Otto appunti sul primo mese NBA

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Copertina di Matia Di Vito

Eccoci qua, per la terza stagione di fila. Chi ci legge da tempo sa già cosa aspettarsi da questa rubrica, per i nuovi una brevissima spiegazione: sarà un articolo senza capo né coda, è semplicemente una raccolta di cose che ho notato nell’ultimo mese di gare. Possono essere cose che mi sono piaciute, cose che non mi sono piaciute, curiosità statistiche o nerdate da fondo rotazione, il tutto mescolato insieme.

Ci saranno clip, ci saranno numeri, ci saranno sensazioni, sarà un grosso calderone, ma essendo passato solo un mese di Regular Season in questo primo episodio cercherò di concentrarmi su osservazioni visive e su sentimenti vari piuttosto che soffermarmi sulle crude cifre. Basta, abbiamo perso già tempo a sufficienza, partiamo.

1) Memphis deve accelerare la timeline

Qualora non ve ne foste accorti, Ja Morant ha deciso che da ora in poi è una superstar. E vi dirò di più, non soltanto uno di quelli belli da vedere, che fa All-Star Game ma poi quando le difese si chiudono soffre…potrebbe addirittura esaltarsi in quei contesti. Ja Morant potrebbe non essere una superstar da vetrina, ma una superstar vera e propria, uno di quelli attorno al quale puoi fondare una squadra con aspirazioni importanti.

Morant sembra aver lavorato molto sul tiro in estate, e tutto il resto sta succedendo di conseguenza. Se il suo difensore deve rispettarne il tiro, Morant può sfruttare il primo passo per bruciarlo e chiudere al ferro, dove ha sempre avuto percentuali molto alte, ma che quest’anno sono state finora degne di un centro che raccoglie quasi solo alley-oop: 70.8% è un numero senza senso per una Point Guard di 6’3″, ma Morant non lo sa e continua a segnare con quelle percentuali lo stesso. Oltre all’esplosività, il tocco che sta mettendo in mostra è di primo livello.

Ovviamente, la costruzione di un vantaggio sul diretto avversario non deve per forza portare ad una conclusione al ferro, ma si può anche creare per i compagni di squadra. Sebbene con la partenza in quintetto di Bane e Melton i compiti di creazione siano più distribuiti (cosa che potrebbe cambiare col ritorno di Brooks), Morant rimane la fonte di creazione primaria e sembra trovare più facilmente i propri compagni di squadra ora che gli spazi per lui sono maggiori.

Tutto questo per dire che, se Morant sembra stia compiendo il grande salto o perlomeno sia pronto per compierlo, probabilmente lo stesso non può dirsi della sua franchigia. Ero stato critico col mercato di Memphis quest’estate, e a maggior ragione il mio giudizio potrebbe inasprirsi qualora Morant fosse questo e Jackson confermasse le difficoltà di inizio stagione.

Il roster di Memphis è così profondo che Jenkins sta faticando a trovare minuti per Kyle Anderson, uno dei tre migliori giocatori di Memphis l’anno scorso, e per Brandon Clarke, che negli anni ha dimostrato di essere il miglior compagno di reparto per JJJ stesso e questa stagione sta dimostrando di essere più in palla rispetto all’anno scorso. Bane e Melton finora hanno avuto lo spazio che meritano solo grazie all’infortunio di Dillon Brooks, che però ora sta tornando in rotazione, e potrei andare avanti.

Dodici giocatori (12!) giocano più di 13 minuti a partita, e queste cifre non sono influenzate dalle quattro sconfitte a largo margine che i Grizzlies hanno subito (l’ho già detto che la loro difesa è atroce finora?). Lavorare con una rotazione così lunga mette in difficoltà il coach e potrebbe levare certezze e ritmo ai giocatori, senza contare che Memphis potrebbe ottenere qualcosa di veramente succoso in cambio di un pacchetto composto da scelte e alcuni dei suoi ottimi comprimari.

Chiaro che i Grizzlies vogliano capire cos’hanno per le mani in Jaren Jackson Jr prima di muoversi in qualsiasi direzione, ma allo stesso tempo devono essere molto cauti col prime di Morant, un giocatore che sembra fisicamente fragile e basa il suo gioco su un’esplosività senza senso: le finestre con questi giocatori sono più corte di quel che si pensa ed iniziano prima rispetto ai loro pari ruolo. I migliori anni di Morant potrebbero essere già qua, e Memphis non sembra essere ancora pronta.

