ha tirato fuori la prestazione delle grandi occasioni (19+8 con 6/9 dal campo). A questo ha aggiunto una presenza difensiva inattesa, chiudendo con tre stoppate.

In finale ha iniziato alla grande (8 punti nel solo primo quarto, oltre metà della produzione di un Efes molto in difficoltà), finendo poi per soffrire la capacità del Barcellona di sigillare l’area, limitandosi al tiro da fuori che non è entrato, unica pecca del weekend. Comunque è riuscito a rendersi utile, guadagnando 5 viaggi in lunetta e chiudendo in doppia cifra.

Il fatto che non ci sembri eccezionale il fatto che un giocatore del genere abbia chiuso una finale in doppia cifra, contro una delle difese più dominanti dell’Eurolega recente, dovrebbe essere il segno di quanto ormai siano alte le aspettative che ci siamo fatti su Sertaç Şanlı. Dopo le Final Four è diventato impossibile ignorare come questo giocatore sia stato a tutti gli effetti un pezzo decisivo della squadra capace di alzare il trofeo atteso da due anni.

Leandro Bolmaro, un protagonista a sorpresa

“With the 23rd pick in the 2020 NBA draft, the New York Knicks select Leandro Bolmaro, from Cordoba, Argentina”.

Leandro Bolmaro è un nome che da tempo figurava nei taccuini degli scout, prima che effettivamente i Timberwolves decidessero di puntare su di lui nell’ultimo draft NBA, anche grazie all’influenza del suo connazionale Pablo Prigioni, membro dello staff tecnico della franchigia del Minnesota.

Una scelta del genere rientra nella categoria degli stash, ovvero la selezione di un giocatore che potrebbe rientrare nei piani futuri della squadra, ma che viene lasciato a giocare nel club in cui già militava prima del draft per permettergli di crescere e poterlo valutare più approfonditamente senza dover occupare fin da subito un posto a roster.

Questa decisione ha fatto storcere il naso a molti appassionati preoccupati dallo stash al Barcellona, ovvero in un club molto ambizioso in cui Bolmaro non ricopriva un ruolo di primo piano e che a maggior ragione non avrebbe avuto grande interesse nel concedergli minuti in campo, visto il probabile futuro addio in direzione NBA.

I dubbi in effetti non sono sembrati infondati per buona parte della stagione del classe 2000, che si è visto concedere da Coach Jasikevičius un minutaggio altalenante in Liga ACB nella prima parte dell’annata e che in generale in Eurolega ha trovato molto poco spazio e in modo discontinuo.

Per questo motivo, un suo impiego nella fase a eliminazione sembrava molto improbabile, se non per qualche scampolo di partita, ma inaspettatamente il suo allenatore lo ha mandato in campo con continuità nelle ultime due gare della serie contro lo Zenit.

Sarà stato un caso? La risposta è no, e proprio alle Final Four di Colonia il giovane Bolmaro ha giocato le due gare col più alto minutaggio della sua campagna europea, chiudendo addirittura in quintetto in entrambe le occasioni e fornendo prestazioni assolutamente all’altezza. In particolare, nella finalissima si è trovato a dover fare gli straordinari in cabina di regia e in difesa per sopperire alle difficoltà fisiche e tecniche del suo ben più esperto compagno Calathes – uscito acciaccato dalla semifinale con Milano – e non ha tradito le attese.

Le cifre dell’argentino non portano di certo a stropicciarsi gli occhi, ma il suo impatto in campo si è sentito eccome nella metà campo difensiva. Leandro è stato uno dei giocatori più aggressivi di tutte e quattro le squadre nel passare sui blocchi, fondamentale di essenziale importanza soprattutto contro una squadra con degli esterni stellari come l’Efes, che del pick and roll fa la propria arma più pericolosa.

La sua difesa asfissiante, favorita dalla lunghezza delle sue braccia e dalla consapevolezza di poter dare quasi tutto in difesa visto un carico offensivo ridotto rispetto ai compagni, lo ha reso in alcuni frangenti di partita un vero e proprio incubo per i suoi diretti avversari, tanto che è sembrato essere uno dei pochi in grado di far soffrire l’MVP della stagione e delle Final Four Vasilije Micić. Ovviamente in molti casi è stato battuto dal talento offensivo smisurato degli avversari, ma sul piano dell’impegno le sue giocate difensive sono state assolutamente inappuntabili.

Bolmaro è un giocatore ancora molto acerbo e limitato in attacco, vista la sua scarsa pericolosità al tiro e un ball handling di certo migliorabile, ma la sua difesa e la personalità con cui ha risposto alle responsabilità ricevute in partite così decisive lascia ben sperare per il futuro.

