La situazione infortuni in NBA è diventata insostenibile

infortuni NBA
Copertina di Marco D'Amato

Solitamente i Playoffs NBA vengono ricordati per prestazioni epiche dei singoli giocatori, per battaglie serratissime tra squadre di alto livello e per eventuali e imprevedibili upset. Quest’anno, purtroppo, il palcoscenico è stato preso con forza dai nemici per eccellenza degli sport, ovvero da quell’aspetto che priva sia le franchigie NBA di poter alzare il Larry O’Brien Trophy a fine anno, sia noi tifosi di uno spettacolo che, quando è interpretato dai migliori giocatori in circolazione, risulta indimenticabile.

Siamo ovviamente parlando degli infortuni che, per quanto siano spiacevoli, risultano spesso determinanti per l’esito di una partita, una serie o addirittura un campionato. Quest’anno, però, gli infortuni sono stati una piaga devastante sia durante la regular season che, di conseguenza nei playoffs, in cui squadre con serie ambizioni da titolo hanno dovuto rinunciare al proprio obiettivo per motivi impossibili da controllare.

Alla luce della triste situazione attuale, immortalata del tweet qui sopra, ho provato a stilare una classifica delle squadre qualificate ai playoffs, organizzata dalla meno sfortunata alla più sfortunata.

Ho scelto di dividere le 16 squadre che hanno conquistato la post season in 3 gruppi diversi, prendendo in considerazione sia l’andamento in regular season che, soprattutto, lo stato di forma con cui si sono affacciate ai playoffs.

Tier 3: roster (quasi) al completo

Dallas Mavericks

Questa speciale classifica si apre con la squadra di Luka Dončić, che nel corso della stagione ha dovuto fare i conti con il Covid-19 protocol che ha messo fuori uso diversi giocatori da rotazione. Kristaps Porziņģis, inoltre, ha disputato solamente 43 partite, saltandone 9 a inizio stagione per completare il recupero all’infortunio capitato nella bolla di Orlando, e non scendendo in campo per altre 20 a causa sia di ulteriori acciacchi che di scelte dello staff tecnico e medico (niente back-to-back). Nonostante tutto, i Mavericks visti contro i Clippers erano al completo; vero, Dončić ha subito un infortunio al collo che ne ha limitato l’impatto in gara 4 contro i Clippers, ma lo sloveno è tornato vicino al 100% nelle restanti tre sfide.

Miami Heat

La squadra della Florida ha disputato una regular season piuttosto altalenante, anche a causa delle venti partite saltate dalla sua stella Jimmy Butler e degli acciacchi al 34enne Goran Dragić. Inoltre, l’esperimento Victor Oladipo, arrivato da Houston alla trade deadline, è durato solamente quattro partite, con l’ex-Pacers che ha avuto una ricaduta dell’infortunio che lo aveva tenuto fermo circa 12 mesi un paio d’anni fa. Per questo motivo, Oladipo non può rientrare nei giocatori chiave degli Heat 2020/2021, di conseguenza la rotazione che Spoelstra ha utilizzato contro i Bucks è da considerare completa.

Memphis Grizzlies

Senza Jaren Jackson Jr. e Justise Winslow, entrambi dichiarati out anticipatamente per la prima parte della stagione, i Grizzlies hanno anche dovuto fare a meno della loro giovane stella Ja Morant per 8 partite a inizio anno a causa di un brutto infortunio alla caviglia sinistra. La squadra allenata da Coach Jenkins è sorprendentemente riuscita a rimanere a galla in contumacia con Morant, nonostante anche le cinque partite saltate da Jonas Valančiūnas a causa del Covid-19. L’ex-Murray State, una volta rientrato, ha inizialmente faticato, per poi salire di livello nella parte finale della stagione, e regalare a dei Grizzlies finalmente al completo l’accesso alla post season.