2) Miles Bridges sta facendo il salto

Rimanendo in tema “giovani che stanno esplodendo“, dovreste sottolineare il nome di Miles Bridges con la penna rossa. Charlotte non sembra una squadra troppo diversa dall’anno scorso: uno degli attacchi più spettacolari, ma allo stesso tempo un colabrodo difensivo. Anche i punti deboli sembrano ben noti: l’acquisizione di Plumlee non ha risolto i problemi sotto canestro, e la squadra sembra priva di un leader vocale che sia in grado di guidare una difesa. L’unica vera grande differenza rispetto all’anno scorso è che Charlotte sembra aver trovato il secondo pilastro attorno al quale costruire il proprio futuro in Bridges, e che questi sia compatibile con LaMelo già si sapeva.

La nozione che Miles Bridges sia esclusivamente un giocatore estremamente atletico e gran schiacciatore purtroppo circola ancora tra gli appassionati, ma il prodotto da Michigan State è molto più di un semplice freak muscolare. Bridges è un tiratore assolutamente rispettabile, e sebbene le percentuali siano scese rispetto alla scorsa stagione (per ora siamo a 34.4% rispetto al 40% dello scorso anno), il numero di tentativi è cresciuto notevolmente (9.6 per 100 possessi contro 7.3 della scorsa annata) e la tipologia di triple tentate si è fortemente diversificata: Bridges ora prende spesso triple dal palleggio, in uscita dai blocchi o in stepback, con risultati ancora alterni, vero, ma segnale incoraggiante che lascia pensare che in futuro l’etichetta “3&D” potrà essere riduttiva per lui.

Come se non bastasse, Bridges sta confermando che i progressi fatti vedere lo scorso anno in difesa, principalmente in 1vs1 sul perimetro, sono veri. Unite questo ad un profilo fisico di un giocatore che difficilmente in futuro verrà mosso in post da qualsivoglia 4 della lega, ed avete una sorta di cheat code difensivo, che però dall’altra parte del campo ne segna più di 20 con buona efficacia, con o senza palla in mano.

Bridges sarà Restricted Free Agent quest’estate, dopo che le discussioni per un’estensione contrattuale sono naufragate in malo modo. Si parla di un’offerta iniziale di Charlotte pari a 60 milioni spalmati su 4 anni, cifra che era bassa ancor prima di vedere i miglioramenti fatti in estate da Bridges e che ora pare persino offensiva se fatta da un Front Office che ha avuto modo di appurarne l’evoluzione ogni giorno in allenamento ed in training camp. È probabile che nell’estate 2022 Charlotte debba garantire circa il doppio del denaro proposto nelle contrattazioni per trattenere Bridges in North Carolina.

3) Frank Kaminsky?! Veramente?

Quasi tutti quanti, me compreso, hanno scritto in matita il nome dei Suns in uno dei primi tre posti (nel mio caso, due) nella classifica dell’Ovest a fine Regular Season. Non avevo considerato quanto questa squadra avrebbe sofferto l’assenza di Dario Šarić prima dei playoff: il centro croato è stato forse il punto di forza principale di una second unit che l’anno scorso ha tenuto a galla i titolari nel primo quarto di stagione, e in seguito ha aiutato i Suns ad essere una corazzata da Regular Season come nessun’altra tolti i Jazz.

Per capirci, con Šarić in campo i Suns sono stati 6.2 punti per 100 possessi meglio di quanto non fossero con lui seduto in panchina, non poco per una squadra che ha chiuso con un Net Rating di 5.9. In estate avevo lodato l’acquisto di McGee, che ritengo ancora possa risultare utile in determinati matchup ai playoff, ma la verità è che il lungo che sta tenendo a galla i Suns in questo inizio di stagione senza Ayton (che sì, comincio a credere stia furbamente e giustamente scioperando fintanto che Sarver non verrà cacciato) è un eroe inaspettato, Frank Kaminsky.

Nelle cinque gare senza Ayton, Kaminsky ha giocato 28 minuti di media e messo a referto quasi 17 punti a notte, demolendo senza distinzione centri avversari titolari e di riserva. È vero, le quattro squadra affrontate sono tutte in situazioni particolari al momento (NOLA, Sacramento, Atlanta e Portland), ma è altrettanto possibile che Phoenix avrebbe potuto far parte di questa lista qualora Kaminsky non avesse alzato l’asticella del suo gioco a tal punto.

La ricetta sembra semplice: Kaminsky ha smesso di fare le cose che non sa fare, ed improvvisamente è diventato un giocatore che può impattare positivamente una gara, soprattutto contro i quintetti di riserva avversari. Sembra addirittura che la sua attività difensiva in drop sia migliorata, soprattutto quando gioca quasi al livello del bloccante.

