Quanto è sostenibile la difesa dei Timberwolves?

Timberwolves defense
Copertina di Valentino Grassi

Il concetto di sostenibilità, inteso come le probabilità che un certo trend possa protrarsi a medio o lungo termine senza interrompersi bruscamente, è spesso utilizzato all’interno delle discussioni cestistiche; che sia riguardante una striscia di prestazioni positive di un giocatore o un filotto di vittorie di una squadra, la domanda che gli appassionati si pongono è sempre la stessa: «Bravi, ma quanto potranno andare avanti?».

All’inizio della stagione nemmeno il più inguaribile degli ottimisti avrebbe potuto pensarlo, ma dopo le prime venti partite di questa regular season i Minnesota Timberwolves possono vantare quella che, numeri alla mano, è a tutti gli effetti una delle difese più efficaci di tutta la lega. Ma per quanto sarebbe bello mettersi comodi e decidere di godersela finché dura, la solita domanda sulla sostenibilità è inevitabile.

In questo articolo andremo quindi ad analizzare i cambiamenti effettivi che sono stati apportati rispetto all’anno passato e i risultati che ne stanno scaturendo, poi prenderemo in esame l’impatto difensivo di alcuni giocatori specifici, e infine si tenterà di stabilire se questo exploit sia effettivamente un fuoco di paglia o se ci si possa aspettare una certa continuità per tutto il resto della stagione.

Un cambiamento radicale…

Osservando la difesa dei Timberwolves, il primo aspetto che salta all’occhio è quanto effettivamente sia stato modificato lo schema rispetto alle scorse stagioni. Come spiegato ampiamente nella preview prestagionale, Coach Finch e il suo staff hanno deciso di accantonare la drop coverage – che prevede l’indietreggiamento del lungo fino al proprio canestro e il recupero da dietro della guardia – per contrastare i pick and roll avversari.

I Timberwolves hanno quindi optato per un tipo di schema più aggressivo, con show e blitz del lungo sul portatore di palla: in questo tipo di difesa il lungo si “alza” maggiormente fino ad arrivare al livello del pallone, mettendo in difficoltà il palleggiatore e disinnescando il più possibile le sue abilità realizzative.

La conseguenza naturale è che gli altri tre difensori – che si trovano in una sorta di inferiorità numerica – devono essere attenti e rapidi per evitare sia che il lungo riceva e concluda facilmente, sia che gli altri attaccanti abbiano un tiro troppo comodo.

Oltre a questa novità, Minnesota sta cercando di mischiare il più possibile le carte in tavola, ricorrendo talvolta a una difesa a zona – solitamente 2-3, più raramente una zona che poi passa a uomo nella seconda parte dell’azione – e in altri casi alla “vecchia” drop, anche se non così conservativa come nelle esperienze precedenti.

L’idea quindi è quella di mantenere dei principi saldi ma al contempo di adattarsi di volta in volta agli avversari, così da essere pronti a ogni evenienza. Per esempio, nella seconda partita stagionale contro i Grizzlies si è vista una difesa molto più aggressiva sul portatore di palla, così da togliere qualsiasi linea di penetrazione a Morant (non a caso tenuto a soli 11 punti con 3/9 al tiro e 3 palle perse).

Nel terzo confronto dell’anno contro i Pelicans si è preferito invece ricorrere un po’ di più alla drop, così da limitare l’impatto di Valančiūnas e sfidare dal palleggio le non irresistibili guardie di New Orleans.

…e un successo insperato

Nel corso della loro storia recente i Timberwolves hanno cambiato pelle innumerevoli volte, fallendo con una costanza impressionante e non riuscendo mai ad avvicinarsi alla tanto agognata “quadra”. Per ora, e mi preme sottolineare mille volte queste due parole, il cambiamento del modo di difendere si sta rivelando un successo e sta ottenendo risultati ottimi.

Secondo i dati di Cleaning the Glass – che a differenza delle statistiche “ufficiali” della NBA non tengono conto dei possessi giocati nel garbage time – i Timberwolves attualmente concedono ai propri avversari 105.7 punti per 100 possessi, che li posizionano come la settima miglior difesa della lega.

Ma al di là dei già citati cambiamenti a livello schematico e dell’impatto dei singoli, che sicuramente sono ingredienti fondamentali per una difesa di livello, il successo di Minnesota è riconducibile ad altri due fattori in particolare.

In primis la squadra di Coach Finch infatti sta dimostrando una capacità straordinaria di forzare palle perse, che tendono a inceppare l’attacco avversario e che generano possibilità per canestri facili in contropiede. Gli Wolves generano 17.7 turnover avversari per 100 possessi – miglior dato della lega secondo NBA.com – e da queste situazioni ottengono 20.5 punti per 100 possessi, che li piazzano al secondo posto in questa speciale classifica.