Portland Trail Blazers

Anche quest’anno gli sfortunati Portland Trail Blazers sono stati vittime di infortuni ad alcuni giocatori chiave: C.J. McCollum ha saltato 25 partite consecutive per una frattura al piede sinistro, mentre Jusuf Nurkić è rimasto lontano dal parquet ben 35 gare a causa di un serio infortunio al polso destro. Entrambi, fortunatamente, sono rimasti sani per il resto della stagione, playoffs compresi, consentendo a Coach Stotts di giocare tutte le carte a sua disposizione nella serie contro i ben più sfortunati Denver Nuggets, non riuscendo però a prevalere sulla squadra dell’MVP Nikola Jokić.

New York Knicks

Nonostante lo stile di gioco ultra-aggressivo implementato da Coach Thibodeau e l’alto minutaggio di Julius Randle, i Knicks sono stati una della squadre meno sfortunate di questa funesta stagione: Mitchell Robinson è stato l’unico giocatore di New York a passare più tempo in infermeria che in campo, a causa prima di un infortunio al polso e successivamente per una frattura al piede destro, che ha concluso anticipatamente la sua stagione. Tuttavia, il giovane centro dei Knicks è stato egregiamente sostituito da Nerlens Noel in quintetto, autore di una stagione da All-Defensive Team, e da un solido Taj Gibson come backup. In gara 1 contro gli Atlanta Hawks, però, Noel ha subito un infortunio alla caviglia che ne ha limitato l’impatto nelle restanti partite, costringendo Thibodeau a promuovere Gibson nello starting five.

Washington Wizards

La squadra del duo Beal-Westbrook è stata la più colpita dal Covid-19, che a metà gennaio ha costretto loro a una pausa forzata di circa due settimane. A tutto questo bisogna aggiungere un pessimo inizio di Russell Westbrook, irriconoscibile a inizio stagione a causa dei postumi di un infortunio subito dalla bolla di Orlando, gli infortuni season ending del centro titolare Thomas Bryant (dopo appena 10 partite) e di Deni Avdija a fine aprile, e soprattutto di Bradley Beal, che nella parte finale della stagione e durante il primo turno di playoffs ha giocato su un infortunio muscolare che ne ha compromesso la mobilità.

Tier 2: infortuni a giocatori chiave

Milwaukee Bucks

Durante la regular season, Giannis Antetokounmpo ha saltato sei partite a causa di un infortunio al ginocchio sinistro e qualche altra in cui è stato tenuto a riposo, mentre Jrue Holiday è stato costretto a rimanere lontano dal parquet per circa tre settimane (10 partite) dopo aver contratto il Covid-19. Questi sono stati gli unici infortuni rilevanti della stagione regolare dei Bucks, che, tuttavia, in gara 3 del primo turno contro gli Heat hanno perso per il resto della stagione Donte DiVincenzo a causa di un serio infortunio al piede sinistro.

Per quanto importante sia il giocatore italoamericano nella rotazione dei Bucks, Coach Budenholzer ha ancora a completa disposizione i suoi tre migliori giocatori, a differenza di altre contender di cui parleremo tra poco, per questo occupano l’ultimo posto di questa seconda sezione.

Atlanta Hawks

Dopo un inizio di stagione decisamente al di sotto delle aspettative, gli Hawks hanno completamente cambiato marcia nella seconda metà. Se da una parte sono innegabili i meriti di Coach McMillan, subentrato dopo 34 partite a Lloyd Pierce, dall’altra sono stati altrettanto importanti i recuperi di giocatori chiave rimasti in infermeria per diverso tempo. Bodganović, assoluto protagonista di questi playoffs, è rimasto lontano dal campo 25 partite per un brutto infortunio al ginocchio destro, mentre sia De’Andre Hunter che Cam Reddish sono stati tormentati rispettivamente da un infortunio al ginocchio destro e al tendine d’Achille destro, che di fatto ne hanno concluso anticipatamente la stagione.

Nonostante tutto gli Hawks sono a una vittoria dalle Eastern Conference Finals, ma c’è apprensione per Bogdanović, che stanotte ha abbandonato gara 6 per un problema al ginocchio operato qualche mese fa.

Phoenix Suns

Fino a un paio di giorni fa, i Phoenix Suns erano l’unica squadra i cui giocatori titolari erano riusciti a scendere in campo per tutte le partite della post season, “primato” che al 99% non esisterà più dopo gara 1 delle finali di conference contro i Clippers, in programma domenica alle 21:30 italiane. Chris Paul, infatti, molto probabilmente dovrà saltare almeno la prima partita della serie dopo essere risultato positivo al Covid-19 lunedì scorso.

