Come dobbiamo giudicare la Free Agency dei Celtics?

Free Agency Celtics
Copertina di Marco D'Amato

Vi confesso di averci sperato in un cambio di rotta. Avete presente quelle estati di mercato in cui i fuochi d’artificio si susseguono uno dietro l’altro? Risulta difficile anche solo tenere il conto, figuriamoci distinguere i “colpi” dai “pacchi”. Insomma, un Brad Stevens che alla primissima esperienza dietro la scrivania si affidasse allo spirito dei grandi maestri Marco Fassone e Massimiliano Mirabelli! L’ho detto.

Certo, so bene che partire con queste premesse significa un’alta probabilità di fare un gran bel buco nell’acqua. Ma sarebbe anche significato avere finalmente tanta carne al fuoco, accesi dibattiti, acquisti e cessioni su cui dibattere a lungo, rotazioni stravolte, posizioni da prendere, sbilanciarsi e sbagliare clamorosamente… Insomma, il grande gioco della offseason NBA!

Ho capito, è ora di tornare sulla terra e dare uno sguardo alla classica cauta free agency dei Celtics. A dire la verità, vale la pena giudicare un po’ più nel dettaglio l’operato di Stevens, perché c’è qualche aspetto interessante. Ma la domanda rimane quella: la formichina Boston, prima o poi, taglierà per prima il traguardo?

Al Horford: 6,5

Sembra quasi paradossale: Brad Stevens lascia la panchina biancoverde e la primissima mossa che fa è consegnare al suo successore il suo pupillo per eccellenza. Il figliol prodigo Horford torna dunque a casa, dopo il doloroso addio consumatosi due anni fa in direzione Philadelphia. Personalmente ho trovato più di una ragione per essere felice di questa trade: Boston risparmia innanzitutto una buona dose di dollari e cede un giocatore probabilmente fin troppo criticato, ma con ginocchia pericolosamente sempre più deboli e una scintilla scattata solo parzialmente nel 2019-20 e nemmeno lontanamente nel 2020-21.

Chiaramente aspettarsi che Horford sia ancora un All-Star va oltre l’utopia, ma attenzione a dare per scontato che ogni lungo trentaquattrenne NBA possa ritrovare un buon rendimento dopo un’annata completamente da cancellare. Esattamente quanto accaduto al dominicano nella transizione da Philadelphia a Oklahoma City; coach Udoka ha buoni motivi per essere speranzoso. Fare peggio della sbiadita versione di Tristan Thompson vista in Massachussets sembra difficile: Big Al potrà tornare a guidare la difesa con la sua esperienza e anche in attacco si tratta comunque di un giocatore versatile, che sa tirare da fuori e passa molto bene il pallone. Ci sono ottime possibilità che questa trade si tramuti in un upgrade tirato fuori quasi dal nulla.

Josh Richardson: 5,5

Sono meno entusiasta di questa acquisizione rispetto a tanti appassionati. Forse, avendolo seguito da vicino lo scorso anno in maglia Mavericks, sono troppo severo con Josh Richardson, giocatore che mi sembra sempre più lontano dai lampi mostrati a Miami.

La valutazione non è insufficiente per un semplice motivo: JRich arriva sostanzialmente gratis, sfruttando l’ultima porzione della celeberrima trade exception di Gordon Hayward. Se c’è un posto, poi, in cui il nativo di Edmond può cercare (di nuovo) di rinascere è proprio Boston, ambiente dove difesa e intensità sono sempre state parole d’ordine. In uscita dalla panchina e a basso minutaggio può offrire, oltre all’indiscutibile contributo nella sua metà campo, una buona dose di creazione secondaria, che sicuramente male non farà ad un attacco che l’anno scorso è sembrato troppe volte stagnante e inoffensivo.

Faccio fatica, però, a trovare altri lati positivi nel fit da Richardson e i biancoverdi. La mancanza di una point guard più classica, ad eccezione forse di Payton Pritchard, potrebbe farsi sentire, ma nonostante sia stato provato nel ruolo al tempo degli Heat il suo ball handling non sembra essere ad un livello sufficiente. Ma soprattutto: c’era così bisogno di un altro tiratore traballante in un backcourt con Dennis Schroeder, Marcus Smart, Kris Dunn e Romeo Langford? La sensazione finale è che i pregi di Richardson, in questo contesto, risultino tutto sommato ridondanti e che i difetti, ancora una volta, vengano messi a nudo.

