I Miami Heat sono passati dalle Stelle alle Stalle

Heat
Copertina di Marco D'Amato

Dopo poco più di due mesi dalla sconfitta alle NBA Finals contro i Los Angeles Lakers, i Miami Heat erano chiamati a ripetere la clamorosa impresa che li ha visti protagonisti di una cavalcata tra le più incredibili e improbabili della storia recente. Nonostante il roster della squadra della Florida fosse rimasto quasi invariato, le altre contender della Eastern Conference si erano notevolmente rinforzate, rendendo il percorso degli Heat verso le Finals molto più complicato.

Per questo motivo, un’uscita alle semifinali di conference sarebbe stato un risultato tutto sommato accettabile, ma probabilmente nessuno avrebbe previsto che i Miami Heat sarebbero stati l’unica squadra a chiudere la post season senza vittorie. La verità, però, è che gli Heat visti in questi ultimi sei mesi sono stati solo lontani parenti di quelli che abbiamo potuto ammirare nella bolla di Orlando, e in questo pezzo cercherò di illustrarvi perché.

Premetto: eventuali analisi sui singoli giocatori sono rimandate a qualche settimana da oggi; quello che state leggendo è semplicemente un resoconto del percorso che ha portato gli Heat a uscire anticipatamente dai playoffs 2021.

Intro: il buongiorno si vede dal mattino

Forti delle Finals appena raggiunte, la strategia dei Miami Heat nella offseason 2020 è stata quella di confermare gran parte del gruppo senza però intasare il salary cap in vista della free agency dell’anno successivo, per provare l’assalto a Giannis Antetokounmpo. La dirigenza ha quindi rinnovato Goran Dragić e Meyers Leonard con contratti annuali più team option per il secondo anno, ma ha dovuto lasciar partire Jae Crowder, giocatore fondamentale nella precedente playoff run, che saggiamente ha optato per un contratto pluriennale con i Phoenix Suns.

Di questa decisione si parlerà tutta la stagione, in quanto il giocatore scelto per sostituire Crowder, ovvero Moe Harkless, spenderà la maggior parte del proprio tempo a Miami in panchina, per poi essere spedito a Sacramento come punizione per non aver contribuito positivamente alla causa.

Assieme a lui è arrivato Avery Bradley, firmato per riempire parzialmente la lacuna del back court degli Heat per quanto riguarda la fase difensiva, carenza emersa prepotentemente contro i Lakers. Purtroppo, nonostante un ottimo inizio, l’ex-Celtics subirà un infortunio muscolare che chiuderà la sua esperienza a Miami dopo poco più di un mese, convincendo gli Heat a impacchettarlo nella trade per Victor Oladipo.

Capitolo 1: quintetti, infortuni e COVID-19 protocol

Queste scelte hanno avuto un ruolo chiave nel pessimo inizio di stagione di Miami, che solamente nel primo mese (15 partite) ha cambiato per ben undici volte il proprio quintetto titolare, alla ricerca dell’equilibrio perduto. Oltre al vacante ruolo di 4 titolare, le difficoltà degli Heat sono state amplificate anche dall’inserimento di Herro in quintetto, decisione quasi obbligata dopo la folgorante esperienza nella bolla di Orlando. L’ex-Kentucky, però, non è stato in grado di ripetere quanto messo in mostra qualche mese prima, risultando inadatto a ricoprire il ruolo di point guard titolare nello scacchiere di coach Spoelstra.

Oltre a questo, anche la salute ci ha messo del suo: Butler subisce un infortunio alla caviglia nella partita di Natale contro i Pelicans, salta le successive due per poi tornare, non al massimo della forma, nelle quattro seguenti, compresa la famigerata vittoria contro gli Wizards. A Washington si sviluppa il più grosso focolaio della stagione che costringe gli Wizards a rimandare numerose partite. Butler sfortunatamente contrae il virus ed è costretto a saltare i successivi 10 incontri, tornando in campo circa un mese dopo contro i Kings, mentre altri diversi giocatori degli Heat vengono inseriti nel Covid-19 protocol. Senza la sua stella, Miami finisce nei bassifondi della Eastern Conference, a causa di un record di 6 vittorie e 12 sconfitte, che diventa 7-14 dopo il rientro di Jimmy.

Capitolo 2: una nuova identità

Grazie al miglior Butler di sempre, i Miami Heat si lasciano definitivamente alle spalle il peggior periodo della stagione vincendo 15 delle successive 19 partite e tornando in zona playoffs dopo diverse settimane. Chiaramente il ritorno a pieno regime del prodotto di Marquette University (33-19 il record con lui in campo, 7-13 senza) e di altri giocatori acciaccati ha contribuito enormemente a questo cambio di rotta, ma è ancora una volta di Spoelstra il merito di aver trovato un’identità congeniale a questo gruppo.