In secundis sta impressionando la bontà delle rotazioni difensive, un aspetto che spesso è un buon indicatore del livello della difesa di una squadra. I Timberwolves sono sempre attivi e si muovono costantemente, cercando di costringere gli avversari a fare sempre un passaggio in più e non concedendo nulla di troppo facile.

Guardate per esempio questa azione dell’ultima partita contro i Pelicans: gli avversari sono modesti e la difesa in un paio di istanze rischia di essere bucata, ma il movimento incessante dei cinque giocatori e una buona comunicazione di squadra permettono agli ospiti di forzare l’ennesima palla persa della gara.

L’importanza di Beverley e l’esplosione di Vanderbilt

Il roster dei Timberwolves è molto distante dall’essere ben costruito e ha alcuni importanti problemi strutturali, ma dopo un periodo di sperimentazione Coach Finch sembra avere finalmente trovato il quintetto titolare più adatto alle caratteristiche della squadra.

Secondo il coaching staff le due opzioni migliori per cominciare le partite accanto ai tre starter inamovibili – Russell, Edwards e Towns – sono Patrick Beverley e Jarred Vanderbilt, giocatori estremamente energetici e dalla spiccata mentalità difensiva.

A farne le spese è stato Jaden McDaniels, che però non sembra aver patito la “retrocessione”, anzi: pur avendo sorpreso tutti durante il suo primo anno tra i professionisti (se volete conoscerlo più a fondo date un’occhiata a questo articolo di qualche settimana fa), il sophomore ha ancora molto da imparare e deve smussare più di qualche angolo del suo gioco.

Intendiamoci, McDaniels è già un ottimo difensore ed è funzionale a ciò che vogliono fare i Timberwolves: unite a istinti di livello élite, le sue braccia lunghissime e la sua difesa in aiuto sono caratteristiche fondamentali per l’attuale successo dei Lupi nella propria metà campo.

Per esempio, guardate come in questa azione si stacca dal suo uomo per sporcare il passaggio lob e impedire a Brandon Clarke di concludere facilmente: lettura, tempismo ed esecuzione sono perfetti, e ciò permette ai suoi di recuperare palla e partire in contropiede.

Non ci sono dubbi che prima o poi Jaden ritornerà a essere un titolare, ma attualmente la strada migliore per il suo sviluppo – anche a livello offensivo – sembra essere questa.

Ma torniamo a noi. Tra tutte le lineup della lega ad aver condiviso il campo per più di 50 minuti complessivi, il defensive rating del quintetto con Beverley, Russell, Edwards, Vanderbilt e Towns è di 85.4 punti, valido per il terzo posto (dati di NBA.com). Sorprendente, vero?

Non per Beverley, che alla domanda sul suo inserimento tra i titolari aveva scherzosamente (ma neanche troppo) risposto «Mi chiedevo perché ci stessero mettendo così tanto [a farmi giocare titolare]».

L’ex Clippers ha portato in dote una mentalità dura e vincente che sembra essersi estesa anche a tutto il resto del roster. Come scritto in precedenza, la comunicazione tra tutti i giocatori in campo è una componente fondamentale per la buona riuscita dei possessi difensivi, e Beverley in questo è uno dei migliori della lega.

Il #22 parla incessantemente con avversari, arbitri e soprattutto con i propri compagni, rivestendo quel ruolo di leader vocale che di cui i Timberwolves necessitavano disperatamente.

Il suo impatto però non si limita a questo, visto che Beverley è tuttora un ottimo difensore sulla palla, capace di passare sui blocchi e di rimanere incollato ad alcuni degli attaccanti migliori della lega nonostante sulla carta le differenze fisiche lo svantaggino quasi sempre.

Per informazioni chiedere a Keldon Johnson, che nel video sottostante si fa sporcare il pallone per due volte prima di perderlo definitivamente.

L’altra nota positiva è appunto Jarred Vanderbilt, che si è preso di prepotenza il posto di ala grande titolare. Chi lo segue da tempo sa quanto il suo skill set eclettico potesse sposarsi bene con quello di Karl-Anthony Towns, ma prima di quest’anno non c’erano mai state prove così schiaccianti.

La caratteristica principale dell’ex Nuggets è il suo dinamismo, e non è un caso che sia stato soprannominato V8, proprio come un motore. Immaginatevi il coniglietto delle pubblicità delle pile Duracell, però con 206 centimetri di altezza e 216 di apertura alare. Fatto? Ecco, avete ottenuto Jarred Vanderbilt.