Ora la palla passa nelle mani sue e dei Timberwolves: sarà davvero arrivato il momento giusto per attraversare l’oceano?

Dīmītrīs Itoudīs, uscire vincitore da due sconfitte

Idealmente, quando un allenatore che viene da cinque Final Four consecutive arriva alla sesta, è difficile aspettarsi che possa fare male. Senza dubbio nessuno avrebbe voluto scommettere contro di lui ma, visto l’andamento della stagione, sembrava volerci coraggio per pronosticare anche solo il CSKA in finale. La classifica dà ragione a chi non credeva che il CSKA potesse farcela, ma l’andamento della semifinale ci ha raccontato qualcosa di diverso.

Qualcosa di diverso in verità ce lo hanno iniziato a raccontare già i playoff. Contro un Fenerbahçe rimaneggiato è arrivato un 3-0 nettissimo e siamo tutti subito corsi a specificare come le assenze dei gialloneri di Istanbul avessero pesato sulla serie. Ci siamo però troppo facilmente dimenticati di specificare anche cosa abbia passato il CSKA per arrivare fin qui, ovvero tutte le difficoltà per cui il coach greco non è sembrato soffrire eccessivamente.

Se la squadra di Mosca è sembrata farsi beffe dei problemi economici dovuti allo stop della scorsa stagione firmando Milutinov e Shengelia, in realtà Itoudīs ha dovuto far da subito i conti con un roster con due difetti piuttosto evidenti: la rotazione non adeguatamente lunga per affrontare una stagione così compressa e la mancanza di spacing. Far convivere Milutinov e Shengelia non è un gioco da ragazzi e Itoudīs ci stava riuscendo solo a partire dal 2021, quando il centro serbo, dopo un mese da MVP, ha subito la rottura del crociato, mandando all’aria i piani dell’head coach dell’Armata Rossa.

A questo si è andata ad aggiungere la serie di problemi in spogliatoio creati dal difficile rapporto con Mike James, con la società che ha deciso di prendere le parti dell’allenatore, separandosi dalla guardia. Questa scelta è sembrata inizialmente una legittimazione della posizione di Itoudīs, il quale, con una squadra potenzialmente esplosiva, aveva mostrato degli scricchiolii in vari momenti della stagione. La certezza infatti è arrivata solo col rinnovo, firmato a metà maggio e segno di una fiducia solo parziale della società e di una scelta che è sembrata subordinata all’andamento dei playoff.

La semifinale con l’Efes però ci ha raccontato molto di cosa sia Itoudīs, un allenatore completo, capace sia di trovare contromosse tattiche di alto livello, sia di dare una scossa alla squadra nel momento del bisogno. Il momento del bisogno è stato il quarto quarto, nel quale si è vista l’essenza del CSKA che Itoudīs ha deciso di costruire intorno a Clyburn, rinunciando alla centralità che ci si sarebbe aspettati da Shengelia, in particolare senza Milutinov.

Per sopperire all’assenza del centro serbo, all’inadeguatezza di Eric e al mix di problemi fisici e carenze tecniche di Bolomboy, Itoudīs ha ridotto all’osso le rotazioni dei lunghi, dando maggiore rilevanza alle caratteristiche di Voigtmann, il miglior lungo per aprire l’area. Non a caso nelle ultime gare Clyburn ha tirato fuori due prestazioni clamorose (la gara che ha chiuso la serie col Fener e la semifinale contro l’Efes), mangiandosi il ferro sguarnito degli avversari: 14 liberi tentati e 4/5 in area in Gara 3 contro il Fenerbahçe e 6 liberi tentati e 9/9 in area contro l’Efes.

Le maggiori responsabilità date ad Hackett in fase di creazione, la scelta coraggiosa di dare fiducia ad Ukhov nel quarto quarto della partita più importante dell’anno e tante altre piccole cose hanno quindi portato lo sfavorito CSKA ad un tiro dall’eliminare la miglior squadra degli ultimi anni di Eurolega. Si può uscire vincenti da due partite perse? Sì, se sei Dīmītrīs Itoudīs.

Ora il futuro che lo aspetta è tutt’altro che grigio. Col rinnovo per altri due anni e il ritorno di Milutinov, la prossima stagione si prospetta potenzialmente esplosiva per i russi, i quali già in emergenza hanno dimostrato di potersela giocare con chiunque, grazie a un condottiero che alle massime altitudini non teme la sfida con nessun allenatore.

Il canto del cigno di Vladimir Micov?

