Sign-and-Tampering

tampering
Copertina di Sebastiano Barban

Se la NBA fosse un genere cinematografico, l’inizio di questa free agency sarebbe uno Spaghetti Western.

I “casi” di Lonzo Ball ai Chicago Bulls e di Kyle Lowry ai Miami Heat sono solamente gli ultimi due in ordine cronologico. La storia NBA è piena di situazioni simili in tal senso, fondamentalmente passate sotto traccia grazie al lavoro (dietro le quinte) delle franchigie coinvolte.

Volete un po’ per la mia passione – mai nascosta – per Ball, volete un po’ per il mio amore per il cinema, me la sono immaginata così.

Artūras Karnišovas – Executive VP of Basketball Operations dei Chicago Bulls ed ex giocatore, tra le altre, di FC Barcelona, Olympiacos Pireo e Fortitudo Bologna – che, con sguardo alla Clint Eastwood ne “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”, guarda gli altri general manager della lega dopo aver piazzato la trade per Zo e dice:

Sono Artūras Karnišovas, la pistola fumante più veloce…dell’East.

Sì, perché l’avvio di questa free agency è stata caratterizzata da una pratica che, negli ultimi anni, ha preso le luci della ribalta: il tampering.

Basketball Rules for dummies: Tampering

Partiamo dal principio, cos’è il tampering? Prendiamo alla lettera la definizione americana:

Tapping up, or tampering as it is referred to in America, is the practice of attempting to persuade a person under contract to move without the knowledge or permission of the other contracting party. It most commonly happens in sports where a club attempts to persuade a player under contract with another club to move.”.

La definizione ed il contesto, in ambito NBA, del tampering è data dagli articoli 35 e 35A dello Statuto della lega stessa.

In buona sostanza, il tampering è la pratica secondo la quale un dirigente, coach o giocatore di una franchigia tenta – e, spesso, riesce – di persuadere un atleta od un allenatore sotto contratto con un’altra franchigia a trasferirsi presso la propria organizzazione, prendendo accordi con l’entourage e poi trattando con il “club” di appartenenza.

Tante volte nel calcio italiano abbiamo sentito parlare di “accordo col giocatore” e, poi, di successivo accordo – o interruzione delle trattative – tra i club, con una organizzazione (solitamente quella che acquista) in posizione di forza rispetto all’altra in virtù dell’accordo e della volontà del giocatore.

Ebbene, negli States questa pratica è sempre stata combattuta. Combattuta, sì, però con sanzioni blande e quasi mai applicate.

Solitamente le franchigie, per evitare sanzioni dal board NBA, si accordano preventivamente per un equo indennizzo. Perlomeno, con David Stern come commissioner NBA le pene sono state applicate raramente.

Il case history per eccellenza durante la “Presidenza Stern” è stato quello che ha convolto, nel 1995, i Miami Heat, i New York Knicks e Pat Riley.

All’epoca, Pat Riley era head coach dei Knicks e si apprestava ad aprire la sue personale dynasty a Miami, culminata con l’anello del 2006.

Nell’estate del 1995, un articolo del New York Times animò il mondo della NBA. Riley, in maniera del tutto anonima, inviò a Micky Arison – owner degli Heat – un documento con quattordici richieste per diventare allenatore della sua franchigia.

Tra le varie richieste, un ingaggio da tre milioni di dollari ed una quota di partecipazione – circa il 20% – dei Miami Heat.

La particolarità – e l’illegalità – di questa operazione stava nel fatto che il documento anonimo era arrivato tra le mani di Arison il 5 giugno 1995, quando Riley era ancora allenatore di New York, quattro giorni prima dell’incontro con il proprietario del Madison Square Garden – David Checketts – e dieci giorni prima che i Knicks ricevessero il fax con le dimissioni del nativo di Rome, NY.

Lo stesso Checketts, in un articolo del NYT dell’agosto dello stesso anno, definì quell’affare “Il più sfacciato esempio di tampering che io abbia visto in dodici anni di presidenza del Garden”.

Come anticipato prima, David Stern non prese provvedimenti.

La questione finì, come si suol dire, a tarallucci e vino: Riley a Miami, first round pick e un milione di dollari a New York.

Stern, a differenza del suo successore, non era propriamente un cuor di leone sotto questo punto di vista. Difatti, prima del Caso Riley, l’ultima applicazione del regolamento anti-tampering risaliva al 1984, quando i Portland Trail Blazers vennero multati di $250,000 per aver contattato, nel suo anno da sophomore alla University of Houston, Hakeem Olajuwon.

Con l’arrivo di Adam Silver come commisioner NBA l’aria cambia.

E, a farne le spese, sono i Los Angeles Lakers.

Earvin Johnson Jr. e Robert Pelinka – che, se fossero stati i due protagonisti del film “Talladega Nights” sarebbero stati chiamati Magic Man ed El Diablo – vengono “pescati” ben due volte in due anni consecutivi.

Durante l’off-season 2017, Pelinka – nuovo GM dei Lakers – intrattiene unauthorized communications con i rappresentanti di Paul George, mentre il losangelino è ancora sotto contratto con gli Indiana Pacers e la franchigia viene multata di $500,000 per tampering.

La multa comminata da Adam Silver ai Lakers, la più alta nella storia della lega, doveva essere un esempio. Doveva fare da deterrente, per Pelinka, per tutti i GM, per tutte le franchigie. L’idea generale della NBA era quella di una sorta di “Tolleranza Zero”, citando l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani.

Ci sono riusciti? Evidentemente no.

