Cosa salvare della stagione dei Nuggets

Nuggets Jokic
Copertina di Francesco Ricciardi

Negli ultimi anni i Denver Nuggets ci hanno abituato a delle corse playoff giocate come guerrieri mai domi, pronti a dare tutto sul campo per vincere la battaglia. Questo loro atteggiamento li ha portati a giocarsi il tutto per tutto in una decisiva gara 7 ben quattro volte sui cinque turni disputati tra il 2019 e il 2020, rendendosi protagonisti di alcune delle serie più divertenti da guardare del recente passato.

Quest’anno però la sconfitta non è arrivata dopo una lunga battaglia o inflitta dai futuri campioni, è arrivata con un sonoro sweep subito da Chris Paul e degli esordienti Phoenix Suns, risultato impronosticabile fino a due mesi fa: dopo aver acquisito Aaron Gordon alla trade deadline Denver sembrava realmente preparata per arrivare alle Finali NBA, soprattutto alla luce dei problemi fisici avuti dalle stelle dei Lakers, principali rivali per uscire dall’ Ovest.

Ovviamente le prospettive della squadra sono cambiate in seguito alla rottura del legamento crociato del ginocchio desto di Jamal Murray, infortunio che è stato seguito da quelli delle altre tre guardie della rotazione di Malone: Barton, Morris e la sorpresa Dozier non hanno potuto dare il loro pieno contributo ai Playoff e l’insieme di queste defezioni ha pesato molto. Con il roster decimato nel momento cruciale risulta difficile dare un giudizio alla stagione dei Nuggets; non ci rimane che parlare di quanto di positivo riusciranno a portarsi dietro da questa annata difficile

La nuova forma di Nikola Jokić

Fin dagli albori della sua carriera “Joker” ha impressionato gli spettatori con giocate e prestazioni offensive strabilianti. Nonostante questo sono serviti anni prima che il valore del serbo venisse riconosciuto dai più: il suo atteggiamento scherzoso è stato visto per lungo tempo come un ostacolo alla sua crescita e in molte occasioni è stato accusato di mancanza di professionalità e di cura del proprio corpo, caratteristiche fondamentali per giocatori che ambiscono all’olimpo della lega. La forma fisica del serbo non gli permetteva di giocare minutaggi troppo onerosi e lo scarso impegno messo in difesa spesso ha limitato il suo impatto complessivo sul campo.

L’atteggiamento di Jokić al riguardo è cambiato drasticamente nell’interruzione avvenuta durante la stagione 2020, nel periodo antecedente la bolla di Orlando. In questo frangente ha finalmente deciso di mettersi a dieta ed ha perso più di 10kg in quattro mesi, facendosi trovare in una forma non smagliante, ma quantomeno presentabile per un’atleta del suo livello e i risultati non hanno tardato ad arrivare.

Dopo aver guidato i Nuggets alle loro prime Western Conference Finals dai tempi di Carmelo Anthony e Allen Iverson, Nikola si è presentato sia fisicamente che mentalmente pronto all’inizio di questa Regular Season, compiendo quel decisivo passo che da stella lo ha portato ad imporsi come indiscusso MVP della lega. Inutile girarci intorno: offensivamente in questa stagione regolare se non è stato il miglior giocatore del pianeta ci è andato davvero molto vicino, registrando cifre grezze e statistiche avanzate degne di menzione tra le migliori di sempre.

Jokić era già uno scorer di alto livello: grazie a taglia, tempi, tocco e un gioco di piedi superlativo è sempre riuscito a dominare completamente i lunghi avversari in post ed a rimbalzo offensivo, ma il suo apporto è ulteriormente cresciuto da quando riesce a battere con costanza il lungo avversario dal palleggio. Con qualche Kg in meno è molto più rapido sul primo passo e i difensori a causa delle sue abilità al tiro (50% in stagione dal midrange, quasi il 39% da 3 punti) sono sempre portati ad abboccare alle finte con le quali spesso si aiuta per generare vantaggio.