I tempi di recupero ancora non sono certi, e il periodo di isolamento per un giocatore già vaccinato potrebbe essere inferiore a quanto previsto dal protocollo, ma l’assenza di CP3 nelle prime partite è una tegola pesantissima per una squadra che al completo potrebbe seriamente ambire alle Finals, anche alla luce del completo (o quasi) recupero del proprio playmaker all’infortunio alla spalla destra subito in gara 1 contro i Lakers.

Boston Celtics

Se la squadra del Massachusetts avesse avuto le carte in regola per poter essere considerata una contender o borderline tale, molto probabilmente li avrei inseriti nel primo tier, vista l’entità degli infortuni che hanno colpito la squadra biancoverde nel corso della stagione. Vittime sia del Covid-19 protocol che di infortuni “classici”, i Celtics raramente si sono visti al completo: Kemba Walker ha saltato 29 partite principalmente per un problema al ginocchio sinistro che si è poi protratto anche ai playoffs, Smart è rimasto fuori per 18 gare a causa di un infortunio al polpaccio sinistro mentre Tatum e Fournier hanno dovuto fare i conti con il Covid-19 e i suoi postumi.

Ma la mazzata finale è arrivata a un paio di settimane dalla post season: Jaylen Brown, autore di un’eccellente stagione, ha dovuto chiudere la stagione in anticipo a causa di un infortunio al polso sinistro, che di fatto ha compromesso definitivamente la stagione dei Celtics.

Utah Jazz

I detentori del miglior record della Lega sono stati in grado di raggiungere tale obiettivo sia perché Coach Snyder ha messo a punto una macchina incredibilmente efficiente, sia perché sono rimasti lontano dagli infortuni fino al 16 aprile, data in cui Mitchell ha subito un brutto infortunio alla caviglia destra che l’ha tenuto lontano dal parquet fino a gara 2 del primo turno contro i Grizzlies.

Dopo aver archiviato in 5 partite la pratica Memphis con un Mitchell in grande spolvero (28.5 punti di media in meno di 30 minuti), contro i Clippers la stella dei Jazz ha subito una ricaduta del precedente infortunio, che ne ha compromesso parte della sua esplosività e imprevedibilità, risultando comunque l’ultimo ad arrendersi (35 punti di media nella serie con il 45% da 3 su 13.3 tentativi).

Per quanto acciaccato, Mitchell è comunque riuscito a scendere in campo in 10 delle 11 partite dei Jazz in questi playoffs, sorte che purtroppo non è spettata a Mike Conley, che ha saltato le prime 5 partite della serie contro i Clippers per tornare in extremis in gara 6. All’ex-Grizzlies si è ripresentato un problema ormai cronico per lui, ovvero un infortunio al quadricipite destro che ne ha limitato l’utilizzo e l’impatto anche nella scorsa stagione. Senza il loro playmaker titolare, l’attacco dei Jazz è risultato meno brillante, e soprattutto i Clippers si sono potuti concentrare quasi esclusivamente su Donovan Mitchell, unico creatore rimasto.

Philadelphia 76ers

Chiudiamo la seconda sezione con i 76ers, che domani notte saranno impegnati in una delicata gara 7 contro gli Atlanta Hawks. Uno dei motivi per cui la squadra di Doc Rivers è arrivata al win or go home contro una squadra sulla carta inferiore sono gli infortuni a Joel Embiid e Danny Green. Il primo ha subito un infortunio infortunio al ginocchio destro in gara 4 contro gli Wizards, mentre l’ex-Lakers starà fuori per circa 2/3 settimane per un problema al polpaccio destro.

Nonostante la preoccupazione iniziale, Embiid ha saltato solamente gara 5 contro Washington per tornare regolarmente in campo per la prima partita contro Atlanta, ma quello che stiamo ammirando ora è un Embiid lontano dalla sua miglior condizione. L’infortunio al ginocchio sta limitando pesantemente la sua esplosività e, di conseguenza, la sua efficacia, come si è visto in gara 4 da Atlanta: 4 punti nel secondo tempo sbagliando tutti e 12 i tiri dal campo effettuati, compreso il layup del vantaggio a 8 secondi dal termine della gara.