Sebbene i tifosi Suns si ricordino ancora dell’impatto di Frank The Tank in gara 6 delle scorse Finals, è improbabile che Kaminsky possa essere un fattore ai playoff, anche perché le prestazioni di Šarić stesso hanno messo in mostra come quel tipo di giocatore faccia fatica in un contesto playoff. Ciononostante, se a fine anno le sue prestazioni avranno garantito ai Suns anche solo 3/4 vittorie in più in Regular Season, il suo contratto al minimo salariale da terzo centro sarebbe già ben che ripagato.

4) Portland ha problemi, e potrebbero non essere nei comprimari

Portland non è partita col piede giusto in stagione, ed il record (5-7) è lì a testimoniarlo. Certo, Dame è partito freddo al tiro e la cosa si sistemerà, come si sistemerà probabilmente il record. La cosa più preoccupante, però, è che i problemi visti sinora siano ancora quelli di sempre: settimo attacco della lega, ma ventitreesima difesa.

A rendere il quadro meno roseo è il fatto che Olshey e compagnia (ora sotto la lente d’ingrandimento di un’inchiesta interna) abbiano fatto di tutto per provare a migliorare la difesa in questi anni, aggiungendo in ordine temporale Nurkić, Covington e Larry Nance Jr. Lo stesso Powell è un difensore in isolamento più che valido, può reggere sui cambi in post…insomma, diciamo che una buona parte delle lineup di Portland ha tre giocatori che possono essere definiti “buoni difensori”. Questo ci porta all’ormai tradizionale domanda: Portland le ha provate tutte attorno a Lillard e McCollum, e nessuna ha funzionato. A questo punto, siamo sicuri che il problema non stia proprio nella coppia di guardie?

La ragione per sollevare il tema per l’ennesima volta è la partenza a razzo di Norman Powell. Come ogni anno, anche all’inizio di questa stagione è partita la caccia al compagno di Dame&CJ il cui spot avrebbe potuto essere oggetto di miglioramento in fase di costruzione del roster. La maggior parte delle critiche sembra essersi rivolta verso Powell, “reo” di non aver avuto l’impatto desiderato la scorsa stagione dopo la trade con Gary Trent Jr e additato come capitolo di spesa eccessiva coi suoi 90 milioni in 5 anni. Beh, finora Powell è sembrato tutto fuorché un orpello sovrapprezzato.

Per Cleaning The Glass, Powell è il Trailblazer che sta avendo il miglior On/Off tra i membri permanenti della rotazione: Portland è 10.2 punti meglio per 100 possessi con lui in campo, ed è abbastanza evidente il perché. Non solo Powell sta tirando col 51.2% dal campo e col 47.2% da 3 (cifra la seconda destinata a scendere, sebbene Powell tiri col 40% da 3 da quattro stagioni) per circa 19 punti a notte, ma è anche il difensore assegnato all’attaccante perimetrale avversario più pericoloso. Chiedere per esempio a Paul George, che ha fatto quel che ha voluto contro Covington, ma ha avuto decisamente più problemi a passare oltre Powell stesso.

Il morale della favola è che ritengo che i pezzi di contorno a Portland, Nance, Nurkić, Covington e Powell su tutti (e lo stesso Simons sta giocando una buona stagione e Zeller è un backup 5 di tutto rispetto), siano di buon livello. A dirla tutta, se si analizza il roster delle contender vere e proprie, nessuna spicca per il livello del roster negli slot 3-9, forse con la sola eccezione dei Suns. La differenza sta nei primi due, ed è probabilmente ora per chiunque prenda le decisioni a Portland di accettare questa realtà.

5) Draymond è tornato

Golden State è 11-1, con un astronomico Net Rating di +14.3. Vero, il calendario finora è stato clemente con i Warriors, ma anche le partite contro le squadre meno forti partono da 0-0, e comunque batterle così largamente è indice di una squadra solida a dir poco. Come evidenziato da Ben Taylor, Golden State ha un Net Rating di +8.8…nel solo terzo quarto.

Attribuire questa partenza al solo Stephen Curry sarebbe offensivo per il resto della squadra, e allo stesso modo lo sarebbe dire che sia tutto merito di Steph e Draymond. Ma è indubbio che Steph sia finora il migliore giocatore della migliore squadra, ed è altrettanto vero che Green sia, per distacco, il secondo miglior giocatore di quella squadra.

All’improvviso, Green sembra ritornato uno dei migliori (se non addirittura il migliore) difensore della lega. In questa azione c’è tutto, rimbalzo difensivo finale compreso, area di attenzione per i Warriors come confermato più volte da Coach Kerr (e guarda caso, GS è seconda per rimbalzi difensivi nella lega).