Questo ulteriore step come scorer ha permesso al serbo di sfruttare al massimo anche le doti di creatore per i compagni, ambito nel quale ha fatto un ulteriore passo avanti: con le difese avversarie così preoccupate delle sue doti individuali è stato fin troppo semplice per Nikola innescare i compagni punendo sistematicamente aiuti e raddoppi avversari.

La nuova forma fisica però non ha aiutato “The Big Tipper” solo in attacco, ma anche nella propria metà campo. Jokić per la prima volta in carriera è sembrato volenteroso in difesa consentendo a coach Malonedi ripianificare la difesa del Pick and roll della squadra passando da una comoda Drop coverage a una più aggressiva difesa “Show”, che per essere efficace richiede un discreto sforzo al difensore del lungo.

Quando possibile a livello energetico Jokić ha eseguito anche diversi blitz sul portatore di palla ed ha provato ad essere solido sui cambi contro gli esterni avversari, con risultati altalenanti, ma sicuramente migliori rispetto al passato.

I playoff hanno evidenziato i limiti difensivi di Nikola, ma l’atteggiamento del serbo è visibilmente cambiato e la speranza è che in futuro possa diventare un difensore neutro per la sua squadra.

I miglioramenti di Michael Porter Jr

Selezionato alla 14esima scelta del draft 2018 il talento di Micheal Porter Jr è sempre stato cristallino per tutti gli addetti ai lavori, ma dopo anni passati fuori dai radar a riprendersi dai gravi problemi alla schiena il ragazzo si è presentato in NBA accompagnato da diversi punti interrogativi, il più grande riguardo alla sua tenuta fisica. La prima buona notizia quindi è che Porter Jr abbia saltato solo una partita in tutta la stagione per problemi fisici, dando l’impressione di essere molto prestante. L’altra ottima notizia è che Michael è migliorato a tal punto da essere tra i finalisti del Most Improved Player nonostante sia un sophomore.

MPJ offensivamente è cresciuto moltissimo nel gioco lontano dalla palla, in particolar modo nel tiro in spot up e nei tagli. La caratteristica peculiare di Michael è il suo tiro in sospensione che, in una frazione di secondo, riesce a far partire da altezze proibitive per qualunque difensore. Eccezionale da 3 punti (44.5% su più di 6 tentativi a gara), nella sua seconda stagione è stato più a suo agio anche dal midrange.

Porter Jr è stato il migliore della lega a segnare i tentativi presi nei pressi del ferro, convertiti con uno storico 83.8%, numero clamoroso frutto degli assist superlativi di Jokić, ma anche delle molte scorribande di Porter in campo aperto, situazione in cui sembra inarrestabile.

Purtroppo al momento la transizione è l’unico momento in cui MPJ riesce a mettere palla a terra: seppur si sia visto qualche piccolo flash, il nativo del Missouri non è mai sembrato davvero a suo agio nel battere il suo uomo dal palleggio o tantomeno a creare vantaggio palla in mano per i compagni, aspetto del gioco in cui è a dir poco deficitario.

Nella metà campo difensiva la trasformazione è stata importante, il sophomore è passato dall’essere un grosso minus per la sua squadra ad essere spesso un difensore positivo.

Perché spesso? Perché purtroppo i blackout di Michael non sono spariti del tutto ed emergono in particolare quando eccessivamente frustrato a causa di una serata storta in attacco. Un Porter Jr che non rende offensivamente diventa rapidamente un problema anche in difesa e in più di un’occasione Malone ha dovuto richiamarlo in panchina durante il crunch time in questi playoff.

