Preview Rockets 21/22: serve tempo per preparare il decollo

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Copertina di Sebastiano Barban

PARTENZE: Kelly Olynyk (FA, Detroit), Sterling Brown (FA, Dallas), D.J. Wilson (FA, Oklahoma)

ARRIVI: Daniel Theis (4/35), Jalen Green (draft, #2), Alperen Şengün (draft, #16), Josh Cristopher (draft, #24), Usman Garuba (draft, #23)

DEPTH CHART

PG: Kevin Porter Jr., D.J. Augustin, John Wall

SG: Jalen Green, Eric Gordon, Josh Cristopher

SF: Danuel House Jr., Jae’Sean Tate, David Nwaba

PF: Christian Wood, Kenyon Martin Jr., Alperen Şengün, Usman Garuba

C: Daniel Theis

Non c’è niente da fare, gli Houston Rockets si prestano sempre benissimo alle metafore spaziali.
Esplosa la supernova Harden, la stazione spaziale si prepara a ricostruire tutto da capo, studiando nuove traiettorie, con nuovi, giovani ingegneri e astronauti, per un nuovo decollo verso la vetta della Lega.

Per certi versi, la stagione scorsa si è conclusa con un successo.
In un ultimo, disperato tentativo di convincere The Beard a restare, il front office Rockets aveva costruito una squadra che potesse quanto meno provare a competere (e per un breve momento ha dato l’impressione di poterlo fare, anche senza Harden).

Come ben sappiamo, l’attuale star dei Nets non ha voluto di che saperne, forzando in ogni modo la mano per essere scambiato e gli sono bastate nove partite per trovare la nuova destinazione preferita.

L’arrivo, tra i vari asset in ballo, di Oladipo era senz’altro una scommessa che voleva provare a sfruttare le firme (e gli ottimi inizi di stagione) di John Wall e Christian Wood, un “so not bigthree a capo di un roster che contava su giocatori affidabili come Tucker, Gordon e House Jr.

Purtroppo o per fortuna, la stagione è rapidamente crollata sotto una slavina di infortuni che hanno demolito qualunque speranza di competitività: a stagione conclusa, Ja’Sean Tate è stato l’unico Rocket a giocare 70 partite (con enorme distanza dalle 51 di Sterling Brown, secondo per presenze).

Houston chiude così la stagione con il peggior record della lega, unica squadra sotto le 20 vittorie.

IL MOMENTO “PROCESS

Come descrivere al meglio il rovinoso declino del 2021 Rockets? Proviamo a farlo con tre grandi performances individuali di giocatori di cui non avete ancora sentito parlare, da sempre elemento principe delle squadre in rebuilding. Ovviamente tutte e tre sono state registrate nel mese di maggio, che sta al tanking come settembre sta alle iscrizioni in palestra.

5 MAGGIO: sette Rockets accolgono i Sixers primi ad est. Dalla panchina entrano Anthony Lamb (22 punti, 7/15, 4/9 da 3) e Armoni Brooks (20 punti 7/16 e un prepotentissimo 6/14 dal perimetro). La partita è ovviamente persa.

8 MAGGIO: che fortuna! Danuel House Jr. è tornato disponibile, gli 8 Houston Rockets sono dunque prontissimi ad affrontare i primi ad Ovest, gli Utah Jazz (con anche Augustin al posto di un Kelly Olynyk formato ASG). Tra i titolari, DaQuan Jeffries sforna una prestazione da alla round, con 17 punti (pessime percentuali), 7 rimbalzi e 5 assist, ma il botto arriva ancora una volta dalla panca: Khyri Thomas, “veterano” alla terza stagione NBA ne mette 27 con un croccantissimo 4/12 da 3, accompagnano 5 esuberanti rubate e due stoppate. Stranamente, anche questa è una sconfitta.

12 MAGGIO: hai affrontato i primi ad est, poi i primi ad ovest, finalmente una pausa contro dei rimaneggiatissimi Lakers (23 con 10 assist di THT e 20/10 di Drummond per gradire). Khyri con le polveri bagnate, un ventello di Armoni che ormai non stupisce più, ma ecco un nuovo sorprendente panchinaro, Cameron Oliver, che ne mette 17 e segna tutte le caselle statistiche con almeno un’unità. Neanche a dirlo, altra sconfitta.