Dopo un decennio di solide stagioni in Eurolega, Father Time sembrava aver infine deciso di bussare prepotentemente alla porta del 36enne serbo, che nell’ultima annata è sembrato l’ombra del giocatore che ancora era non più di un anno fa. Nei playoff col Bayern era uscito sostanzialmente ridicolizzato dal confronto col connazionale Lučić, non riuscendo minimamente a contenerlo né in situazioni dinamiche né in post, finendo per vedere il proprio minutaggio scendere nel corso della serie e chiudendo il confronto coi tedeschi con un totale di 4 canestri segnati dal campo su 12 tentativi totali in cinque partite, una miseria, tanto da spingerci ad assegnargli il “premio” di peggior giocatore di Milano.

Nel campionato italiano le cose non sono andate meglio: non solo le cifre e l’importanza in campo si sono ridotte drasticamente negli ultimi mesi, ma Micov non ha proprio messo piede in campo nella serie di playoff contro Trento e nelle prime due partite delle semifinali contro Venezia.

Con queste premesse, l’Olimpia si è presentata a Colonia con un grosso punto di domanda sulla testa di Vlado, ormai apparentemente “bollito”, o quantomeno non più adatto ai palcoscenici delle notti europee. Coach Messina – col quale aveva già disputato due Final Four con la maglia del CSKA – ha deciso comunque di confermarlo in quintetto nella semifinale contro il Barcellona, così come aveva fatto in tutte e cinque le gare della serie col Bayern, pronto nel caso a toglierlo dal campo e relegarlo in panchina.

Micov ha però tolto ogni dubbio dalla testa dell’allenatore nel giro di pochissimi istanti, entrando subito in ritmo con uno dei suoi tipici tiri dalla media e trascinando i suoi compagni nel primo quarto, chiuso con 9 punti a referto.

Dopo un secondo quarto da comparsa, nella terza frazione è tornato a ricoprire un ruolo fondamentale, mettendo a segno prima una tripla importantissima per invertire l’inerzia della gara e poi contribuendo su entrambi i lati del campo al tentativo di fuga meneghino con giocate di esperienza, guadagnandosi un viaggio in lunetta o provocando falli della difesa e uno sfondamento di Higgins.

Purtroppo per Milano, il sogno di uno storico ritorno in finale dopo più di 30 anni si è infranto sul più bello, tra l’errore di Kevin Punter in un tiro che aveva segnato per tutta la stagione e il canestro da fuoriclasse di Cory Higgins, ma l’impatto sulla gara di Vladimir Micov è andato ben oltre le più rosee aspettative dei tifosi.

La finale per il terzo posto è da sempre per ovvi motivi la meno attraente del weekend delle Final Four, anche perché gli allenatori preferiscono non rischiare per troppi minuti i propri giocatori migliori, visti gli impegni nelle fasi finali dei campionati nazionali.

Dall’altro lato resta però una partita da onorare, anche solo per concludere degnamente una campagna europea culminata nella partecipazione al fine settimana più prestigioso dell’anno, oltre ad essere una vetrina per i giocatori meno utilizzati dei due roster. Se quindi Coach Itoudīs ha concesso molti minuti ai giocatori russi a sua disposizione, Messina ha ridotto il carico delle proprie stelle, affidandosi in modo ancora più evidente a Micov.

L’ala serba lo ha ripagato con un’altra prestazione decisamente solida da 14 punti, in cui ancora una volta si è visto il Vlado Micov dei tempi d’oro, trascinando i suoi a una convincente vittoria per chiudere il cammino europeo.

Al momento il futuro di Micov è incerto, il suo contratto scadrà a fine stagione e le 36 primavere sulle spalle iniziano ad essere tante: Vlado ha già dichiarato di voler rimanere almeno un altro anno a Milano con un minutaggio molto più ridotto, ma la società non si è ancora esposto su un eventuale rinnovo.

Ciò che è certo è che ci siamo potuti godere quello che potrebbe essere stato il canto del cigno di un grande giocatore, che ha scelto il momento più importante di una stagione difficilissima per sparare le proprie ultime cartucce.

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Francesco Cellerino
Tifoso sfegatatissimo della Virtus Roma e dei Bucks per amore di Brandon Jennings (di cui custodisce gelosamente l'autografo), con la pessima abitudine di simpatizzare le squadre più scarse e rimanerci male per le loro sconfitte. Gli amici si chiedono da anni se sia masochista o se semplicemente porti una sfiga tremenda...
Paolo Di Francesco
Se potessi tornare indietro nel tempo donerei delle nuove ginocchia a Roy ed Oden. Visto che non posso, mi accontento di questi Trail Blazers meno entusiasmanti. Parlo di Eurolega su Four Point Play, solo per sfoggiare l’accento romano.