Il #8 si muove con una costanza folle e la sua velocità è fuori scala – non è un caso che alle scuole superiori fosse un fenomeno anche nell’atletica leggera – e questo gli permette sia di cambiare su avversari ben più piccoli di lui, sia di coprire ampie porzioni di campo in un battibaleno.

Quest’ultima caratteristica si sposa perfettamente con lo schema difensivo dei Timberwolves, che fa ricadere una buona parte del peso sulle spalle dell’uomo sul lato debole (il cosiddetto low man), che deve essere rapidissimo a chiudere sul rollante e allo stesso tempo tenere un occhio anche sugli avversari da cui si è appena staccato.

Vanderbilt sta ottenendo ottimi risultati in questo ambito, e non è un caso che compagni di squadra e allenatori stiano spendendo parole al miele per lui: Coach Finch l’ha definito un’ispirazione, Anthony Edwards sostiene che debba entrare nel primo quintetto All-Defensive e Beverley ha candidamente ammesso che «non sapeva che fosse così bravo».

Oltre alla mobilità, la necessità di tenere Vanderbilt in campo deriva dalle sue straordinarie abilità a rimbalzo. Nel periodo corrente della storia della NBA la lotta sotto i tabelloni è uno degli aspetti del gioco meno considerati, e non a caso: la maggior parte delle squadre manda al massimo uno o (più raramente) due giocatori a rimbalzo offensivo, preoccupandosi più della transizione difensiva.

Nonostante ciò, i Timberwolves sono una delle squadre più “piccole” della lega e stanno avendo grossi problemi: secondo Cleaning the Glass la OREB% degli avversari – la percentuale di rimbalzi in attacco presi dagli avversari in relazione ai loro tiri – è del 30.6%, peggior dato della lega con ampio margine sul penultimo.

Qui entra in gioco Vanderbilt, che è magistrale nell’inseguire i palloni vaganti in aria e nell’usare atletismo, posizionamento e astuzia per catturarli. L’impegno e la capacità di V8 a rimbalzo sono veramente pazzeschi e – nonostante il paragone tra i due giocatori ovviamente non sussista – sono sicuro che Dennis Rodman sarebbe fiero di lui.

Bisogna fare i complimenti alle stelle

In questo preciso momento parafrasare una frase di Massimiliano Allegri per descrivere una squadra che sta avendo un discreto successo potrebbe non essere il massimo, però il concetto rimane quello. Era chiaro fin dall’inizio che anche solo per sperare in una difesa di livello sarebbe stato necessario l’impegno e l’aiuto anche dei tre giocatori più rappresentativi di Minnesota, e per ora da questo punto di vista non gli si può recriminare (quasi) nulla.

Karl-Anthony Towns sta disputando la miglior stagione difensiva della sua carriera, aiutato finalmente da uno schema che ne esalti le qualità anziché mettere in mostra i punti deboli. È vero, KAT sta faticando a rimbalzo e non è sempre perfetto – per usare un eufemismo – nei posizionamenti e nelle letture sui pick and roll, ma lasciarlo uscire sul perimetro l’ha reso più concentrato e partecipe nella propria metà campo.

Non sono mancate le prestazioni orribili, come per esempio quella nella seconda partita stagionale contro i Clippers o nella seconda contro i Pelicans, ma per ora la sua difesa si guadagna complessivamente la sufficienza piena.

Un discorso simile, incredibile ma vero, va fatto anche per quanto riguarda D’Angelo Russell. Tutti i tifosi dei Timberwolves – e chi vi scrive non fa eccezione – sono sempre stati molto critici nei suoi confronti, ma bisogna ammettere che il livello di impegno mostrato dal #0 è ammirevole.

La presenza di altre guardie capaci di passare sui blocchi e di difendere sul pallone ha finalmente permesso a Finch di toglierlo dal cosiddetto point of attack, mascherando la sua mancanza di velocità laterale. Russell quindi gioca spesso lontano dalla palla, dove può utilizzare la sua intelligenza per cercare la palla rubata o per guidare i compagni con la voce.

Per quanto la sua difesa non sia nulla di trascendentale, il fatto che D’Lo riesca a trasformarsi da un fattore pesantemente dannoso a uno leggermente negativo (o addirittura positivo e decisivo, come è accaduto due giorni fa nella partita vinta coi 76ers) è fondamentale per il successo di Minnesota nella propria metà campo.

Ultimo, ma sicuramente non per importanza, è l’impatto di Anthony Edwards: nella già citata preview stagionale si era parlato a lungo di come un salto in avanti del #1 avrebbe potuto permettere a tutta la squadra di saltare con lui, e la prima scelta assoluta del penultimo draft non si è fatta pregare.

Edwards ha mostrato miglioramenti rilevanti nella navigazione tra i blocchi, nella difesa uno contro uno e nel tempismo per gli aiuti, unendo queste “nuove” abilità ai suoi già noti istinti sulle linee di passaggio e per le rubate.

