Il caso Robert Sarver al microscopio

sarver suns
Copertina di Edoardo Celli

Per quanto si possa provar a soprassedere, lo scandalo che ha investito Robert Sarver dei Phoenix Suns non è cosa da liquidare in modo rapido, tacciandola come all’interno di un disegno delineato.
Molti hanno rivisto strutture a metodologie vissute ai tempi del caso Sterling, altri sottolineano la macchina del fango attivatasi sulla base di accuse formulate – per gran parte – mediante dichiarazioni anonime.

Come se il tritacarne che investe il proprietario della franchigia giunta ad un passo dal titolo NBA 2021 (stesso discorso per le “sue” Mercury in WNBA), fosse più figlio della cultura del sospetto nel paese delle contraddizioni, che un qualcosa per cui correre immediatamente ai ripari. Destinato ad aprire un vaso di Pandora che contiene al suo interno argomenti centrali in questa epoca: come pressioni e violenze psicologiche nel posto di lavoro, con conseguenze sulla mental health e sdoganamento di una cultura sessista, misogina e razzista.

Quella per cui Sarver è stato accusato, in un momento in cui il suo destino può determinare problemi non piccoli per quei Suns naturali contender stagionali, vittime di un avvio poco brillante e costellato dalle polemiche circoscritte al rifiuto del rinnovo di DeAndre Ayton, rispetto alle sue richieste.

Insomma, con un’inchiesta che contiene più di un motivo per una potenziale rimozione forzata per mano della NBA – e con la lega che ha avviato una sua indagine sul caso – cercar di far ordine tra quel che abbiamo davanti (e ciò che può succedere), appare indispensabile. Per quanto possa apparir ininfluente rispetto ai destini del campo, gli effetti del Sarver gate possono alterare decisamente gli equilibri della stagione appena avviata.

Così come, allo stesso tempo, il tutto può risolversi in una proverbiale bolla di sapone. Anche se la sensazione comune è diametralmente opposta a questa ipotesi.

I fatti

Il fulmine a ciel sereno si manifesta lo scorso 22 ottobre, e per mano di un insider neanche troppo conosciuto: Jordan Schultz. È lui a lanciare un’indiscrezione formato tweet in relazione a ciò che stava per accadere. Il proprietario di maggioranza di Suns e Mercury Robert Sarver sta per essere accusato – con prove – di razzismo, misoginia e sessismo. E la NBA si sta già preparando alla tempesta. Insomma, un potenziale “caso Sterling” due.

Schultz ipotizza che già si pensi al sollevamento di Sarver dalla posizione occupata.

Dall’altra parte i Suns nicchiano, con una presa di posizione ufficiale che si pone sull’ovvia difensiva, ma restando alla finestra in attesa di sviluppi. Il GM James Jones si dichiara stupito delle presunte accuse, ancora non formalizzate nell’effettivo. Il Presidente di franchigia Jason Rowley si schiera a fianco di Sarver, definendolo il più lontano possibile da un razzista o un sessista qualunque. Mike Bass della NBA sottolinea che la lega non ha ricevuto nessuna denuncia di cattiva condotta proveniente dall’organizzazione di Phoenix, e lo stesso vale per Michele Roberts del Sindacato Giocatori.

In un modo o nell’altro si viene a scoprire che esiste un’inchiesta di ESPN a firma Baxter Holmes, di prossima uscita. Ed è necessario aspettare un po’ meno di un mese, per la deflagrazione ufficiale del tutto, il 4 novembre del 2021.

“Allegations of racism and misogyny within the Phoenix Suns: inside Robert Sarver’s 17-year tenure as owner” è la corposa risultante di un lavoro lunghissimo, proveniente da testimonianze dirette di oltre 70 persone tra attuali ed ex dipendenti della franchigia, probabilmente uscito a scoppio ritardato per una verifica ulteriore sui contenuti riportati. Il materiale destinato a far discutere trasuda già dal titolo, in parte fuorviante per l’ordine di gravità con cui le accuse ci vengono presentate, perché forse la questione razziale è la meno impattante.

