Cinque giocatori che ci hanno deluso ai playoff

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Copertina di Marco D'Amato

La stagione NBA è particolare ed interessante perché è composta da una prima parte, la regular season, in cui si creano le aspettative, e dalla seconda e decisiva fase, i playoff, in cui emergono i veri valori in campo e si capisce quali siano i migliori giocatori di pallacanestro del pianeta.

In un anno strano e governato dagli infortuni, con molte star costrette a vedere da bordocampo i propri compagni giocare, ci sono stati alcuni giocatori che ci hanno stupito. Ma come spesso accade, perché qualcuno ci stupisca, qualcun altro deve deluderci. E così è stato anche in questa postseason. Con l’aiuto della redazione di True Shooting, ho selezionato cinque giocatori su cui si erano create delle aspettative più o meno importanti, ma che non sono state assolutamente rispettate in questi playoff.

Michael Porter Jr.

La stagione dei Denver Nuggets è cambiata irrimediabilmente dopo l’infortunio al crociato di Jamal Murray. Con la perdita della stella canadese, secondo di Nikola Jokić, le speranze di anello del team del Colorado sono andate in fumo. Occorreva un salto in avanti da parte della squadra per sopperire all’assenza dei punti portati in causa da Murray.

Michael è emerso in tutto il suo potenziale dopo l’infortunio del compagno. Per lui si parla di quasi 25 punti a gara con una TS% appena inferiore al 70%, un dato fuori da ogni logica, a livelli del miglior scorer della lega. Parliamo di numeri legittimi da All-Star, che hanno alzato le aspettative su MPJ e i Nuggets. Con l’MVP Jokić si pensava che i Nuggets avrebbero potuto comunque togliersi delle soddisfazioni, anche senza agguantare l’anello.

Il problema è che ai playoff l’apporto di Michael è calato notevolmente. Incapace di costruirsi il suo tiro, ha trovato molte meno ricezioni pulite. La scelta di non raddoppiare Jokić da parte dei Blazers e dei Suns è stata effettuata proprio nell’ottica di mettere fuori dalla partita il giovane talento. Anche Porter ha contribuito con la sua mancanza di aggressività, che lo ha visto scomparire da alcune partite, come in gara 4 contro Portland, in cui ha tirato solamente 3 volte, e non si è preso alcun tiro libero.

È stato a corrente alternata anche all’interno della stessa partita, alternando quarti di dominio cestistico ad altri in cui non si è nemmeno preso un tiro. In difesa è stato discontinuo a proteggere il ferro e a cambiare sulle guardie. Dopo gli show di Jokić in copertura non ha dimostrato un adeguato tempismo nelle rotazioni, difendendo con continuità solo quando giocava bene in attacco.

La serie contro i Blazers è stata altalenante ma di buon livello, ma contro Phoenix ha perso completamente il ritmo (51.3% di TS% per 15 punti di media), cosa che si è tradotta in prestazioni difensive negative. In particolare è stato battuto con tanta facilità da Booker e Paul sui cambi 1-4 effettuati da Denver. Chi si aspettava un secondo violino dopo il finale di regular season si è dovuto ricredere.

Kentavious Caldwell-Pope

Kentavious Calddwell-Pope è stato probabilmente il terzo miglior giocatore dei Lakers nei playoff a Orlando. Puntuale è stato il suo apporto dal perimetro, dove tirò col 38%, e in difesa, dove ha spesso marcato il miglior esterno degli avversari. In questa stagione regolare KCP sembrava aver trovato l’anno di grazia al tiro, col 41% su 4.4 tentativi, career high in regular season e fondamentale per le spaziature dei Lakers. Il problema è che ai playoff questo tiro proprio non è entrato. L’1/7 di gara 1 ha poi a conti fatti indirizzato la serie.