Il fatto che siano giocatori perlopiù sconosciuti, non vuol dire che non siano talentuosi o che non avranno un futuro nella Lega. Assalito da questo dubbio, mi sono rivolto all’eminenza grigia dei giocatori sconosciuti in Italia, Emiliano Naiaretti che, dall’alto dei monti carnici, smercia cards NBA e analizza prospetti dalle dubbie potenzialità.

Emiliano ha avuto buone parole per tutti ed effettivamente non stupitevi se li vedrete spuntare nuovamente a Houston o altrove nella Lega. Personalmente, lasciando da parte il nano bombardiere Brooks e DaQuan Jeffries, potreste voler tenere un occhio su Khyri Thomas e Cameron Oliver: il primo intriga per la struttura fisica e le potenzialità difensive, il secondo è un centro di 2.03 metri molto esplosivo e con la tendenza a tirare parecchio (e con una discreta mano anche da 3). Sono entrambi estremamente grezzi, ma non sorprende che i Rockets abbiano confermato Thomas e che Oliver sia rimasto nell’orbita NBA/G League.

Oltre alla schiera di militi ignoti, a solleticare i sogni bagnati dei tifosi Rockets più hardcore, ci sono anche nomi e visi più conosciuti e che lasciano intravedere segnali più forti e costanti di indubbio talento.

KEVIN PORTER JR.

Col passare del tempo, è diventato sempre più evidente come KPJ sia stato il ricavo più prezioso della trade di Harden. Ottenuto in cambio di una scelta al secondo giro (protetta top-55) in seguito all’arrivo ai Cavs di Taurean Prince (parte della trade Harden), non ci è voluto molto per realizzare l’incredibile affare della franchigia texana.

Chiariamo, il talento di Porter Jr. è sempre stato indiscusso. Ciò che preoccupava di più era la sua salute mentale, con una serie di “personal conduct issues” che lo seguivano fin dal college, comprensibilmente amplificate dall’arrivo in NBA a 19 anni in una franchigia non proprio ideale.

L’episodio di cui potreste aver sentito parlare è la violenta crisi di KPJ nello scoprire che i Cavs hanno dato il suo armadietto a Prince, spostando lui insieme alle riserve. Da ciò segue poi un’accesa discussione con il GM Altman, al termine della quale Porter Jr. è messo pubblicamente fuori squadra.

Rapido fast forward e il 12 marzo è in campo per la sua seconda partita in maglia Rockets, nella quale registra 27 punti e 8 assist contro i Jazz.

Porter Jr. è probabilmente il giocatore NBA con il più grande distacco tra talento posseduto e livello di raffinatezza del suo gioco: è tanto forte quanto grezzo. In ogni partita, che segni 4 punti o 50, potrete vedere più di un movimento, una lettura, una penetrazione che vi lasciano inebetiti dalla sua bellezza e/o difficoltà. Nella stessa partita vedrete anche una lettura completamente sbagliata, una conclusione tentata col paraocchi o una dimenticanza eclatante in difesa.

Le cose su cui lavorare sono ancora tantissime, ma basta guardarlo muoversi (sul serio, si muove come se fosse 10 cm più basso e qualche chilo più leggero, il modo in cui usa il corpo è qualcosa che non si può insegnare) per capire che i Rockets fanno benissimo a puntare forte su di lui e affiancarlo a Jalen Green in cabina di regia.

KENYON MARTIN JR.

Se parliamo di talenti grezzi, bisogna spendere qualche parola anche su questo figlio d’arte. Del padre non ha preso solo il cognome, ma anche i geni deputati alla creazione di polpacci clamorosi e la costante ricerca della giocata spettacolare e violenta.

Nonostante il finale di stagione dei Rockets sia stato quello che abbiamo descritto sopra, Martin Jr. ha chiuso le ultime 10 partite con 17 punti di media (e il 40% da 3 su quasi 5 tentativi a partita), 7 rimbalzi (1.5 offensivi) e alcuni lampi che lasciano trasparire futuri più rosei dello status di energy guy che già adesso può facilmente interpretare nella Lega.

Potrebbe diventare un buon ingranaggio nello spot di 4, con discrete abilità nel taglio (da migliorare viste le doti fisiche) e un buon livello di letture per fare il passaggio giusto e portare l’aiuto difensivo al ferro con i tempi corretti.