Detto questo le dimensioni importanti e un atletismo strabordante lo rendono il miglior rim protector di Denver e un giocatore perfetto per contenere il rollante in aiuto nella difesa show giocata dai Nuggets. Il baricentro troppo alto non gli consente di essere sempre efficace nei cambi sulle guardie e in generale nell’ uno contro uno, ma anche sotto questo aspetto sono arrivati segnali positivi rispetto al passato, con varie giocate degne di nota.

In conclusione Michael Porter Jr è un giovane le cui lacune sono evidenti quasi quanto il suo talento ma, visti i miglioramenti mostrati dopo un solo anno nella lega, la speranza è che un’intera offseason lo possa far crescere ulteriormente, portandolo ad essere il terzo violino di alto livello tanto importante per Denver.

Talento, coesione e “Culture

Durante la stagione, tra l’arrivo di Aaron Gordon e l’infortunio di Jamal Murray, c’è stata una breve parentesi felice in cui tutti i pezzi del puzzle Nuggets erano incastrati al posto giusto e quello che l’immagine finale lasciava trapelare era una squadra completa, con una gran quantità di talento e profonda quanto basta per sostenere una lunga corsa playoff. Questa parentesi è durata solamente per otto partite, campione molto piccolo nel quale Denver è stata quasi inarrestabile: il record è stato di sette vittorie e una sconfitta, merito principalmente del quintetto base che in 110 minuti giocati assieme ha battuto i suoi avversari di 17 punti ogni 100 possessi giocati. Numeri da capogiro che potrebbero essere influenzati dal piccolo campione, ma la sinergia mostrata dal quartetto Jokić-Murray-MPJ-Gordon non può che far ben sperare dirigenza e tifosi.

Le altre buone notizie sono arrivate in seguito all’infortunio di Murray, perché come spesso accade, non tutto il male viene per nuocere. La cultura vincente di questo gruppo è emersa una volta per tutte nel momento di difficoltà e grazie ad un effort collettivo inizialmente la squadra è riuscita a sopperire alla mancanza della stella canadese, rispondendo con una striscia di nove vittorie in dieci gare.

Ogni giocatore della rotazione è stato chiamato a dare il 110% e molti dei minuti lasciati liberi da Murray sono stati assegnati a giovani che spesso hanno sfruttato al meglio l’occasione data loro. Chi ha fatto particolarmente bene è senza dubbio PJ Dozier: la guardia non ha meritato una chiamata al Draft 2017 e non ha saputo trovare spazio durante le prime due esperienze in carriera (ad OKC e Boston rispettivamente), ma in questa stagione grazie ad un’inaspettata versatilità ha scalato le gerarchie di Malone ed è arrivato a giocare oltre 25 minuti di media nella seconda parte di stagione, offrendo un apporto più che solido.

Riuscire a trasformare giocatori undrafted o selezionati nel tardo secondo turno (come Monte Morris) in tasselli di rotazione per i Playoff sono piccoli successi fondamentali per la sostenibilità di uno Small market come è Denver. Questo ci fa capire che oltre ad una grande quantità di talento i Nuggets potranno contare su scout e uno staff di alto livello, ma soprattutto su una culture solidissima ad ogni livello dell’organizzazione.

In sintesi solo la sfortuna ha privato Denver della possibilità di competere per il titolo quest’anno. Tuttavia il core della squadra è ancora molto giovane e la finestra per vincere apertissima. Molto del prossimo futuro passerà dalla salute del ginocchio di Murray, ma se ai prossimi playoff al fianco di Jokić ci dovesse essere nuovamente il suo fido scudiero state pur certi che potremo tornare ad ammirare nuove eccezionali battaglie a Mile High City.

Ti è piaciuto l'articolo?
Dacci un feedback:

Loading spinner
Alessandro Benassuti
Alessandro, studente di economia e pallanuotista, nel tempo libero finge di capire qualcosa di basket. La sua passione sono gli small market, in particolare Oklahoma City e Denver per le quali tifa al di là del risultato. Si vanta di essere il miglior cuoco della redazione di True Shooting.