A Portland si è conclusa un’altra offseason deludente

free agency blazers
Copertina di Edoardo Celli

Dopo una stagione conclusasi con l’ennesima eliminazione al primo turno, nel mondo che ruota attorno ai Portland Trail Blazers serpeggiava l’idea che qualcosa di grosso sarebbe potuto succedere, forse addirittura dovuto. Alla fine non è successo sostanzialmente nulla e l’impressione che si stia cercando da tempo solo di tenere la barca a galla è sempre più forte. Tentare di dare un sussulto alla linea che sta seguendo la franchigia è complicato e non sembra essere nei piani di Olshey e questa off season non ha fatto altro che rafforzare la consapevolezza in questo assunto. Il conservatorismo delle mosse della dirigenza è ormai proverbiale e l’estate è stata un periodo di attesa, con sole mosse che continuano a non cambiare davvero il volto o le prospettive della squadra. 

Il Draft e una Summer League tragicomica

Cominciamo con il draft. Portland arrivava all’attesissimo draft 2021 senza scelte, né al primo né al secondo giro. Torneremo dopo sul motivo di questa situazione, ma comunque era da tempo molto chiacchierata la possibilità di acquistarne una al secondo giro. Questo draft presentava diverse squadre in possesso di più chiamate, come ad esempio New Orleans, e quindi è stato facile raggiungere l’obiettivo. Proprio dai Pelicans, Portland ha acquisito una seconda, la 43, scegliendo di chiamare Greg Brown. 

Brown è un’ala freshman proveniente dai Texas Longhorns, storica squadra collegiale di una delle più ricche università americane in ambito sportivo. Si tratta di un giocatore molto giovane e dalle misure interessanti (circa 6’8 con oltre 7 piedi di wingspan) ma che ha mostrato carenze enormi nella comprensione del gioco. Entrato in NCAA come recruiting numero 9 nella top100 di ESPN, ha faticato più del dovuto, facendo vedere delle ottime qualità atletiche e un potenziale difensivo invidiabile in varie aree del gioco ma poco altro. Ha tirato con un’efficienza sotto la media, ha avuto un rapporto assist/palle perse scoraggiante ed in generale è apparso troppo acerbo anche per l’NCAA. La scelta di Brown non è convincente fino in fondo, dal momento che sono stati lasciati sul piatto prospetti decisamente più talentuosi come Sharife Cooper e BJ Boston, ma a quel punto del draft è una chiamata comprensibile. 

Le prospettive del rookie sono comunque non in linea con la strada che la franchigia ha deciso di continuare a battere, pensando solo ed esclusivamente al presente e non preoccupandosi degli scenari futuri, come potrete leggere andando avanti in questo articolo. Greg è un giocatore che con tutta probabilità vedremo dare un reale contributo a partire dal secondo contratto, a seguito di una prima parte di carriera nella quale avrà bisogno di imparare come pensare alla velocità richiesta dalla NBA. Oltre a questo dovrà lavorare sul tiro, area del suo gioco che sembra potersi sviluppare e che gli darebbe quella dimensione da 3&D tanto ricercata nella lega, alla quale potrebbe dare un’aggiunta di versatilità difensiva di alto livello. 

A chiarire ancora meglio come l’obiettivo di Portland non sia lo sviluppo del talento, che invece in uno small market con il cap bloccato dovrebbe essere ricercato in ogni possibile pertugio, è stata la costruzione e la gestione del roster della Summer League. Due giocatori nati prima del 1990 e di gran lunga il minor numero di giocatori under 23 presenti nei vari roster della Summer League di Las Vegas, una scelta inspiegabile per quel tipo di competizione. Se si esclude Brown, che è stato il meno deludente, gli altri giovani interessanti da osservare erano CJ Elleby, Trendon Watford e Mark Vital. 

Il primo è il sophomore da cui Portland sperava di ricevere risposte ma da cui ha trovato solo messaggi negativi: stimolato a prendersi delle responsabilità in termini di tiri e gestione del pallone (primo per minuti, terzo per tiri e tiri da 3). CJ ha risposto con delle percentuali terribili e senza lanciare messaggi rassicuranti sulla sua abilità palla in mano. Molto male anche le prestazioni di Watford, che essendo un lungo sottodimensionato ha sofferto terribilmente la maggiore fisicità rispetto all’NCAA, e Vital, che dopo una SL nella quale non ha trovato spazio ha deciso di dedicarsi a dei workout per la NFL. 

L’assurdità del roster però risiedeva negli altri nomi: Emmanuel Mudiay, già in conversazioni avanzate per accasarsi allo Zalgiris in Eurolega, come poi successo dopo la Summer League, Milton Doyle, ex Trieste e giocatore senza velleità da NBA, Faried e Beasley, ultratrentenni già fuori dalla lega da tempo, e infine una serie di journeyman come Simmons, Blakeney e King. Nonostante l’età media da squadra NBA, Portland non è uscita da Las Vegas neanche con dei buoni risultati, chiudendo una campagna fallimentare su tutta la linea con un record di 2 vittorie e 3 sconfitte. 