Golden State ha finora il miglior Defensive Rating della lega, con molto distacco sui Nuggets, secondi un po’ a sorpresa. Sebbene finora i californiani siano stati abbastanza fortunati con gli avversari al tiro, anche l’anno scorso hanno concluso la Regular Season come quinta miglior squadra difensiva della lega. L’ulteriore salto di qualità dipende probabilmente dall’aver tolto i minuti di Wiseman ed averli dati, sostanzialmente, a Looney e Gary Payton II (ormai diventato una versione più lunga ed atletica, ma meno passatrice, del Bruce Brown di Brooklyn), ma il cuore di tutto rimane Draymond, che sembra essere tornato a livelli di atletismo precedenti all’arrivo di Durant nella baia.

Ovviamente, anche dall’altra parte del campo Green sta continuando a muovere le fila dell’attacco gialloblu, vero playmaker della squadra. Al momento, Green sta facendo registrare 11.5 assist per 100 possessi, quinto in tutta la lega. Come se non bastasse, Draymond sta concludendo al ferro molto più spesso che in ogni altra stagione, esclusa la solita annata di grazia 2015-16. Il 44% dei suoi tiri arriva al ferro, dove segna nel 71% dei casi.

Klay Thompson o non Klay Thompson, probabilmente i Warriors sono una contender già ora, e tanto per cambiare Green è, insieme a Curry, l’ingranaggio più importante.

6) Salvate il soldato Barnes

La narrativa attorno al percorso NBA di Harrison Barnes è strana. In un filotto eccezionale di prese al draft da parte di Golden State, raramente sentirete citato il nome di Barnes. Vince un anello nel 2015 come parte integrante della squadra, giocando quasi 30 minuti a notte, il suo ruolo cresce ancora nel 2016, fa parte della Death Lineup originale…eppure tutto viene cancellato con un colpo di spugna nell’Estate 2016. Golden State comprensibilmente decide di non pagarlo alla notizia che Durant si sarebbe unito a loro. Barnes va a fare la prima opzione offensiva a Dallas, da lì poi viene mandato a Sacramento (e vorrei davvero tanto sapere quanto i Mavericks preferirebbero avere lui piuttosto che Porziņģis a roster).

In un certo senso, la scelta di un ruolo offensivo maggiore in squadre di profilo minore ha comportato una sorta di Damnatio Memoriae per Barnes, il quale però nel frattempo è passato dall’essere una prima opzione estremamente limitata (e inefficiente) all’essere uno dei migliori giocatori di complemento della lega: seconda/terza opzione offensiva ad altissime percentuali (50/39/83 l’anno scorso, e quest’anno siamo a 50/43/85), buon difensore perimetrale dall’altra parte, dove lo sviluppo fisico lo ha portato ad essere uno dei più versatili tra gli esterni: Barnes sa tenere anche i 4 più fisici in post, ma può anche cambiare sulle guardie più pericolose.

L’area dove Barnes è migliorato di più negli anni è il tiro da fuori, che al contempo ha messo in mostra le sue capacità in entrata. Da ormai un paio di anni Barnes è tra i giocatori che più facilmente arriva al ferro in tutta la lega, dove sa concludere in molti modi ed è in grado di assorbire gli urti come pochi. Le percentuali sembrano confermare l’eye test: da quando è a Sacramento, Barnes non è mai sceso sotto il 69% al ferro.

Congiuntamente, Barnes sembra aver fatto dell’entrata a canestro la sua prima opzione, come validato dal numero di liberi: Barnes in stagione va in lunetta quasi nove volte per cento possessi, settimo nella lega tra coloro che giocano più di 20 minuti a notte. Barnes è troppo veloce per i lunghi (qua Bazley non può nulla già dopo che Barnes appoggia il piede sinistro a terra sul primo palleggio)…

…e troppo forte per le guardie.

Il contratto di Barnes vale 20 milioni quest’anno e 18 il prossimo. Fossi una contender in cerca di un terzo violino, io ci scommetterei senza troppi dubbi.

7) A New Orleans è notte fonda

I Pelicans sono una sciagura. Ne abbiamo parlato recentemente in un articolo, ma credo che valga la pena ripeterlo: i Pelicans sono una sciagura. Venticinquesimo attacco, e questo potrebbe anche essere comprensibile data l’assenza di Zion; trentesima difesa, e questo è decisamente meno comprensibile data l’assenza di Zion.