Off-season 2018, sempre i Los Angeles Lakers, questa volta nella figura di Magic Johnson, vengono multati di $50,000 dalla NBA per violazione delle regole anti-tampering nei confronti di Giannis Antetokounmpo e dei Milwaukee Bucks.

Ad essere onesti, la motivazione della multa in questo caso è piuttosto superficiale: in una intervista, Magic ha paragonato lo status del greco nella lega – forse in maniera troppo entusiastica – al suo status di superstar nella NBA degli anni ’80.

Il motivo è chiaro, Silver voleva lanciare il messaggio ai naviganti: basta tampering.

Il problema – per la NBA, per le franchigie, per i giocatori – è che il caso di Paul George del 2017 ha scoperchiato il Vaso di Pandora.

In vista della free agency, i team parlano con i giocatori ignorando le regole anti-tampering. I team che fino a quel momento avevano rispettato la regola iniziano a infrangerla. Il fair play viene meno ed ogni GM – e giocatore – cerca di ottenere il maggiore (e migliore) vantaggio possibile.

Ultimo, per ordine cronologico e prima della free agency 2021, è il caso di Bogdan Bogdanović del dicembre 2020.

I Milwaukee Bucks, per violazione delle norme anti-tampering prima dell’apertura della free agency successiva alle Bubble Finals di Orlando, sono stati multati dalla NBA con la perdita della 2022 second-round draft pick, una sanzione di $50,000 ed il conseguente annullamento della trade che avrebbe portato Bogdanović e Justin James a Milwaukee e Donte DiVincenzo, Ersan Ilyasova e D.J. Wilson a Sacramento.

Free agency 2021: Lonzo Ball e Kyle Lowry

Perché all’inizio dell’articolo abbiamo paragonato Karnišovas a Clint Eastwood?

Il motivo è semplice: il 2 agosto 2021, alle ore 18:00, è stata dichiarata ufficialmente aperta la free agency e, alle 18:01, è stata ufficializzata la (sign and) trade tra Chicago Bulls e New Orleans Peicans con la quale Lonzo Ball è partito per l’Illinois – 85 milioni di dollari in quattro anni – e Tomas Satoransky, Garrett Temple ed una second-round pick del 2022 sono partiti per la Louisiana.

Ma, come abbiamo detto prima, il caso di Zo non è isolato.

Qui torna prepotentemente in gioco il nome di Pat Riley: Kyle Lowry, appena dopo l’apertura della free agency, è approdato a Miami – 90 milioni di dollari in tre anni – in cambio di Goran Dragic e Precious Achiuwa, direzione (più o meno gradita) Toronto.

Come hanno riportato Ramona Shelbourne e, successivamente, Adrian Wojnarowski, cinque giorni dopo aver ufficializzato le due trade, la NBA ha dichiarato di aver aperto un fascicolo circa la legittimità delle due operazioni in questione, affermando che analizzerà telefonate, mail, messaggi e documenti intercorsi tra front-office delle franchigie, allenatori ed i giocatori stessi.

Il motivo di questa investigazione è abbastanza intuibile: difficilmente uno scambio “complicato” come una sign-and-trade può essere imbastito in pochi minuti e, conseguentemente, ogni accordo preso prima dell’apertura della free agency è una violazione a quei famosi articoli 35 e 35A dello Statuto.

A corredo di ciò, è intervenuto anche Marc Stein, ricordando che, dopo gli episodi “occorsi” ai Los Angeles Lakers, nel settembre 2019 il commissioner NBA Adam Silver ha annunciato che, votato all’unanimità, è entrato in vigore un pacchetto di pene più severe per combattere il tampering e l’elusione del salary cap. In particolare, è stato elevato a $10M il tetto massimo della pena economica applicabile alla franchigia e, discrezionalmente, la lega si riserva la possibilità di inibire o sospendere dirigenti, di sottrarre draft pick e, in extrema ratio, annullare le transazioni.

Il tampering si può combattere?

Bisogna dirlo con estrema chiarezza: difficilmente le transazioni di Ball e Lowry verranno annullate.

Il board NBA – e tutto il team che si occupa dell’investigazione – si esprimerà, con tutta probabilità, nella prossima settimana e lo scenario più probabile è una multa (sostanziosa) alle due franchigie.

Il problema reale consiste nel fatto che è veramente troppo difficile mettere un argine a questa pratica. Vengono coinvolte decine di persone, di ambiente diversi e (molto) difficilmente controllabili.

Una sanzione economica, nell’ordine di centinaia di migliaia di dollari, è poco o nulla per “macchine” che muovono miliardi di dollari all’anno, guidate da persone che non si fanno problemi a correre il rischio di venire multati se, sulla carta, il contro generato è decisamente superato dai pro che vengono generati da quel tipo di operazione.

Tra le franchigie, poi, si crea una sorta di “collusione”, perché sulla base di un determinato scambio si creano i presupposto per altre operazioni che portano benefici all’intera lega.

Come ha affermato Sam Quinn di CBS Sports, “La maggior parte dei movimenti di questa off-season si sono basati sul presupposto che Ball sarebbe andato a Chicago e Lowry a Miami”.

Dunque, per rispondere alla domanda, si possono usare due tipi di approccio alla questione. Uno garantista, con pene certe, ed uno liberale, con totale libertà d’azione per i “giocatori”.

La verità, però, è che entrambi gli approcci hanno più difetti che pregi e il tampering sarà ancora parte integrante dei meccanismi che animano la NBA.

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Davide Quadrelli
Tifo Lakers e Cantù, tifo Valentino Rossi e Kimi Raikkonen, tifo Juventus e Patriots. Pare che io scriva per True Shooting.