5 giocatori over 40 che vorremmo rivedere in campo

Copertina di Sebastiano Barban

“With the tenth pick in the Draft, the Boston Celtics select… Joe Johnson”. Inizia così una lunga e splendida carriera, conclusasi nel 2017-2018 pur senza un ritiro ufficiale. Poi qualche momento di gloria nella lega spettacolo/baraccone BIG 3, ed ora la meritata pensione per Iso Joe.

E invece no, dato che alle 17:03 ora italiana del 22 Dicembre 2021 Adrian Wojnarowski lancia quella che potremmo definire una “Wojbomb” postdatata: i Boston Celtics firmano con un contratto decadale proprio il giocatore che draftarono 20 anni fa.

Joe Johnson ritorna a calcare i parquet NBA, due mesi dopo aver dichiarato in un’intervista che “non ho ancora finito con la NBA; non ho un piano preciso, ma sto cercando di far accadere delle cose”.

Delle cose sono in effetti accadute: la lega viene attraversata da un’ondata di contagi, le squadre iniziano a vedere sempre più giocatori finire nel temuto Health and Safety Protocol, i roster si ritrovano sguarniti e qualche gara deve essere rimandata per mancanza di effettivi.

La lega si attiva e mette una pezza: sarà possibile firmare giocatori per rimpiazzare gli assenti senza andare ad intaccare il cap. I giocatori saranno pagati, ma il loro stipendio non sarà contato nel calcolo per la luxury tax.

Ed è qui che la magia, già annunciata con il ritorno di Isaiah Thomas in maglia Lakers, compie il suo capolavoro: Joe Johnson torna in campo con i Boston Celtics, a spiegare isolamenti e tiri in sospensione vellutati ai giovinastri nella lega.

E quindi, siccome citando Kevin Garnett “ANYTHING IS POSSIBLE”, ho deciso di prendere la palla al balzo per stilare la mia personalissima top 5 di giocatori over 40 che adorerei rivedere in campo.

Mi baserò su due criteri per la mia selezione: quanto questo giocatore potrebbe ancora produrre nella NBA moderna (ovviamente, in quanto archetipo di giocatore) e quanto io personalmente vorrei rivederlo.
Se mi conoscete sapete che mi piace mettere delle regole e subito creare delle eccezioni, per cui la top 5 è in realtà una top 5 e mezzo, ha anche un giocatore bonus e vi presenterò una lista di illustri esclusi.

Attenzione: ho scavato nella mia memoria recente e seguendo la NBA assiduamente dal 2008 non sono andato a cercare giocatori di cui non ho un ricordo personale (tranne uno, perché anche qui ho fatto un’eccezione).

E quindi, signore e signori, vi presento la mia personalissima top 5 di giocatori che vorrei rivedere sul parquet firmati con un decadale.

“E mezzo” – I tiratori: Mike Miller, Ray Allen e Peja Stojakovic

Quanto vorrei rivederli: 7/10

Quanto potrebbero produrre: 5/10

Ditemi quale squadra, tra le 30 della lega, direbbe di no ad un tiratore d’élite nel proprio roster. Però ditemi anche quale squadra, tra le 30 della lega, accetterebbe di avere un 3&D senza “&D”. 

Se Ray Allen per doti atletiche e tecniche non era un difensore mediocre, anzi, gli altri sarebbero nel mio roster soprattutto per il lato offensivo. La NBA resta una lega in cui saper mettere la palla dentro il canestro da lontano è una abilità molto ben valutata, e Miller e Stojaković con i loro 203 e 208 cm sarebbero direttamente assunti come stretch 4. Mettiamoli in una difesa a zona che li faccia correre il meno possibile (non me li vedo a switchare su un Ja Morant, per dire) e godiamoci qualche minuto di retine bruciate.

Tutti e tre hanno un curriculum notevole: Allen (40% da tre su 5.7 tentativi), Peja (40,1% da tre su 5.1 tentativi) e Miller (40,7% su 3.8 tentativi) sono stati protagonisti di partite e momenti importanti e hanno saputo rispondere all’appello.

Ho scelto tre momenti: Per Ray Allen, la scelta era automatica. Di quel tiro, e di quella partita, ne abbiamo parlato già approfonditamente

Peja Stojaković ha fatto una cosa che personalmente apprezzo molto nella sua estetica filosofica, e che Cuban ha sottolineato durante la cerimonia di consegna dell’anello alla squadra campione nel 2011: ha avuto la grande dignità di ritirarsi da campione. Qui in azione nell’ultima run playoff della sua carriera, in cui dimostrò che ancora se la cavava.

Formato 4:3, 14 pixel e musica balcanica: benvenuti nel Peja Show

Per Mike Miller volevo inserire il video in cui fa 78/80 in allenamento, ma non posso non portarvi l’indimenticabile tiro senza una scarpa durante le Finals 2012.