Robert Sarver nega tutto, o comunque la grandissima parte. Non può fare altrimenti. Il tempo intercorso tra l’uscita dell’indiscrezione e l’effettiva pubblicazione del pezzo, permette una preparazione generale all’impatto, che ad occhio potrebbe non essere di poco conto considerando che i Suns sono attesi poche ore dopo in campo, nella sfida contro gli Houston Rockets.

NBA e WNBA dichiarano immediatamente di aver incaricato un’indagine sulle accuse riportate allo studio legale Wachtell Lipton. Con la volontà di far chiarezza ulteriore sulle responsabilità, prima di prendere eventuali provvedimenti. Il dibattito si allarga così al resto del mondo. Anche perché le testimonianze rese pubbliche sono a disposizione di tutti, e se qualcosa può apparir discutibile, c’è materiale piuttosto difficile da giustificare.

L’inchiesta

I garantisti (o scettici) non possono che storcere il naso di primo acchito, scorrendo con interesse le parole che escono dalla metaforica penna di Baxter Homes. Si parla di utilizzo provocatorio della fastidiosa “N-Word”, di episodi e smargiassate provenienti da un uomo che ricopre una posizione di potere.

Battutacce, riferimenti sessuali gratuiti, interferenze fastidiose in aree di competenza non ascrivibili allo stesso Sarver, come quelle relazionate al campo e al lavoro del coaching staff. Ufficialmente si tratta di virgolettati provenienti da anonime parti in causa, gran parte (se non tutte, probabilmente) già professionalmente fuori dall’organizzazione. Sicuramente con il dente avvelenato verso l’ingombrante (per attitudine) proprietario di maggioranza.

Certo, c’è la storia del contenzioso tra Sarver e l’attuale assistente allenatore di Toronto Earl Watson, ex coach di Phoenix sollevato dopo appena tre partite (tutte sconfitte) in avvio di stagione dopo aver ricevuto un discutibile ultimatum. Figlio di storie tese tra il proprietario e la sua agenzia di rappresentanza Klutch Sports. Della serie: “o ti liberi di Rich Paul in dieci giorni, oppure ti licenzio”. Cosa effettivamente avvenuta.

E riportata attraverso virgolettati in cui emerge un’idea di “voi” diversi da “noi”, laddove gli opposti dalla categoria di Sarver sarebbero generalmente gli afroamericani. Da apostrofare sempre con la solita ed oltraggiosa “N-Word”. Gli stessi per cui giustificare l’utilizzo di allenatori e general manager di colore all’interno dell’organizzazione stessa, perché (testualmente riportato, da fonte anonima) secondo Sarver

These [N-words] need a [N-word]

ovviamente con riferimento diretto alla maggioranza etnica di appartenenza dei giocatori a roster.

Comunque una questione – quella riguardante l’ultimatum a Watson – già introdotta nel 2018 in un’intervista, come ricordato su Twitter da Chris Haynes di Yahoo Sports.

Insomma, concetti deprecabili sotto ogni punto di vista etico esistente, ma potenzialmente giustificabili come “leggerezze gergali” di un uomo che presta poca attenzione alla sua apparenza in pubblico. Ammettendo la veridicità della fonti che saranno, in ogni caso, ampiamente verificabili da più parti se ESPN ha deciso di pubblicarne le dichiarazioni.

Forse Sarver ha davvero ostentato una foto della moglie in bikini durante riunioni del personale, raccontando delle sue capacità fuori dal comune in materia di fellatio. O probabilmente è stato mal interpretato mentre ne mostrava le grazie con l’intento di esporre la linea di costumi da bagno griffati Suns (come lui si difende). In assenza di evidenze registrate, il confine tra il percepito e ciò che realmente si vuol proporre – magari viziato da un pessimo modo di porsi o da altrettanto pessima nomea – resta comunque sottile.

Così come certe altre frasi dal contenuto sessista, potrebbero esser più “battute da caserma” che altro.
Per quanto ingiustificabili in un ambiente di lavoro, apparenti ostentazioni di machismo possono esser percepite più come “esagerazioni da bar” sul momento, che fastidiosi mattoncini atti a costruire un clima di minaccia, sopruso e terrore che può aver senso definir “tossico” per chi lo subisce.