Gli Heat visti in tutta la stagione precedente (bolla di Orlando compresa) erano una macchina offensiva devastante, in grado di segnare contro qualsiasi tipo di difesa, basando il proprio gioco su tagli e blocchi lontano dalla palla, sapientemente intervallati dalle iniziative personali dei vari Butler, Dragić ed Herro e trovando in Duncan Robinson un giocatore in grado di influenzare pesantemente le scelte difensive avversarie, con enormi benefici per la squadra.

A distanza di circa un anno e con gli avversari che hanno capito come limitare la sua squadra, coach Spoelstra, anche a causa dei serratissimi ritmi della stagione, ha fatto di necessità virtù, restituendo agli Heat quell’identità difensiva che li ha caratterizzati negli ultimi anni, mentre in fase offensiva ha confidato nelle doti da creatore di Butler, nei miglioramenti di Adebayo e nella gravity di Duncan Robinson.

Nonostante la costante presenza in campo di 2/3 giocatori non celebri per le proprie doti difensive, gli Heat hanno concluso la stagione con la decima miglior difesa della lega (110.7 di DefRtg), concedendo solamente 42.2 punti di media nel pitturato agli avversari e forzando 15.4 palle perse che hanno fruttato 18.1 punti medi provenienti da queste situazioni (tutto per 100 possessi, rispettivamente secondo, terzo e quarto miglior dato della lega).

La coppia Butler-Adebayo è stata la colonna portante di questo rivitalizzato sistema difensivo, il primo pronto a intervenire sulle linee di passaggio (2.1 recuperi e 3.5 deflections a notte, rispettivamente primo e quarto miglior dato nella lega), il secondo incaricato di proteggere il pitturato sia dalle guardie che dai lunghi, grazie alla sua abilità di difendere 1-5.

Oltre a un’efficace sistema di rotazioni e cambi difensivi in grado di togliere i riferimenti agli avversari, coach Spoelstra ha utilizzato anche altre strategie; un esempio è l’ormai classica zona 2-3 che inizia 2-2-1 a tutto campo per rallentare la manovra offensiva avversaria, anche se quest’anno non si è vista quasi mai quella “invertita” (con le ali nella prima linea e le guardie nascosta nella seconda).

Una novità, invece, è stata la difesa riservata ai megacreator, ovvero giocatori che da soli (o quasi) reggono l’attacco della propria squadra: gli Heat hanno scelto di raddoppiare forte il portatore di palla per indurlo a passare il pallone, lasciando il compito di prendere decisioni importanti ai propri compagni.

Capitolo 3: trade deadline e finale di stagione

Nonostante una ritrovata identità di squadra, testimoniata dai risultati in campo, ai Miami Heat serviva ancora qualcosa per poter impensierire le migliori della classe. Con la trade deadline alle porte, le due lacune più importanti della squadra della florida riguardavano la creazione e i rimbalzi, con un occhio sempre fisso sul ruolo di 4 ancora semi-vacante (nonostante una buona stagione di Olynyk).

Pat Riley è sempre alla ricerca dell’affare in questo periodo dell’anno, e anche in quest’occasione è riuscito a orchestrare alcune trade che hanno migliorato la qualità del roster. Il sostituto di Crowder è stato Trevor Ariza proveniente dai Thunder (con Miami che ha salutato Meyers Leonard e una scelta al secondo giro), mentre al fotofinish è arrivato Victor Oladipo da Houston (in cambio di Avery Bradley, Kelly Olynyk e una scelta al primo giro). Un paio di settimane dopo gli Heat hanno firmato Dewayne Dedmon dalla free agency completando così il roster. Sulla carta Miami ha messo una pezza a tutte le mancanze del roster, ma lo stato di forma dei giocatori acquisiti rappresentava un’incognita non da poco.

Fortunatamente, Ariza, proveniente da oltre un anno di stop, era in ottime condizioni fisico-atletiche, e dopo tre partite si è guadagnato un posto in quintetto, chiudendo la stagione regolare a 9.4 punti, 4.8 rimbalzi, 1.8 assist e 1.0 recupero di media tirando con il 35% da 3 su 4.8 tentativi. L’ex-Thunder in attacco ha avuto il compito di tirare sugli scarichi, mentre in difesa si è occupato per la maggior parte dei portatori di palla avversari, ottenendo risultati stupefacenti.