5) Andre Miller

Quanto vorrei rivederlo: 7/10

Quanto potrebbe produrre: 6/10

17 stagioni, 9 squadre girate, un totale di 74 partite saltate in 17 anni. Una media di poco più di 4 assenze per stagione. Un floor general di ghisa, indistruttibile, capace di portare ordine e creare gioco ovunque andasse. Undicesimo nella classifica di assist realizzati nella storia della NBA, 6.5 a partita di media in carriera, un footwork notevolissimo, un’avversione al tiro da tre e al tiro in sospensione tout court che lo rese uno tra i playmaker in post più efficaci della storia NBA.

Avete presente il ragioniere con fascetta e maglia della salute che vi distrugge ogni sabato al campetto? Lui, ma in NBA.

Non so quanto potrebbe produrre un giocatore così nella lega odierna, in cui un piccolo senza tiro è quasi automaticamente un paria. Ma di playmaker efficienti, solidi e senza fronzoli ce ne sono pochi, e Andre Miller come sesto uomo, a patto di avere già uno scorer che arriva dalla panca, sarà sempre un lusso per ogni squadra che potrà accaparrarselo.

Il suo lato anacronistico poi lo rende irresistibile ai miei occhi. 

4) Jason Terry

Quanto vorrei rivederlo: 8/10

Quanto potrebbe produrre: 5/10

Ammetto che qui è il cuore che parla. Perché una guardia piccolina, con un tiro da 3 buono ma non élite (38% su 4 tentativi) e la capacità di gestire un pick ‘n roll alla bisogna non è un giocatore introvabile o “speciale” nel panorama cestistico di oggi, o se è per questo anche di allora.

Ma questo pazzoide si tatuò il trofeo ad inizio regular season come portafortuna quando era ai Mavericks, e quando fu scambiato ai Celtics l’anno dopo fece la stessa identica cosa, per poi dover correre dal tatuatore a farselo cancellare perché una volta sì, ma due anche no.

Leader carismatico puro, uomo spogliatoio sanguigno, dotato di una fiducia cieca, illogica ed incrollabile nei propri mezzi. Un uomo che disse “LeBron James può marcarmi bene una gara, può marcarmi bene due… ma non potrà mai marcarmi per sette gare”.

Ed ebbe ragione.

3) Manu Ginobili

Quanto vorrei rivederlo: 8/10

Quanto potrebbe produrre: 8/10

Se qualcuno dovesse chiedermi quale sia la singola giocata che più mi ha entusiasmato in 13 anni che seguo la NBA, la risposta sarebbe senza alcun dubbio questa qua:

Nulla di speciale: un passaggio, non un no look, non dietro la schiena. Prendo la palla e la faccio arrivare il più velocemente possibile al mio compagno sotto canestro. Però in quel mix di visione, rapidità, guizzo d’ingegno e forza bruta c’è tutto il Ginobili che mi ha fatto innamorare. Un giocatore unico nel suo genere, che mi diede la netta impressione che sul campo fosse a colori in un mondo in bianco e nero. Sarà per i movimenti ondulanti, il suo incedere bizzarro, l’essere mancino, Ginobili per me non ha eguali.

La figura di Ginobili giocatore è indissolubile dall’ambiente Spurs in cui ha militato per tutta la carriera. Sono infatti convinto che ci sono varie dimensioni parallele in cui Ginobili sarebbe uscito dalla lega dopo un paio d’anni, non compreso da coach e compagni; ed egualmente sono convinto che ci siano altri universi in cui Ginobili avrebbe potuto mettere a referto cifre e prestazioni ancora più eclatanti in squadre diverse da San Antonio, dove spesso il suo estro era “incanalato” per il bene superiore della squadra. 

Una cosa però è certa: in qualunque squadra dove la palla circola molto e bisogna prendere decisioni rapide senza paura di improvvisare, un Manu farebbe ancora la differenza.

2) Kevin Garnett

Quanto vorrei rivederlo: 8/10

Quanto potrebbe produrre: 10/10

Impossibile non mettere Kevin Garnett in questa ipotetica top 5.

Ci sono giocatori che sanno fare tutto benino, giocatori che sanno fare qualche cosa benissimo, e poi giocatori che sanno fare tutto benissimo. Il primo e “vero” unicorno che io ricordi nella lega, l’epitome stessa del concetto di giocatore nato 20 anni in anticipo, Kevin Garnett avrebbe trionfato ancora di più nella NBA odierna.

Uno tra i rarissimi giocatori che per caratteristiche fisiche ed atletiche poteva difendere davvero tutte le posizioni, dava il suo meglio come roamer in area. Giocatore con una comprensione del gioco di livello eccelso, una rapidità di lettura delle situazioni eguagliata forse solo da Tim Duncan.