Allo stesso tempo, è estremamente carente, sia in attacco che in difesa, in tutto ciò che riguarda il giocare “da solo”: zero creazione e zero palleggio un minimo pressato, in difesa poi è attaccabilissimo.

JAE’SEAN TATE

Tate è invece l’esatto opposto del talento grezzo: professionista da 3 anni, i Rockets sapevano già benissimo cosa aspettarsi dal prodotto di Ohio State che non ha deluso, anzi ha confermato in pieno stupendo, manco a dirlo, per la sua maturità e il suo essere pronto fin da subito, conquistando un secondo quintetto All-Rookie da undrafted.

Potrebbe non esserci più molto spazio per miglioramenti sostanziali, dubito per esempio che diventerà un miglior palleggiatore, ma non sarebbe sorprendente vedere un miglioramento al tiro da tre che lo renderebbe una minaccia da rispettare (ha chiuso col 31%).

In questa stagione ha fatto tutto: ha giocato ogni ruolo, in attacco e in difesa, ha fatto il panchinaro, il sesto uomo, il titolare, partite con 5 tiri presi, altre con 19, due volte in doppia cifra per rimbalzi, due per assist, 12 partite con tre o più palle rubate, 4 con tre o più stoppate… Un coltellino svizzero pronto ad affinarsi sempre di più.

I PRODOTTI DEL DRAFT

Ovviamente, una stagione chiusa a fondo classifica ha, come logica conseguenza, una scelta alta al draft, bene agognatissimo da ogni franchigia in difficoltà. I Rockets sono stati infatti la penultima pallina estratta dalla lottery e, pur non potendo scegliere i servizi della next big thing Cade Cunningham, potrebbero ugualmente essere caduti sul morbidissimo scegliendo Jalen Green alla 2, un prospetto che ha tutto per diventare una stella abbagliante anche nel firmamento NBA, dentro e fuori dal campo.

Delle potenzialità di Jalen Green ha parlato in maniera completa e approfondita il nostro dipartimento draft e NCAA, dal canto mio mi limito a dire che il prospetto di Fresno (è importante specificarlo, visto che ha il cap tatuato gigante su una gamba) è IL prospetto che vorrei nella squadra che tifo: un sorriso irresistibile, uno swag che fuoriesce a cascata da ogni poro e in ogni gesto (sponsorizzato da GQ, la principale rivista di moda maschile al mondo, ancora prima di arrivare in NBA) e ovviamente uno stile di gioco elettrizzante, veloce, stiloso, evidente fin dai primi momenti della Summer League.

Insieme a Green, dal primo giro del draft sono arrivati anche Alperen Şengün, Usman Garuba e Josh Cristopher, con la 16, la 23 e la 24.

Sul primo sospenderò il giudizio in quanto il mio pensiero su di lui e quello dell’intellighenzia NBA è particolarmente distante: chi ne sa dice che ha un grande potenziale per diventare un lungo con ottime abilità di playmaking (ha effettivamente ottima mano e ottimo occhio nel passing) e completo in attacco.

Va detto che in Summer League ha dominato, ma più guardo i suoi video più ho dubbi sulle sue capacità fisiche in NBA (ha faticato, e parecchio, in molti frangenti, e parliamo della Summer League).

Fatto sta che i Rockets hanno addirittura fatto trade up per sceglierlo e sembra che prima del draft fosse in aria di scelta nella top 10, quindi sarà sicuramente un prospetto da studiare e osservare attentamente, magari su un periodo più lungo. Non stupitevi se passerà buona parte della prossima stagione in G League, anche perché il frontcourt è abbastanza affollato.

Passando a Cristopher, parliamo di una guardia molto fisica, grande atletismo (notevole culone, sempre più importante per entrare nell’élite del ruolo oggigiorno). Sembra capace di segnare da ogni mattonella e in ogni modo e aggiunge anche un’interessante aggressività difensiva.

Anche per lui un’ottima Summer League (16/4/4), potrebbe essere un bluff (si tratta di capire se e come il suo talento individuale si possa mettere al servizio di una squadra competitiva in NBA) ma offrirà sicuramente una discreta quantità di giocate divertenti. Per usare le categorie di NBA Twitter, sommo decisore sui prospetti NBA, un Real Hooper.