La verità però, e che al netto di ogni contraddizione del caso – e del fatto che un’accusa non provata non dovrebbe determinare sentenza automatica – neanche il più scettico osservatore può trovar giustificazione ai contenuti che si presentano a seguire, con l’avanzare del pezzo. Che probabilmente inserisce una questione razziale discutibile nei fatti in avvio, per attirare l’interesse dei lettori. Ma presenta argomentazioni per le quali il termine “ambiente di lavoro tossico” appare ben più indiscutibile. Anche e soprattutto per una cultura misogina che trasuda dalle testimonianze del Sarver-pensiero, o delle sue azioni in pubblico.

Ed anche qui, non è tanto l’idea di scovare delle spogliarelliste locali disposte a farsi mettere incinta da giocatori NBA, così da innalzare indirettamente le quotazioni di Phoenix nelle contrattazioni dei free agent più ambiti. Oppure il portarsi donne in trasferta con la squadra a patto che i ragazzi “si sfoghino” velocemente, così da non andar a letto troppo tardi nel pre partita. Virgolettati simili appaiono più come cadute di stile in sparate confidenziali, che altro.

Il problema è quando si pensa si sollevare dall’incarico una dipendente solo perché in fase di allattamento, e quindi zavorra lavorativa per presenza. Oppure umiliazioni pubbliche per apparenti errori, con sbeffeggiamento delle reazioni causate (“Why do all you women around here cry so much?” ). O infine quando un sistema umilia e non tutela la serenità mentale dei propri occupati, a maggior ragione per soprusi di genere, tanto da far valutare addirittura il suicidio agli stessi.

Si tratta di questioni pesanti, che non possono essere passate come “incomprensioni” della situazione, anche accogliendo in modo tollerante quel “clima da caserma” che trasforma rapidamente un ambiente di lavoro in un luogo invivibile. A scapito di quella mental health che tanto allerta (con giustezza) la NBA in questo periodo.

Favorire una condizione che si scontra con ogni principio etico che dovrebbe stare alla base di un’organizzazione sana, è la principale colpa di Sarver che emerge dall’inchiesta di Baxter Holmes, e sulla quale la lega farà ulteriore luce.

Il che dovrebbe preoccupare non poco il proprietario di maggioranza dei Suns, considerando che se gli attuali dipendenti possono essersi esentati dal testimoniare fino ad oggi, con tutta la protezione di ripercussioni del caso potrebbero emergere episodi ancor più deprecabili. O peggio, delle prove schiaccianti.

Le reazioni

Chi vedeva similitudini pesanti con il caso Sterling, poteva aspettarsi manifestazioni di dissenso da parte dei giocatori dei Suns, nella sfida immediatamente programmata a seguito dell’uscita dell’inchiesta. Niente di tutto questo è avvenuto, anche perché a differenza dello scandalo che colpì il proprietario dei Clippers, non esiste nessuna registrazione o prova che mostri Sarver agire per quanto riportato da ESPN.

Oltretutto, la conferma di un’ulteriore indagine da parte della NBA sulla questione, potrebbe aver bloccato possibili colpi di testa: meglio veder quel che succede, aspettando gli effetti dello scandalo per prendere posizioni che potrebbero favorire una rapida rimozione di Sarver dal suo ruolo.

Perché in effetti, se una similitudine tra lui e Sterling esiste, riguarda la fama ed il disprezzo generale attirato (anche qui, fonti ufficiose ma abbastanza numerose) all’interno della lega.

Altra faccenda che non aiuta, come già dimostrato da esternazioni che poco riguardano i temi dell’inchiesta, ma che certi personaggi dell’ambiente NBA hanno già iniziato a render pubbliche, per girare il coltello nella piaga. Tra questi, Vince Carter.

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Interrogati nel pre e nel post partita contro i Rockets, né Monty Williams e né Chris Paul hanno manifestato volontà di inserirsi nel dibattito, evidenziando il bisogno di restar concentrati sul gioco in questo avvio di stagione.