Dotato di leve infinite e di un baricentro alto, queste caratteristiche gli permettevano un’agilità non comune ai giocatori della sua taglia. Come Antetokounmpo, poteva coprire un’enorme distanza in pochissimi passi, azzerando così qualunque tipo di vantaggio creato dall’attacco avversario.
E poi l’intensità, il trash talking, il coltello tra i denti ogni volta che scendeva in campo.


In attacco, me lo immagino fulcro di una motion, circondato da taglianti e tiratori in angolo da servire dopo che la difesa collassa su di lui. Un mix tra Antetokounmpo e Jokić.

È soprattutto nella fase offensiva che Kevin Garnett oggigiorno avrebbe i migliori benefici: il suo più grande difetto in attacco, non essere abbastanza forte e “piazzato” per spostare i pari ruolo più forti fisicamente, sarebbe grandemente limato dall’evoluzione che il gioco ha visto negli ultimi anni. KG è forse l’unico giocatore, assieme a LeBron James, che potrebbe avere eguale successo in lineup small-ball o in quintetti oversize. Autocitandomi, una “motosega svizzera”.

Masterclass incredibile di Ben Taylor su KG, ve la consiglio.

1) Mahmoud Abdul-Rauf 

Quanto vorrei rivederlo: 10/10

Quanto potrebbe produrre oggi: 8/10

In uno dei suoi special su Netflix, Dave Chappelle fa una battuta molto arguta, una provocazione riguardo al fatto che le discriminazioni possano essere classificate di serie A e di serie B. La domanda che il comico si pone è “com’è possibile che sia stato più facile per Bruce Jenner cambiare genere piuttosto che per Cassius Clay cambiare nome?”.

Non ho potuto fare a meno di tirare un fil rouge con un altro atleta, di colore, che come Muhammad Alì cambiò nome dopo la conversione all’Islam e non ebbe paura di restare fedele ai suoi principi e pagarne le conseguenze: Chris Jackson, conosciuto ai più come Mahmoud Abdul-Rauf. Point guard di 185 cm, convivente con la sindrome di Tourette (che, oltre a svariati tic nervosi, gli permise di avere un’etica del lavoro ossessiva), fu un fulmine a ciel sereno nella NBA degli anni ‘90 per una semplice ragione: fu il primo ad integrare la tripla dal palleggio nel suo gioco, in un’epoca in cui il playmaker doveva fondamentalmente limitarsi a portare la palla nella metà campo offensiva e passarla al lungo in post.

Vi ricorda qualcuno?


Relegato a una nota a piè di pagina nella storia della NBA, si è ricominciato a parlare di lui dopo che Stephen Curry ha iniziato a mettere a fuoco le arene una manciata di anni fa.

phil
Mi cospargo il capo di cenere virtuale, al tempo non capii Phil Jackson

Una carriera di tutto rispetto, interrotta bruscamente nel momento del massimo picco: a 29 anni Mahmoud Abdul-Rauf è la point guard titolare dei Denver Nuggets, gira a 19 punti e 7 assist con split di 43/39/93 e 5 triple tentate a partita.

Il suo percorso di vita lo porta alla conversione all’Islam, e la riflessione che ne consegue lo spingerà a diventare precursore di un altro protagonista della storia recente degli sport statunitensi. Come Colin Kaepernick, infatti, Abdul-Rauf decide di non onorare l’inno americano e restare negli spogliatoi, o fare stretching, mentre le note di “Star-Spangled Banner” risuonano nel palazzetto, in segno di protesta per il razzismo sistemico e la violenza istituzionale verso i cittadini afroamericani.

La NBA e la società di allora non erano però quelle di oggi; Abdul-Rauf diventa da quel momento un appestato, nonostante accetti un compromesso per cui si unisce ai compagni durante l’inno, pregando in silenzio, e nonostante l’associazione giocatori si schieri dalla sua parte. Viene mandato a Sacramento l’anno successivo, il suo minutaggio crolla, ed in due anni è fuori dalla lega, barcamenandosi tra leghe europee fino al ritiro nel 2001.

Nel mentre, la vita sua e della sua famiglia subisce le repressioni del ventre morboso d’America, tra minacce di morte, atti di vandalismo ed altre amenità.

Fu un pioniere vent’anni in anticipo sull’evoluzione del gioco, un uomo fedele ai suoi principi che non ebbe paura di affrontarne le conseguenze. E per noi appassionati fu un enorme what if: fosse nato 20 anni dopo, che carriera avrebbe potuto avere?


Bonus: Kobe Bryant, per ovvie ragioni.

Altri candidati: Tim Duncan, Shane Battier, Andrei Kirilenko, Jamal Crawford, DeShawn Stevenson 

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Andrea Snaidero
''Esperto NBA", bravissimo podcaster, usa Linux Mint e ha il calcola-pizza tra i preferiti, una persona senza difetti. Co-conduce insieme ad Andrea Bandiziol "The ANDone Podcast.