Kris Dunn-Bruno Fernando: 6

Non sono necessarie troppe parole qui: i Celtics volevano liberarsi di un Tristan Thompson deludente e ci sono riusciti, portando persino a casa qualcosa di potenzialmente interessante. Dopo una stagione da oggetto misterioso ad Atlanta, con appena 4 partite giocate in Regular Season causa infortuni, Kris Dunn è un’incognita pressoché totale, ma nel suo ultimo anno a Chicago aveva fatto vedere cose davvero splendide in difesa.

In attacco siamo fermi al minimo sindacale e di nuovo le sue caratteristiche non sono il massimo nel contesto tecnico di Boston, ma come terza point guard c’è molto di peggio in giro. Bruno Fernando aveva mostrato talento grezzo nell’anno da rookie, mentre da sophomore non ha praticamente mai visto il campo. Parliamo anche qui della terza o quarta opzione nel ruolo e oltretutto l’archetipo difensivo di un centro che potrebbe imparare a cambiare sui piccoli non è mai da buttare via nella NBA del 2022.

Una permanenza di TT, visto il potenziale di Robert Williams, sarebbe stato quasi più dannosa che utile: difficile recriminare qualcosa a Stevens qui.

Enes Kanter: 6

Qui sono necessarie ancor meno parole: Stevens voleva un’assicurazione contro l’età di Horford e la discontinuità di Robert Williams ed è andato su un altro usato sicuro. Enes Kanter al minimo salariale può sempre tornare utile: a rimbalzo offensivo rimane una garanzia assoluta e quando bisogna cavare fuori due punti raschiando il fondo del barile state certi che lui, in post, sarà pronto a sgomitare. In difesa, purtroppo, è e rimane una tassa da pagare. Al contrario di quante accade tra i piccoli, però, Boston ha tre centri con caratteristiche molto diverse tra di loro: Udoka potrà divertirsi con le varie combinazioni.

Dennis Schroeder: 7,5

Siamo finalmente arrivati al pezzo pregiato. Qui è necessario mettere prima di tutto da parte ogni giudizio personale sul giocatore (e vi assicuro che il mio è tutt’altro che lusinghiero): Dennis Schroeder a meno di 6 milioni è un affare senza se e senza ma. I Celtics mettono una buonissima toppa nel ruolo di “1”, rimasto sguarnito dopo l’addio di Kemba, e lo fanno ad un prezzo stracciato. La produzione offensiva di Schroeder è una garanzia: il tedesco garantisce almeno 15 punti a sera e una difesa onestissima. Arriva al ferro con grande facilità e pur non avendo un QI cestistico stellare riesce a produrre anche qualcosa per i compagni. Giocatori di questo livello comandano solitamente almeno il doppio dello stipendio: molto bravi i Celtics ad approfittare dell’occasione.

In un mondo ideale Boston ha in quel ruolo un tiratore molto più pericoloso e che lontano dalla palla combina qualcosa in più, ma non si può avere tutto. Schroeder arriverà in Massachussets con il sangue agli occhi, pronto a dimostrare all’intera NBA di essersi sbagliata e a tornare alla carica nella offseason 2022 a caccia di un contratto ben più succulento.

Considerazioni e voto finale: 6,5

I rinnovi di Robert Williams e Marcus Smart chiudono il cerchio di una Boston che per adesso mantiene immutata la fiducia in quello che ormai è il nucleo storico. TimeLord ha l’opportunità di esplodere per davvero e cambiare faccia alla stagione dei biancoverdi, mentre il contratto di Smart appare forse un po’ troppo oneroso, ma il suo possibile inserimento in uno scambio con Bradley Beal o similari mi fa sospendere il giudizio.

Tra Danny Ainge e Brad Stevens ci sono sicuramente molte analogie: ancora una volta Boston non ha fatto grandi mosse, limitandosi a puntellare qui e lì. L’ex allenatore, però, sembra aver dato alla squadra un’impronta più marcata: Boston proverà a tornare la grande difesa che è sempre stata negli anni scorsi. Ha tutte le potenzialità per farlo, non avendo più Kemba come anello debole ma una folta batteria di guardie agguerritissime con il buon vecchio Horford a coprire le spalle: c’è il potenziale per avere uno dei migliori Defensive Rating in assoluto.

La vera sfida per Udoka sarà ridare linfa ad un attacco già stantio lo scorso anno e che sembra avere più di qualche debolezza a livello di spaziature. In conclusione, però, i Celtics sembrano una squadra leggermente migliore dello scorso anno e sicuramente con migliori presupposti per costruire un’identità solida: per i primi vagiti di GM Brad basta e avanza.

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Enrico Bussetti
Vive per il basket da quando era alto meno della palla. Resosi conto di difettare lievemente in quanto a talento, rimedia arbitrando e seguendo giornalmente l'NBA, con i Mavericks come unica fede.