Tra i tre, Garuba sembra essere il più pronto. Se guardate le sue partite di Summer League, noterete benissimo che sembra essere sempre qualche secondo in anticipo, capace di accendere e spegnere il motore a comando, evitando la “fuffa” da Summer League, un approccio che rispecchia il suo essere un professionista ormai esperto, pronto a sfide completamente diverse dallo showcase estivo dei rookies.

IL RESTO DEL ROSTER

Abbiamo visto i giovani “vecchi”, abbiamo visto i giovani nuovi, non resta che dare un’occhiata ai veterani presenti a roster, per provare infine a immaginare come giocheranno questi Rockets 2021-22.

Esclusi John Wall (ufficialmente fuori squadra) ed Eric Gordon (che sembra intenzionato a cambiare squadra), sono rimasti Augustin, House Jr., Nwaba, Dante Exum e Christian Wood, ai quali va aggiunta la firma estiva di Daniel Theis.

Wood è ovviamente il pezzo più pregiato. Dopo una stagione di luci (l’inizio da front-runner per il MIP) e ombre (gli infortuni che ne hanno dimezzato la durata), Wood si prepara ad un’altra stagione da primo terminale offensivo, coadiuvato da un Jalen Green che ha già mostrato notevoli abilità nel gestire il pick and roll. Le sue abilità in attacco non possono più essere considerate un bluff da garbage time e in difesa c’è decisamente spazio per confermare gli spunti interessanti mostrati la stagione scorsa.

La novità è che, a quanto dichiarato, quest’anno giocherà maggiormente nello spot di 4. La soluzione più prevedibile è, ovviamente, schierarlo al fianco di Daniel Theis, un centro sicuramente molto più fisico dell’ex Pistons, ma anche mobile, intelligente e capace di fare la giocata giusta, in attacco e in difesa.

Stephen Silas si prepara dunque ad iniziare una stagione senza pressioni addosso e con un gruppo la cui ossatura potrebbe rivelarsi molto adatta al basket che ha in mente.

Green, Porter Jr., Gordon, Cristopher (anche Augustin per certi versi) è un gruppo di guardie potenzialmente capaci di essere pericolosi sia con che senza la palla in mano, dunque con la possibilità di essere in movimento costante e di togliere punti di riferimento alle difese avversarie.

Può poi contare su House Jr., Tate e Nwaba, un terzetto dalle eccellenti qualità difensive: possono tutti marcare più posizioni e sono molto abili nei cambi, sono tutti capaci, chi più chi meno, di difendere sia on che off the ball. In attacco nessuno dei quattro ha capacità di realizzazione dal palleggio ma sanno tutti rendersi utili muovendosi, trovando il passaggio utile e/o tirando in spot up dal perimetro.

In ultimo, Wood, Theis, Martin Jr., Garuba e Şengün compongono un frontcourt estremamente vario ed eclettico. Durante la stagione scorsa, infortuni o meno, Silas ha spesso alternato momenti con Wood schierato da centro puro a momenti di small ball purissima con Tate nominalmente da centro, puntando in entrambi i casi su uno spiccato dinamismo e una notevole quantità di movimenti senza palla dei lunghi. I nuovi arrivati non solo ricalcano questo solco, ma offrono nuove possibilità che verranno senz’altro esplorate.

Nella peggior stagione dal 1984, gli Houston Rockets hanno fatto capire abbastanza chiaramente i principi di gioco attraverso i quali puntano a tornare in alto. Ritmi altissimi, una difesa fluida capace di cambiare su ogni blocco (ma con la possibilità di ancorare un centro a protezione del ferro) e di mettere le mani su ogni linea di passaggio e un attacco guidato da grandi individualità, sostenute da giocatori “utili” e intelligenti, capaci di mettere palla a terra e trovare la giocata più semplice ed efficiente.

Chiariamoci, nonostante le grandi potenzialità e l’ottimismo, questo gruppo si ritroverà nuovamente a fondo classifica. Questi Rockets hanno però un’idea chiara, un gruppo perfetto per provare a metterla in pratica e delle individualità estremamente intriganti e, dopo un solo anno di ricostruzione, è un’ottima situazione in cui ritrovarsi.

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