Le mosse in free agency

L’idea con cui Portland si approcciava alla free agency, ed in generale a tutta l’off season, era quella di accontentare Lillard, il quale aveva richiesto pubblicamente una squadra più competitiva. Olshey ha deciso di andare avanti sulla strada che non richiedeva alcuna profondità di pensiero o di ragionamento a lungo termine: prendere quello che era possibile prendere senza troppo sforzo in free agency e sacrificare qualche asset per migliorare un minimo sul mercato delle trade. Tutto questo facendo i conti con una proprietà non disposta a spendere più del dovuto, un appeal della franchigia e del progetto molto debole e l’assenza di asset davvero sostanziosi. Ciò che ne è venuto fuori è stata soprattutto la trade che ha portato Larry Nance in Oregon, in un accordo che ha visto Portland fare da terza squadra nello scambio per Markkanen, finito ai Cavs dai Bulls. Per ottenerlo, i Blazers hanno ceduto Derrick Jones Jr e la loro prima scelta al prossimo draft. 

Parlando del Nance giocatore: è chiaro che la presa di un’ala con un grande fisico, reduce da un’ottima stagione su entrambe le metà campo e nel pieno della carriera sia un buon colpo per la competitività della squadra (e quindi per il morale di Lillard). Nance ha ottime abilità da passatore ed è molto atletico, qualità che lo rende anche un giocatore in grado di accendere i tifosi con schiacciate spettacolari.

Nonostante ciò che possa far pensare questo suo atletismo, Nance non è un giocatore particolarmente efficiente in area e non è un grandissimo rollante. Il suo contributo principale in attacco è dato dall’intelligenza con cui sa muoversi e passare il pallone, oltre al range che nelle ultime due stagioni sembra in via di espansione. La metà campo dove dovrebbe fare più la differenza è quella difensiva, Larry non è un eccezionale stoppatore e neanche un clamoroso difensore uno-contro-uno ma è molto attento nei posizionamenti, sa ruotare coi tempi giusti ed aiutare i compagni, sempre in controtendenza con lo stereotipo del super atleta. 

Quindi tutto bene, vero? In realtà no. Portland ha ceduto la sua scelta al primo giro per il terzo anno consecutivo, ancora una volta per andare a prendere un giocatore che non sposta realmente le prospettive della squadra. Se si poteva aspirare al massimo a dei playoff raggiunti tranquillamente prima della trade per Nance, ora lo scenario rimane lo stesso ma con una scelta in meno. Va detto che la scelta arrivata a Chicago è protetta in lottery, ma se Portland non facesse i playoff la stagione sarebbe da considerarsi fallimentare ed era così anche prima dell’arrivo di Nance. Le due prime offerte per Covington la scorsa estate e la prima offerta per Nance sono i segnali di una dirigenza che vive alla giornata, non avendo neanche troppo chiaro cosa serva per migliorare. 

La mancanza più grande della difesa di Portland è l’assenza di un’ala capace di difendere le migliori ali avversarie, in particolare i megacreator. Nance non risolve questo problema, come Covington lo scorso anno non è riuscito a sistemare il rendimento di una squadra allo sbando nella propria metà campo. Il peccato originale di insistere troppo sulla coppia Dame-CJ dopo la run 2019 è ormai evidente ma qualcosa di diverso si sarebbe potuto fare, almeno negli ultimi due anni.

A Portland si continua invece a buttare oggetti in mare per alleggerire la nave ed evitare il naufragio. Senza uscire dalla metafora, perpetrando questo modo di operare quando il capitano Damian Lillard lascerà la nave a quelli rimasti sulla barca non resterà più niente. Tre anni senza aggiungere un rookie da primo giro in uno small market è difficilmente accettabile, potrebbe esserlo in una franchigia in modalità all-in per il titolo ma Portland non è neanche vicina alle peggiori contender. 

Per puntellare la squadra sono comunque arrivati in Oregon anche tre free agent: Ben McLemore, Tony Snell e Cody Zeller. Si è tentato di trovare qualcosa di utile senza dispendio economico e, in questa prospettiva, non si è neanche scelto malissimo. McLemore e Snell non sono proprio lo stesso tipo di giocatore ma entrambi portano ai Blazers solo ed unicamente tiro. Sono due esterni senza skills di playmaking, ne capaci di creare un tiro per se ma efficaci se innescati sul perimetro, principalmente in spot up. I playoff sarà difficile tenerli in campo per la loro attaccabilità nella metà campo difensiva, difetto che già affligge le due star della squadra, ma potrebbero tornare utili per qualche partita di regular season e per allungare le rotazioni.