Anche Dewayne Dedmon è approdato a Miami in ottime condizioni, e nelle 16 partite disputate ha avuto il ruolo di energy guy dalla panca, con il compito di battagliare sotto canestro e di convertire i passaggi dei Dragić di turno.

Per Victor Oladipo, purtroppo, la sorte non ha riservato la stessa fortuna. Una volta superate le visite mediche, l’ex-Rockets è partito subito in quintetto, risultando comprensibilmente spaesato in attacco ma piuttosto attivo in difesa. Sfortunatamente, proprio nella miglior partita in canotta Heat, ha subito l’ennesimo infortunio, finendo anzitempo la stagione.

Ulteriori esami riveleranno che si è trattato di una ricaduta dell’infortunio che lo tenne lontano dal parquet per oltre un anno: in estate Oladipo sarà free agent e gli Heat avranno l’arduo compito di decidere se rinnovarlo a cifre modeste sperando in una guarigione completa o se lasciarlo libero.

Grazie anche ai nuovi arrivi, la squadra di Spoelstra ha vinto 12 delle ultime 16 partite, e soprattutto ha ritrovato quell’efficienza offensiva che mancava dai tempi della bolla: in questo lasso di tempo (circa un mese), l’attacco di Miami è stato uno dei migliori della lega (118.8 di OffRtg e 61% di TrueShooting, rispettivamente terzo e primo dato della lega); tuttavia, gli Heat hanno sbagliato completamente la partita probabilmente più importante della stagione, perdendo contro gli Hawks privi di Young e Capela, lasciandosi sfuggire il tiebreaker compromettendo la possibilità di conquistare il fattore campo nella post season.

Per quanto positivo sia stato questo momento di Miami, la sconfitta ad Atlanta è la fotografia della stagione: ancora una volta gli Heat non sono stati in grado di alzare il proprio livello in una partita importante, e questo aspetto si ripresenterà prepotentemente ai Playoffs.

Finale: la vendetta è servita

Come ogni anno, nei giorni precedenti all’avvio della post season, il leader dei Miami Heat, Jimmy Butler si dimostra fiducioso sulla serie imminente contro i Bucks, non sembrando particolarmente preoccupato dell’andamento altalenante della sua squadra durante tutta la stagione.

Solitamente, l’ex-76ers alle parole ha sempre fatto seguire i fatti, ma non questa volta: gli Heat sono stati annichiliti dai Milwaukee Bucks non riuscendo a vincere nemmeno una partita e sembrando totalmente fuori dalla serie negli ultimi tre incontri. Al di là delle impietose cifre di Butler (14.5 punti, 7.5 assist e 7.0 rimbalzi di media trando con il 30% dal campo, il 27% da 3 e il 73% ai liberi), agli Heat si sono ripresentati tutti i problemi visti durante la regular season, a cominciare dalla prevedibilità offensiva fino ad arrivare alla scarsa fisicità sotto canestro, nonostante i miglioramenti del roster (Dedmon è stato uno dei migliori giocatori della serie per Miami). Sulla serie non mi dilungo oltre e vi rimando a questo articolo uscito qualche giorno fa, in cui vengono analizzati alcuni dei punti chiave della serie.

Se gli obiettivi di inizio stagione sembravano tutto sommato realistici considerando i pochi cambiamenti del roster e gli auspicabili miglioramenti dei giovani, quest’uscita al primo turno non deve stupire più di tanto alla luce degli incostanti sei mesi di regular season; che a Butler piaccia o meno, purtroppo, è impensabile che ai playoffs una squadra possa magicamente premere un interruttore e diventare d’un tratto competitiva contro una delle migliori squadre della Eastern Conference.

Adesso è compito di Riley e soci capire che direzione prendere con questa squadra, che verosimilmente avrà Butler e Adebayo (fresco di estensione contrattuale quinquennale) come colonne portanti. Ad esclusione di quest’ultimi e di Tyler Herro, i restanti giocatori di rotazione saranno tutti potenzialmente svincolati in estate, a partire da Duncan Robinson. Con il pezzo più pregiato della free agency 2021, Giannis Antetokounmpo, che ha giurato amore eterno alla città di Milwaukee, grossi colpi di mercato potrebbero non esserci (della pista Kawhi Leonard è ancora troppo presto per parlarne), ma la disponibilità di giocatori funzionali al duo sopraccitato non dovrebbe mancare, anche perché sprecare un altro anno del prime di Jimmy Butler, ormai 32enne, potrebbe avere conseguenze spiacevoli per il futuro della franchigia.

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Davide Possagno
Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.