Tier 1: addio sogni di gloria

Los Angeles Clippers

Apriamo il terzo e ultimo tier con i Clippers, che questa notte per la prima volta nella storia della franchigia sono riusciti a raggiungere le Western Conference Finals, nonostante l’assenza della loro superstar Kawhi Leonard. In stagione regolare i cugini dei Lakers hanno dovuto fare a meno di Morris per le prime 8 partite, di Beverley per ben 35 gare, di Leonard e George rispettivamente per 20 e 18 incontri e di Ibaka, che dopo averne saltate 31 in regular season, si è dovuto operare alla schiena dopo le prime due partite della serie contro i Mavs (lo rivedremo il prossimo anno).

A esclusione dello spagnolo, i Clippers hanno avuto a disposizione il roster completo fino a gara 4 contro i Jazz, e probabilmente se la situazione fosse rimasta tale li avrei inseriti nel secondo tier. Purtroppo, il giorno dopo la quarta sfida contro Utah un fulmine a ciel sereno ha colpito L.A.: Leonard fuori per un indefinito lasso di tempo a causa di un infortunio al legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Sebbene non sia ancora nota l’effettiva entità dell’infortunio, sarà difficile rivedere in campo Leonard quantomeno per le finali di conference, e questo potrebbe compromettere le chances di titolo per i Clippers, mai così alte prima d’ora, nonostante il gran momento di Paul George e, in generale, della squadra allenata da Coach Ty Lue.

Denver Nuggets

Con un Nikola Jokić in formato MVP, un Jamal Murray ritrovato dopo un inizio di stagione sottotono, un Michael Porter Jr. finalmente costante dopo aver dovuto affrontare i Covid-19 e l’aggiunta di Aaron Gordon, che ha colmato una grossa lacuna del roster, i Nuggets erano finalmente riusciti a raggiungere lo status di contender tanto inseguito negli ultimi anni, questo fino al 14 aprile scorso. Nei secondi finali della gara persa contro Golden State, Jamal Murray atterra male sulla gamba sinistra dopo un layup rimanendo a terra in preda al dolore; la diagnosi purtroppo conferma i timori iniziali: rottura del legamento crociato anteriore sinistro e stagione finita, sia quella di Murray che quella dei Nuggets.

Denver, trascinata da Jokić, vincerà 13 delle successive 18 partite della regular season, ma l’assenza dell’ex-Kentucky, complice anche l’indisponibilità di Barton per gran parte dei playoffs, condannerà la squadra di Coach Malone a concludere la stagione al secondo turno con un netto 0-4 in favore dei Suns dopo aver superato i Trail Blazers. Per i Nuggets è stata fatale l’assenza prolungata dei due giocatori a roster in grado di creare palla in mano.

Los Angeles Lakers

Siamo finalmente giunti alle due squadre più sfortunate della stagione, poco importa quale viene considerata la prima e quale la seconda. I Lakers partivano come i favoriti per il titolo NBA 2020/2021, sia in quanto campioni in carica, sia alla luce del mercato estivo, che secondo molti aveva addirittura migliorato il roster a disposizione di coach Vogel. Ed effettivamente così è sembrato per il primo terzo di stagione regolare, che ha visto i Lakers vincitori di 21 partite su 28.

Purtroppo, però, Anthony Davis esce anticipatamente dalla sconfitta a Denver a causa di un infortunio al tendine d’Achille destro che gli costerà oltre 2 mesi di stop e ben 30 partite saltate. Per i Lakers, però, 14 partite dopo inizia a piovere sul bagnato: dopo un contatto con Solomon Hill degli Hawks, LeBron James lascia il campo per un infortunio alla caviglia destra; con le due stelle in infermeria i Lakers crollano, conquistando il settimo posto ai playoffs dopo una partita di play-in contro Golden State.