Ant si diverte e fa divertire anche nella propria metà campo, e non è da escludere che in futuro sia lui il prescelto per difendere contro le stelle avversarie sul singolo possesso nei finali di partita.

I margini di miglioramento sono ancora piuttosto ampi, dato che spesso Edwards si addormenta o si concede alcune défaillance che gli costano un canestro del diretto avversario, ma stiamo pur sempre parlando di un ragazzo ventenne alla sua seconda stagione tra i professionisti. E poi, siamo sinceri, come si fa a non perdonarlo quando offre al pubblico giocate come le due qui sotto?

Sostenibile, o non sostenibile, questo è il dilemma

Arrivati a questo punto, vi starete giustamente chiedendo se alla domanda che dà il titolo a questo articolo verrà finalmente data una risposta: non preoccupatevi, ora ci arriviamo. In linea di massima, se avessi una pistola puntata alla tempia e dovessi per forza rispondere sì o no, sarei decisamente orientato verso il responso negativo.

Questo non vuol dire che il successo di questa difesa sia figlio del caso o che tutto quanto scritto finora sia da lanciare fuori dalla finestra, ma per vari motivi è lecito aspettarsi una regressione. Innanzitutto i Timberwolves stanno avendo una discreta fortuna con le percentuali da tre punti degli avversari: la squadra di Coach Finch concede 19 triple wide open a partita, che vengono convertite con il 36.3% (dati di NBA.com).

Per quanto le percentuali siano in calo per l’intera lega e altre squadre – per esempio i Knicks dello scorso anno e varie versioni dei Bucks di Budenholzer – abbiano avuto dati simili per tutto il corso di una stagione, è lecito aspettarsi che gli avversari comincino a segnare con più costanza, come per esempio è già successo qualche giorno fa contro gli Hornets.

In secondo luogo è importante tenere a mente che gli staff preparano scouting report dettagliati sui punti deboli di ciascun avversario, così da sfruttarli a proprio vantaggio durante le gare. Ormai ci siamo messi alle spalle il primo quarto della stagione, perciò è probabile che gli allenatori avversari abbiano in mente cosa fare per mettere in difficoltà la difesa dei Timberwolves.

In NBA gli attacchi hanno quasi sempre un vantaggio rispetto alle difese, e ogni schema ha i suoi punti deboli: può darsi che vedremo l’uomo di D’Angelo Russell bloccare sul portatore di palla per forzare il cambio difensivo, più giocatori mandati a rimbalzo offensivo o più blocchi sul lato debole per impegnare gli uomini lontano dalla palla e non permettergli di aiutare.

La difesa di Minnesota non è perfetta, anzi: oltre ai già citati problemi a rimbalzo e alla presenza di interpreti difensivi non eccelsi, gli Wolves sono per distacco la squadra peggiore della lega per free throw rate degli avversari, ossia il numero di tiri liberi concessi in rapporto ai tiri tentati (dati Cleaning the Glass).

Qualunque sia l’aggiustamento che faranno gli avversari, i punti deboli della squadra di Coach Finch sono svariati ed è possibile che in futuro verranno sfruttati in maniera più intelligente, facendo calare l’efficienza difensiva.

Non bisogna dimenticare poi che gli avversari dei prossimi mesi saranno mediamente migliori rispetto a quelli incontrati finora: infatti, secondo l’algoritmo di ESPN, il calendario di Minnesota è stato il sesto più facile della lega, perciò al migliorare della competizione è lecito attendersi peggioramenti delle statistiche nella propria metà campo.

Inoltre sarà fondamentale il ruolo giocato degli infortuni, che nelle ultime due stagioni hanno flagellato i giocatori dei Timberwolves. Al momento Patrick Beverley è out e sarà rivalutato tra due settimane, e in queste prime partite senza di lui la difesa sulla palla è sembrata sensibilmente peggiore.

Tirando le somme, a mio parere questo preciso rendimento – settima difesa in NBA concedendo 105.7 punti per 100 possessi – non è sostenibile e ritengo che sia destinato ad abbassarsi, anche se non è semplice capire di quanto.

Nonostante ciò, le fondamenta del sistema messo in piedi da Coach Finch sembrano solide e una difesa tra le migliori dodici o quindici della lega sembra poter essere alla portata. E uno scenario del genere, considerando interpreti e aspettative di inizio anno, sarebbe già un successo.

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Daniele Sorato
Segue (suo malgrado) i Minnesota Timberwolves mentre nei ritagli di tempo viaggia, colleziona dischi e talvolta studia. Odia parlare di sé in terza persona e sicuramente non potrà mai guadagnarsi da vivere scrivendo bio.