Coach Williams ha previsto di lasciarlo tirare, e KCP ha deluso le aspettative. Con le spaziature ristagnanti è diventato più difficile attaccare il ferro; inoltre, complici problemi fisici, l’ex Pistons ha dovuto saltare gara 4 e uscire prima nelle gare 3 e 5, in cui il suo apporto è stato impalpabile. In gara 6 in realtà ha anche giocato bene, ma il danno ormai era fatto.

Non mi sognerei mai di dire che i Lakers hanno perso per colpa di KCP, anche perché gli infortuni di Davis e James hanno messo molto più in difficoltà la squadra di Vogel. Tuttavia, quello che era sulla carta il terzo miglior giocatore della squadra è venuto a marcare sul più bello, tirando con un misero 22% dall’arco. Va detto che in difesa è stato presente, ma se da 3&D passi a D la tua squadra ne risente enormemente.

Ben Simmons

Ben Simmons è uno dei migliori difensori della NBA, e il suo problema nella lega non è tanto l’assenza di tiro, quanto la mancanza di aggressività. Contro Young, però, ha fatto fatica. Trae non è recuperabile dopo un blocco se hai quella taglia a meno di stoppate da dietro clamorose, e questo vale anche per Thybulle, designato con Ben a marcare il villain di questi playoff.

Dopo una buona serie contro i Wizards, dove ha dominato a livello fisico, ci si aspettava lo stesso contro gli Hawks. E in effetti, quando utilizzato in post up contro i giocatori di Atlanta, su cui aveva vantaggio di taglia, l’australiano ha dominato.

Il problema è che Doc Rivers non ha cavalcato questa opzione quanto doveva, e Simmons non ha mostrato l’aggressività necessaria in quel palcoscenico. E i problemi psicologici di Philadelphia, incapace di vincere due gare in cui è stata largamente in vantaggio, hanno influito principalmente su Ben, portato fuori mentalmente dalle partite.

L’hack-a-Simmons degli Hawks ha messo k.o. Ben. Dopo il 4/14 di gara 5, si è preso solamente dieci tiri nelle successive e decisive due gare. Ha di certo contribuito col suo playmaking e la sua difesa, ma da un All-Star ci si aspetta ben altro. Emblematica la mancata schiacciata quando era tutto solo sotto il ferro, segno evidente di un giocatore che non è con la testa dentro alla partita.

Dopo le dichiarazioni di Rivers, che ha scaricato Ben, sembra difficile vedere ancora l’australiano con la maglia dei Sixers.

Julius Randle

Julius Randle arrivava ai playoff reduce dal suo career year: oltre ad aver effettuato l’All-Star Game, aver vinto il premio di Most Improved Player ed essere stato inserito nel secondo quintetto All-NBA, aveva anche portato i Knicks ai playoff. La sua è stata una stagione storica dal punto vista dello shotmaking: Randle è passato dal 27 al 41% dall’arco, dal 73% all’81% ai liberi, ha migliorato la TS% e ha raddoppiato il numero di assist. Insomma, è passato da giocatore strapagato a legittima prima opzione per una squadra da primo turno di playoff.

Contro Atlanta le cose sono cambiate. In parte è stato per il gameplan degli Hawks: Julius è stato marcato in single coverage da Gallinari e Collins, ma con Capela attento sulla linea di fondo, pronto a negare l’accesso al ferro. Siccome New York non ha mai giocato small, con Gibson e Noel a fare da rim runner, il centro svizzero ha potuto agire indisturbato nella sua opera. Non solo, ma anche la staticità dei restanti Knicks, fermi immobili sul perimetro, ha tolto a Randle la possibilità di creare tiri aperti per i compagni. Le cifre in regular season hanno forse contributo a una sopravvalutazione di Randle come passatore.

In realtà il suo marchio di fabbrica è stato il jump pass, il passaggio dopo aver saltato. Ma senza uomini liberi da servire, Randle si è trovato costretto a fare affidamento esclusivamente su tiri contestati dalla media e ha commesso una quantità enorme di palle perse, 23 in sole cinque gare. I tiri dalla media non sono entrati nemmeno lontanamente con le percentuali da regular season, ed è questo che ha condannato i Knicks. Con un 42.5% di TS% di fatto l’apporto di Randle in attacco è stato negativo, anche laddove poteva tirare senza troppi problemi in testa a Collins e Gallinari.