La situazione non migliora neanche nella post season: contro Phoenix James è visibilmente condizionato dall’infortunio subito mesi prima mentre Anthony Davis, che sarebbe dovuto salire di livello con un LeBron acciaccato, esce anticipatamente da gara 4 per un infortunio all’inguine. Con il quattro volte campione a mezzo servizio, con l’ex-Pelicans fuori dai giochi e anche senza Caldwell-Pope, i losangelini escono in 6 gare contro i Suns, che accedono al turno successivo nonostante un Chris Paul irriconoscibile.

Brooklyn Nets

Il mostro a tre teste guidato da Steve Nash è rimasto con solamente una testa attaccata al proprio collo (Durant), una che si regge al corpo per miracolo (Harden) e una che, almeno per il momento, si è separata del corpo della bestia (Irving). La stagione dei Brooklyn Nets è stata piuttosto travagliata, con tutte e 3 le stelle che hanno saltato complessivamente 78 partite, ma riuscendo ad arrivare ai playoffs con il roster quasi al completo (Spencer Dinwiddie è fuori da dicembre e lo rivedremo il prossimo anno).

I Nets hanno voluto scambiare per James Harden sia per assemblare una macchina da canestri probabilmente mai vista nella storia della lega, sia per rimanere competitivi nonostante gli infortuni: Durant veniva da un anno e mezzo di stop, Irving è sempre stato un giocatore leggermente injury prone, mentre Harden, prima di quest’anno, non aveva mai saltato un grosso numero di partite nelle precedenti stagioni. Tuttavia, dopo aver superato agilmente il primo turno contro gli sfortunati Celtics, i Nets nel giro di tre partite hanno perso sia James Harden (per una ricaduta dell’infortunio muscolare subito un paio di mesi prima), sia Kyrie Irving (dopo un infortunio alla caviglia destra), lasciando Kevin Durant solo contro i Bucks.

In gara 5 Harden ha rimesso piede in campo ma è sembrato essere al 15/20% della condizione ed è sceso in campo anche in gara 6, per un totale di 86 minuti in due incontri. Con Irving fuori, Harden a meno di mezzo servizio e con il solo Durant a reggere l’attacco della propria squadra, i Nets non sono i favoriti per il passaggio del turno, nonostante Coach Budenholzer si stia impegnando per far si che ciò accada. Stanotte ci sarà gara 7: o Durant sfodera una prestazione da gara 5 bis, o verosimilmente rivedremo i Nets il prossimo anno.

Le ripercussioni sulla prossima stagione

Dopo la notizia di Kawhi Leonard e di Chris Paul, Jamal Murray, che purtroppo ha guardato i playoffs dalla panchina, ha espresso su Twitter un pensiero condiviso da molti:

Come già sottolineato nell’introduzione a questo pezzo, gli infortuni fanno parte dello sport, ma la sensazione è che quest’anno stiano giocando un ruolo molto più importante rispetto a quello a cui siamo abituati. Se si analizza anche solo superficialmente il contesto della stagione NBA in corso è facile capire quale sia il motivo di un’ecatombe di queste proporzioni: non a caso le quattro finaliste di conference dell’anno scorso non sono arrivate oltre al secondo turno e hanno disputato stagioni altalenanti. Un calendario di 72 partite in meno di cinque mesi ha imposto ritmi folli, resi ancora più serrati dal Covid-19 protocol. Senza dubbio alcuno questi playoffs sono tra i più imprevedibili della storia NBA, e questa incertezza crea suspense sulla vittoria finale, ma se il prezzo da pagare danneggia la salute dei giocatori allora qualcosa non ha funzionato.

Il problema è che un così alto numero di infortuni, tra cui alcuni piuttosto gravi, avranno ripercussioni anche sulla prossima stagione, che rischia di essere altrettanto problematica da questo punto di vista. Per questo motivo i coaching staff delle squadre potrebbero prevenire questo fenomeno facendo riposare più spesso i propri giocatori e riducendone il minutaggio, influenzando la spettacolarità delle partite e, conseguentemente, facendo crollare l’interesse del pubblico per una regular season che già in un contesto normale talvolta risulta noiosa.

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Davide Possagno
Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.