Zeller invece è un upgrade rispetto ad Enes Kanter per il ruolo di cambio di Nurkić. Porta dei peggioramenti rispetto al turco in termini di scoring e rimbalzo offensivo, ma in una squadra come Portland ciò che può dare il centro ex Charlotte è senza dubbio più utile. Più abile nei posizionamenti difensivi ed in generale meno distratto nelle rotazioni, Zeller non è un centro estremamente mobile ma non sfigura nemmeno nei cambi difensivi e Billups potrà sicuramente fare affidamento su di lui per aiutare la difesa della second unit. In attacco è sostanzialmente un rim runner, infatti sa giocare bene il Pick&Roll da rollante, ma nel sistema degli Hornets si è trovato anche a gestire dei possessi dalla punta. Questa esperienza acquisita potrebbe permettergli di sostituire Nurki ć nei vari set che a Portland vedono ricevere il bosniaco in quella posizione, almeno per alcuni minuti.

Per concludere, è stata offerta la chance di giocarsi le proprie carte al training camp a due ex scelte top10 al draft come Marquese Chriss e Dennis Smith Jr. Il primo è un lungo, il secondo una point guard, ma incredibilmente condividono una serie di caratteristiche: grande atletismo, inconsistenza al tiro da fuori, difesa al di sotto della media NBA. Principalmente a causa di questi due ultimi punti entrambi non hanno avuto una carriera NBA all’altezza del loro talento ma sono ancora giovani e Portland spera di poterci ricavare almeno un giocatore da regular season. Il primo ha firmato un contratto non garantito, il secondo ha un accordo che si limita al training camp, vedremo se riusciranno ad entrare nel roster. 

… e Lillard?

L’elefante negli uffici della dirigenza di Portland è sempre lui, Dame. Dopo aver dichiarato in maniera esplicita di volere un roster più competitivo, Lillard si è parzialmente defilato dalle questioni legate alla sua franchigia, poiché impegnato in un’estate particolarmente intensa. Iniziata con l’oro olimpico di Tokyo, vinto col team USA, è proseguita con altri due eventi eccezionali nei primi giorni di settembre: il matrimonio con Kay’La, sua compagna storica e madre dei suoi figli, e l’uscita del suo album “Different On Levels The Lord Allowed”, che vede featuring di artisti come Lil Wayne e Snoop Dogg. 

Se anche i tifosi Blazers sembrano più tranquilli riguardo una sua eventuale partenza (come non era qualche mese fa, tanto che avevamo ipotizzato delle possibili trade), è difficile togliersi dalla testa l’idea che la tempesta sia sempre dietro l’angolo. Lillard è da sempre un giocatore estremamente leale, una caratteristica che ha fatto bene alla franchigia ma che gli ha impedito di mettere in campo il suo focoso spirito competitivo ai massimi livelli. Per un giocatore come Dame vedere gli altri competere per il titolo non è una situazione accettabile per sempre. Alla luce di ciò, la possibilità che Lillard non abbia effettivamente dato un altro anno di tempo a Portland ma che possa decidere, dopo qualche mese di regular season, di chiedere la trade è concreta. 

La squadra che Portland ha messo in piedi non è certamente il miglior biglietto da visita per “vendere” la stagione come vincente alla propria superstar. Un colpo intelligente ma pagato caro come Nance, un buon backup di Nurkić, un paio di tiratori, un rookie estremamente acerbo, niente che avvicini di un passo Lillard e i Blazers al titolo. Anzi, in realtà la situazione si fa ancora più complicata, dal momento che già lo scorso anno Portland ha ottenuto i playoff scampando per un soffio il play in.

In questa stagione molte squadre arrivate dietro i Blazers si presentano più agguerrite, a partire dai Lakers, che potrebbero non subire lo stesso numero di infortuni o sopperire ad essi con un Westbrook che in regular season fa sempre il suo, e dai Warriors, col ritorno di Klay Thompson. Scalpitano anche giovani stelle che avranno un anno in più di esperienza, come Doncic, Williamson o Morant. Ai Blazers sembra non bastare solo un Lillard fedele alla franchigia, ma servirà anche un Lillard totalmente votato alla causa, in campo e fuori, non distratto dai rumors e non sfiduciato dalle mancanze del roster. 

Cosa succederà da qui alla deadline è ancora da scoprire ma anche quest’anno il destino dei Blazers è tutto nelle mani di Dame.

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Paolo Di Francesco
Se potessi tornare indietro nel tempo donerei delle nuove ginocchia a Roy ed Oden. Visto che non posso, mi accontento di questi Trail Blazers meno entusiasmanti. Parlo di Eurolega su Four Point Play, solo per sfoggiare l’accento romano.