Quello che fa più rumore però, è un non detto che non può sfuggire anche agli osservatori meno attenti: il fatto di non aver preso posizione a favore di Sarver, senza neanche citarlo, è un evidente indicazione della parte eventualmente sostenuta dalla squadra. Confermata dalle parole di Devin Booker, che pur restando come gli altri super partes, non ha potuto esimersi nel definire attendibile la testimonianza del suo ex coach Earl Watson.
Altra indiretta scelta di campo.

Nessuno dei protagonisti intervistati ha dichiarato di essersi accorto di certi atteggiamenti del proprietario, senza però andar molto oltre nel dar particolari garanzie. Il discorso ha colpito di riflesso anche Steve Nash, head coach dei Nets nonché ex leggenda Suns, legato a Sarver da lunga data e per un periodo facente parte del CDA del Mallorca. La società calcistica delle Baleari di cui il proprietario dei Suns è anche principale azionista.

Pur definendosi stupito dall’immagine emersa dell’ex collega ed amico, Nash non tollererebbe alcun tipo di scuse se il tutto si rivelasse vero.

Anche qui: mani avanti, senza esporsi troppo, quasi come il più biblico dei Ponzio Pilato.

È chiaro che l’indagine avviata dalla NBA non sarà di rapida conclusione, e che ogni azione e reazione rispetto al Sarver gate verrà rimandata ad allora. Probabilmente in un periodo ancor più complesso per le sorti di Phoenix, dovessimo trovarci a primavera, quando si gioca la parte decisiva di un campionato che dovrebbe vederli protagonisti. Ma come dicevamo prima, la sensazione è che si apra di riflesso un vaso di Pandora preoccupante, che può investire anche altre franchigie della lega.

Perché se chi ritiene Sarver una vittima di una cospirazione, definisce la situazione descritta dall’inchiesta come “comune a tante altre organizzazioni analoghe”, c’è da star poco allegri.
Soprattutto se dietro alle scintillanti immagini delle squadre NBA, si nascondono altri ambienti con condizioni di lavoro ostili. Chiedere a Portland, o meglio, all’attuale GM Neil Olshey.

Sembra quasi un riflesso, la notizia che rimbalza due giorni dopo l’uscita dell’articolo di ESPN, e stavolta è la franchigia ad agire direttamente. Senza aspettare scandali o uscite di informazioni incontrollate. Il notoriamente irascibile Olshey si ritrova così al centro di un’indagine richiesta dai Blazers stessi, rispetto a denunce relative ancora una volta al clima ostile interno all’organizzazione. Ed il caratteraccio riconosciuto da molti del general manager, rende le sconosciute motivazioni già credibili a prescindere.

Si parla di intimidazioni, linguaggio scurrile, bullismo. Lo si fa in modo ufficioso, laddove si conosce solo il nome dello studio legale destinato ad esaminare le preoccupate testimonianze del personale a libro paga, O’Melveny & Myers. Sono pochi i commenti a riguardo, se non posizioni di lieve difesa che assomigliano molto ai pareri dei personaggi più vicini a Sarver nel passato e presente di Phoenix, come Nash e Rowley. Il neo coach Billups, ad esempio, si è dichiarato amico di vecchia data di Olshey, testimoniando di non aver mai sentito niente rispetto ai temi che motiverebbero l’inchiesta.

Sembra quasi una giocata di anticipo di Portland, con l’intento di lavare i panni sporchi il più possibile in famiglia, evitando scandali ingestibili, per non esser tacciati eventualmente di negligenza dall’opinione pubblica un domani. O peggio, dalla lega.

In attesa di ulteriori informazioni sulle ricerche della NBA in Arizona, il rischio che denunce similari possano ampliarsi, quasi al prender forza nella comunanza di destino dei lavoratori “invisibili” all’interno di certe organizzazioni, appare difficile ma non impossibile. La bomba è deflagrata e la rivendicazione di chi subisce condizioni psicologiche complesse all’interno del proprio ambito professionale, diviene giustamente all’ordine del giorno.

Per buona pace delle dietrologie scettiche, riponendo fiducia nella giustizia e soprattutto in indagini auspicabilmente super partes, da chi è preposto per effettuarle.


Nella stesura e l’organizzazione del pezzo, si ringrazia Andrea Bandiziol per la consulenza

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Davide Torelli
Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.