Ha dominato solamente nei pochi minuti senza Capela, troppo ridotti per poter fare la differenza. Non ha nemmeno trovato triple aperte in situazioni di pop, anche perché a New York è mancata molto la creazione palla in mano, nonostante un ottimo Rose.

In difesa è stato meno coinvolto di Noel e Gibson sul pick-and-roll, ma comprensibilmente ha sofferto Trae Young. La concentrazione sul lato debole però ha colpito, mentre ha sofferto in uno contro uno solo quando è dovuto uscire sul perimetro. Non è riuscito nemmeno a dominare a rimbalzo offensivo, perché dopo le prime due gare è stato tagliato fuori in modo ottimale da Atlanta.

Sapevamo che Randle aveva avuto una stagione straordinaria e che probabilmente non sarebbe stata una prima opzione affidabile, ma il tonfo nei playoff è stato parecchio clamoroso.

Joe Harris

Non c’è moltissimo da dire su Joe Harris. In stagione regolare è stato probabilmente il miglior cecchino dell’intera NBA, con un clamoroso 47.5% dall’arco, propiziato anche dalle eccellenti spaziature di Brooklyn. E se andiamo a vedere i numeri ai playoff, non possiamo dire con certezza che Harris abbia fallito. Parliamo pur sempre di un 40% dall’arco, ma è doveroso fare un discorso più approfondito.

Cominciamo col dire che il numero di tentativi non si è abbassato, e questo significa che le opportunità di colpire Harris le ha avute. Il fatto è che, in particolare nella serie con i Bucks, ha commesso degli errori decisamente non da lui. Ricordiamo tutti un paio di tiri completamente aperti sbagliati nel finale in volata di gara 3, che potevano indirizzare la serie verso un insormontabile 3-0.

Ora, è vero che Irving e Harden hanno avuto enormi problemi fisici, e che i Nets sono stati martoriati dagli infortuni, ma se arrivi a gara 7 e all’overtime anche un singolo dettaglio può fare la differenza. Il problema di Joe è che è uscito mentalmente dalla serie, facendo delle decisioni discutibili, come vediamo nelle clip qua sotto.

Chiamato a uno sforzo superiore per approdare alle finali di conference, Joe ha concluso con un 16/40 dall’arco, che dopo gara 1 è stato in realtà un misero 11/31. Considerato che in difesa non ha brillato anche per limiti fisici, non è stato la spalla di cui Durant aveva bisogno. E se mancavano le spaziature irreali della regular season, è difficile non pensare che alcuni errori siano dovuti a un contraccolpo psicologico. Harris non ha retto la pressione data da una maggiore responsabilità. Brooklyn ha perso la prima occasione di vincere il titolo, e dovrà ritrovare il miglior Harris anche ai playoff per farcela. E Joe deve far capire ai Nets che è indispensabile per loro, cosa che non ha saputo dimostrare contro i Bucks.

Come ogni anno abbiamo giocatori che ci stupiscono e altri che ci deludono. Quelli appartenenti al secondo gruppo sperano di potersi riscattare al più presto, per togliersi un’etichetta di flop ai playoff che non fa mai piacere. Può essere una serie storta al tiro, può essere semplicemente sfortuna, fatto sta che quanto di buono visto in regular season viene dimenticato velocemente, quando si arriva nella parte decisiva della stagione.


Si ringraziano Alessandro Benassuti, Francesco Cellerino, Leonardo Pedersoli, Andrea Poggi e Cesare Russo per l’aiuto.

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Francesco Contran
Praticante e grande appassionato di atletica, si è avvicinato al basket per caso, stregato da Kevin Durant e dai Thunder. Non avendo mai giocato è la dimostrazione vivente che per far finta di capire qualcosa non serve aver praticato questo sport.