Il dato difensivo sostanzialmente ci dice che, anche con uno Zion sano, questa squadra non avrebbe una speranza per i playoff: se prendi 114 punti ogni 100 possessi come i Pelicans fanno, dovresti segnarne almeno 111/112 per avere una qualche speranza di agguantare il play-in…questo implicherebbe essere uno dei primi 4 attacchi della lega, e ripeto solo per sperare nel play-in. Tradotto in altri termini: l’attuale nucleo dei Pelicans è tra il male ed il molto male, Zion o non Zion.

L’azione che segue è un compendio dell’orribile: Nickeil Alexander-Walker rispetta per qualche ragione il tiro di Dort, e vabbè. Dopodiché mette il corpo in modo da lasciare del tutto la mano destra a Dort, nonché l’entrata diretta fronte a canestro. Hart non fa un passo per aiutare su Dort lasciando libero Giddey (non esattamente noto per essere uno che tira con le luci della palestra spente), e per concludere Valančiūnas non fa nemmeno finta di provarci ad aiutare sotto il ferro. Immagino che la minaccia di Derrick Favors in angolo fosse troppo grande.

Chi fra tutta la ciurma di malcapitati Pelicans mi ha stupito di più in negativo finora è Alexander-Walker, il quale è fondamentalmente rimasto il giocatore che era quando è entrato in NBA: sottopeso per il proprio ruolo, impreciso al tiro, troppo poco esplosivo sulle entrate, buco nero in difesa. In stagione sta tirando col 38% (!) dal campo, prendendo la metà dei propri tentativi da dietro la linea da 3 e convertendoli col 28%. Al di là dei numeri, che sono oggettivamente pessimi, è il fatto che NAW non abbia migliorato di un’oncia la propria selezione di tiro a lasciarmi molto perplesso.

Sono tra i più dubbiosi sul fit Ingram-Zion. Credo che Zion dovrebbe essere circondato da buoni difensori POA sugli esterni e da uno “alla Covington” vicino a lui, possibilmente tutti e 4 tiratori, un paio che sappiano offrire del playmaker secondario. Giustamente, i Pelicans hanno lasciato andare un giocatore che corrispondeva alla perfezione con l’identikit appena fatto in Lonzo Ball. Non ho idea di quale sia il piano di Griffin, so solo che per ora la possibile cattiva chimica tra le due stelle della squadra è un problema ben sepolto sotto una montagna di altre questioni.

8) Si scrive Reaves, si legge Caruso

Penso che i Lakers abbiano avuto un’offseason al limite del disastroso. Sono partiti dall’avere, se sana, la squadra nettamente più forte ad Ovest e sono riusciti nel giro di una settimana a bruciare tutto il vantaggio che avevano, ma non voglio soffermarmi su discorsi su cui mi sono già espresso fin troppo.

Voglio invece dare lo spazio che merita alla migliore mossa estiva dei Lakers, e cioè dare un biennale ad Austin Reaves. Il rookie classe ’98 da Oklahoma era uno dei prodotti più pronti del draft, ed i losangelini sono stati bravi ad accaparrarselo prima del draft stesso (ufficialmente Reaves ha firmato il contratto biennale appena finito il draft, ma in realtà questi accordi vengono tipicamente presi prima tramite l’agente). In una stagione in cui ai gialloviola manca tantissimo la difesa Point of Attack che Caruso e KCP portavano, Reaves è manna dal cielo, in quanto il suo skillset si sovrappone molto con quello di Caruso stesso.

Reaves è un difensore POA meno feroce di Caruso, che aveva un’abilità notevole nello stare attaccato al proprio uomo sui blocchi, ma è più lungo e grosso del neo Chicago Bulls. Gli istinti di passatore, anche quelli non si discutono.

L’area dove credo i Lakers possano sentire di più la differenza tra Reaves e Caruso sono le entrate al ferro. Caruso era un motorino, prendeva il 40% dei propri tiri al ferro o a distanza floater; Reaves arriva al 24%. L’impressione è che il primo passo di Reaves sia meno bruciante di quello di Caruso, e quindi la sua efficacia sui closeout è minore. Qui Reaves non riesce a bruciare Dennis Smith Jr sul primo passo (cosa di solito non impossibile), quindi non riesce ad avere una entrata “dritta” a canestro, e per concludere la sua forza non è sufficiente a spostare Smith Jr.

Credo che i Lakers rimpiangeranno a lungo la trade Westbrook, ma penso anche che Reaves, se usato sapientemente, possa avere un impatto simile a quello che Caruso aveva avuto nella run playoff nella bolla e che il suo skillset sia molto più compatibile con LBJ e Davis molto più di compagni più blasonati di lui. La palla ora passa a Vogel.

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Andrea Bandiziol
Andrea, 31 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di True Shooting vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora.