Otto appunti sul terzo mese NBA

appunti NBA
Copertina di Matia Di Vito

Bisogna essere del tutto sinceri, l’ultimo mese NBA è stato per distacco il peggior mese della lega per qualità di basket giocato da quando la seguo, vale a dire dall’inizio del millennio, e non sono disposto a discutere questa affermazione. Per questa ragione, quanto abbiamo visto nelle ultime quattro settimane va preso molto con le pinze: non credo che queste ci abbiano detto nulla di veramente importante su alcuna contender, o su squadre comunque destinate ad un percorso playoff non breve.

Alcuni giocatori hanno però approfittato delle varie assenze per mettere in mostra parti del loro gioco che sono sì nel loro repertorio, ma che hanno messo in disparte a causa del loro ruolo in squadra. Ho scelto dunque 7(+1) giocatori le cui qualità messe in mostra in questo periodo potrebbero cambiare i piani delle loro franchigie nel breve (qualora questi siano relativi alla post-season) o nel lungo termine (se parliamo di squadre in rebuilding). Nessuna cosa spiacevole, solo cose belle questo mese. Introduzione sin troppo lunga, partiamo.

Marcus Morris

Che il ruolo di Marcus Morris possa essere maggiore di quello ricoperto la scorsa postseason nei Clippers di Leonard e George, è (credo) conoscenza comune. Ciononostante, le ultime stagioni di Morris sono state costellate da problemi alle ginocchia che ne hanno limitato il rendimento anche in quelle rare occasioni in cui, a causa di infortuni ad elementi a roster, il suo carico avrebbe potuto essere maggiore. Per questa ragione, non può fare che piacere vedere Morris tenere medie di 22 punti e 7 rimbalzi da quando PG è ai box, il tutto prendendosi ovviamente i tiri più complicati della gara.

Morris non sta tenendo queste medie grazie a percentuali insostenibili, semplicemente il suo volume è salito e le percentuali si sono assestate (46% dal campo e 35% da 3). I Clippers dovrebbero essere comunque contenti di queste prestazioni per due ragioni: in primis, Morris in queste gare senza George sta tenendo una media di più di 5 liberi presi a gara. Per quanto la maggior parte delle sue azioni in queste gare siano partite dal post-alto, quando Morris ha avuto un mismatch da attaccare fronte a canestro non ha esitato a farlo, spesso e volentieri bullizzando i 4 avversari (o i piccoli sullo switch) con la sua stazza.

In molti alzarono le sopracciglia quando Morris firmò un contratto da circa 16 milioni l’anno fino al 2023-24, soprattutto per le sue condizioni di salute: se Morris fosse questo, quei soldi sarebbero stati ben spesi. Sono di pochi giorni fa le voci riportate da Chris Haynes di un Kawhi Leonard in anticipo sulla tabella di marcia del recupero. Qualora Kawhi tornasse in tempo per la postseason, la flessibilità offerta dalle lineup con Morris da 5 renderebbero i Clippers l’unica tra le contender in grado di cambiare 1-5 senza soffrire pressoché nessun matchup, e certo avere una terza opzione offensiva in grado di prendere tiri complicati allo scadere dei 24 è un lusso che in pochi possono permettersi di avere.

Tyrese Haliburton

Vero, parliamo di un campione molto piccolo (4 gare), ma dal momento che questa è una cosa che penso da molto tempo mi ci attacco con tutto me stesso: Tyrese Haliburton ha dimostrato che, in assenza di De’Aaron Fox, sa far girare la squadra meglio del suo compagno di squadra più titolato. Non è una questione di statistiche, è proprio mero eye test: il gioco di Sacramento è più fluido quando a gestire i possessi è Haliburton e non Fox.

Haliburton è in grado di sfruttare vantaggi che sembrano piccoli, facendoli diventare più grandi e spostando la difesa a piacimento. Nella clip qua sopra, tutto comincia quando Iguodala rifiuta il cambio che Porter gli offre perché vuole restare su Haliburton, credo un po’ per orgoglio personale, un po’ perché Haliburton è un tiratore dal palleggio assolutamente da rispettare (per inciso, nelle gare senza Fox le triple prese a gara sono salite a 6, segnate nel 50% dei casi). Così facendo, Porter perde Metu. Haliburton legge la situazione e guarda per tutto il tempo precedente il passaggio Mo Harkless: Curry si accorge di dove lo sguardo di Haliburton sia e decide di concentrare la sua attenzione proprio su Harkless, sebbene ora Metu rolli a canestro, nella sua mente sfruttando il blocco portato all’altezza della lunetta, nella realtà dei fatti quasi usando lo stesso Curry come bloccante. Nonostante la lunghezza delle braccia di Iguodala, l’altezza di Haliburton gli consente di vedere e calibrare perfettamente il lob per Metu.

Si potrebbe obiettare che Fox sia uno scorer migliore di Haliburton: probabilmente per mero volume sì, ma nelle gare senza Fox il sophomore dei Kings ha fatto registrare 24 punti e 11 assist a notte, il tutto tirando 53/50/85. Insomma, non è che Haliburton non sappia segnare, semplicemente è in grado di distinguere un tiro buono da un tiro cattivo, e nonostante ciò forse è già meglio del suo compagno di squadra a segnare quelli complicati.

Non credo che Haliburton sia un talento su cui rifondare una franchigia: credo che, nella migliore delle ipotesi, Haliburton possa essere un buon secondo violino o per distacco il terzo violino migliore del pianeta in una contender. Sono però abbastanza certo che levare la palla dalle mani di Fox per metterla in quelle di Haliburton alzerebbe non di poco le probabilità di Sacramento di creare un ambiente dove poter sviluppare al meglio i giovani.

Josh Hart

Il caso di Josh Hart è diverso dagli altri, perché nell’ultimo mese Ingram e Alexander-Walker, due dei Pelicans che più si caricano di responsabilità, hanno saltato rispettivamente solo una e due partite. Ciononostante, nell’ultimo mese Hart ha giocato molto più palla in mano: l’ex Lakers ha avuto più di 66 tocchi per partita, per un totale di 3 minuti palla in mano a gara, un grosso incremento rispetto ai 51 tocchi (2.4 minuti) della parte precedente della stagione. La ragione? Finalmente a Josh Hart è concesso di partire in transizione dopo aver catturato uno dei suoi tanti rimbalzi.

Non è un caso che gli assist di Hart siano esplosi: più di 5 a gara nell’ultimo mese, contro una media in carriera sotto i 2 a notte. Questa scoperta dimensione del gioco di Hart lo ha reso ancora più utile di quanto già non fosse: il minutaggio è salito a 37 minuti a gara e le medie sono cresciute con esso, raggiungendo un ragguardevole 17+9+5 non frutto di percentuali folli (53/35/67).

La cosa più eclatante di questa run di Hart è legata al fatto che i Pelicans in tutti i suoi 338 minuti nell’ultimo mese abbiano un differenziale punti positivo (+4), ma nettamente negativo (-20) nei soli 147 minuti senza di lui. In tutto questo Hart, che in carriera non si era mai preso più di due liberi a gara, è andato in lunetta più di cinque volte a notte nella striscia analizzata. Di nuovo, indovinate come arriva la gran parte dei suoi viaggi in lunetta.

La situazione contrattuale di Hart è tra le più interessanti della lega: i suoi 13 milioni per la prossima stagione diventano garantiti solamente il 25 giugno venturo, e altrettanti previsti per la stagione 2023/24 dipendono dalla sua decisione di esercitare o meno la player option. Hart è un giocatore pressoché perfettamente complementare con Zion, ma le scelte dei Pelicans sono state così tanto sbagliate negli ultimi 24 mesi che nessun avvenimento futuro può più sorprendermi.

Jalen Brunson

La forma fisica in cui Dončić si è presentato ai nastri di partenza della stagione rimarrà, spero, la peggiore che si sia vista da qui alla fine della sua carriera. Il fatto che l’attacco Mavericks sia 6 punti per 100 possessi peggio con lui in campo è un mix tra la sua mancanza di fiato e il certosino lavoro di Coach Kidd nel togliere le certezze ad un attacco che era un orologio svizzero (ho perso il conto delle volte in cui per interi possessi Luka non tocca il pallone nemmeno per sbaglio, e per tutta risposta si piazza a metà campo). Detto questo, rimane il giocatore con lo Usage Rate più alto della lega (41%) e dunque la sua assenza ha spalancato le porte a tutti gli altri componenti del roster. Non dovrebbe sorprendere che chi ha saputo trarre i maggiori benefici dalla situazione sia stato, tanto per cambiare, Jalen Brunson.

Brunson sta continuando nella sua stagione alla conquista del midrange: il 62% dei tiri di Brunson non arriva né al ferro né da tre, e li sta segnando con più del 48%, cifra che lo pone molto vicino ai migliori della lega. Nelle gare senza Luka non è cambiato nulla, con l’aggiunta del fatto che Brunson ha cominciato a prendersi tiri pesanti, tiri che cambiano il momento di una gara, il tutto marcato dal migliore difensore perimetrale degli avversari o quasi (v. la clip qui sopra, dove segna un canestro pesantissimo in faccia a McDaniels). Anzi, nelle gare in cui Brunson ha ufficialmente ricevuto le chiavi della macchina i suoi numeri sono saliti come il valore dei Bitcoin nell’ultimo anno: 22+8+3 (53/39/71), il tutto, udite udite, con un assist-to-turnover ratio di quasi 4.

La sua taglia ridotta ha sempre reso Brunson un playmaker prudente, che sceglie attentamente quali passaggi effettuare e quali no (cercare alla voce “Chris Paul”): sebbene questa dote sia encomiabile, al tempo stesso rischia di porre un limite a quello che questo tipo di giocatori possa/sappia fare in campo quando tocca a loro prendersi sulle spalle una responsabilità maggiore. Invece pare che per Brunson nulla sia cambiato rispetto a quando comandava second unit nel secondo quarto.

Sono un grande fan di Brunson dal processo che ha portato al suo draft nel 2018: ho sempre pensato potesse essere un ottimo “generale” per la second unit. Col tempo, ho cominciato a pensare che Brunson possa essere qualcosa di molto vicino al sesto uomo perfetto per una contender (la sua difesa è tignosa sull’uomo, sebbene sia piccolino). Bene, credo di essere stato fin troppo basso: quando quest’estate Brunson firmerà il suo nuovo contratto, è possibile che legga una cifra molto vicina ai 50 milioni su di esso.

Saddiq Bey

Giuro che questo pezzo non vuole essere una serie di victory lap su mio pupilli al draft. Ma quello che sta facendo vedere Saddiq Bey in assenza dell’infortunato Jerami Grant lascia intendere che possa esserci più della stereotipata etichetta “3&D” che gli è stata appiccicata in fronte uscito da Villanova, o che perlomeno possa essere a strettissimo giro di posta tra i migliori in quella categoria (nota a margine: possibile che io abbia un problema con i giocatori usciti da Villanova? Non lo escludo).

Cercherò con tutto me stesso di dimenticare le cifre tenute da Bey in assenza di Grant nell’ultimo mese (22+8+3, 42/36/91), che pur rimangono impressionanti e lo sono ancor di più se si pensa che è un sophomore quello che le sta facendo registrare. La cosa che più mi ha impressionato di questa stretch in cui Bey è stato de facto la prima opzione offensiva dei Pistons sono i lampi che ha fatto vedere: Bey è molto più di un giocatore che sa prendersi solo triple in catch and shoot e tagliare al momento giusto, è un 6’7 che può prendersi tiri complicati quando la situazione lo richieda e probabilmente palla in mano è meglio di quanto fosse lecito aspettarsi.

Con questo non voglio dire che Bey sia d’improvviso diventato Paul George palla in mano, ma il fatto che provi (e spesso segni) tiri così è indice del fatto che probabilmente possano essere parte del suo repertorio a breve.

Questa è la parte in cui mi dovrei lanciare nell’ennesimo panegirico sul draftare giocatori già pronti (pensate ad un giocatore così ai Mavericks, ai Suns o anche solo semplicemente a New Orleans, giusto per citare tre squadre che avrebbero potuto e dovuto draftare Bey), ma non lo farò. Mi limiterò ad osservare che giocatori come Bey dopo qualche anno della loro carriera finiscono in squadre che hanno grossi obiettivi, e probabilmente quella squadra sarà Detroit solo se riuscirà a diventare competitiva nel giro di qualche anno.

Cam Johnson

Come alcuni di voi sapranno, sono un grosso fan dell’andare all-in se sei un mercato piccolo e sei nel ristretto e spesso a te inaccessibile cerchio delle contender. Per questa ragione, fino a poche settimane fa non avrei avuto nulla in contrario all’inserire Cam Johnson in un pacchetto per un giocatore che alzasse immediatamente le probabilità di vittoria dell’anello per i Suns (ad esempio Barnes o Grant). In tutta onestà, ora non ne sono più così sicuro.

Johnson ha preso il posto di Jae Crowder nella starting lineup e non ha minimamente fatto sentire la mancanza del veterano. Anzi, a dirla tutta Johnson ha dimostrato di poter dare tutt’altra dimensione offensiva alla starting lineup, il tutto dando una difesa point of attack sicuramente migliore di Crowder, e nemmeno di poco.

Johnson è sempre stato un buon difensore di squadra, ma la sua grande mancanza quando schierato da 4 è sempre stato il suo essere leggero. In offseason Johnson ha però aggiunto massa muscolare senza perdere agilità. Risultato: ora Johnson può perlomeno tentare di fare a spallate con i 4 della lega (sebbene questo sia tuttora il grande vantaggio che Crowder ha nei suoi confronti, una maggiore fisicità).

Sarà complicato per Monty Williams togliere Johnson dalla starting lineup, anche se probabilmente è la cosa giusta da fare con Crowder di nuovo in rotazione. Allo stesso modo, sarà complicato per James Jones quest’estate contrattare un’estensione che non sia lucrosa.

Malik Monk

La free agency di Malik Monk è stata davvero tosta. Come ribadito dal giocatore stesso, non è che Monk abbia accettato un minimo dai Lakers per avere una maggiore esposizione mediatica o per tentare di vincere un titolo, rifiutando al contempo offerte migliori: quella dei Lakers era l’offerta migliore ricevuta da Monk in estate. Ecco, probabilmente la situazione non si ripeterà nell’estate 2022: chi pensava che Monk fosse solamente un tiratore, dovrebbe ormai aver cambiato idea.

Monk è il complemento offensivo perfetto per LeBron James: è in grado di correre dietro ai blocchi, da due anni ormai tira col 40% dal perimetro, palla in mano sa fare molte più cose di quanto possa sembrare a prima vista. Non sono rare le occasioni in cui James agisce da rollante nei pick&roll in cui Monk è il portatore di palla, ed i risultati sono ottimi.

Le lineup con Monk e LeBron hanno un Net Rating di +8.5, quelle con Monk, LeBron e Russ +11.2 (!). Una possibile spiegazione di questo è che Monk è spesso in grado di creare vantaggio dal palleggio battendo il proprio uomo, aprendo crepe nella difesa avversaria che Russ riesce poi a capitalizzare in virtù di un atletismo ancora superiore alla media.

Vogel è stato pressoché costretto a dare minuti a Monk a causa di varie defezioni: sono 34 di media nell’ultimo mese. Il prodotto di Kentucky si è fatto trovare pronto, segnando 22 punti di media grazie ad una mano a dir poco bollente (56/48/90): è possibile che sia lui l’ultima ancora di salvezza della stagione Lakers.

Jalen Smith

Ebbene sì, il momento che tutti stavano aspettando da più di un anno è finalmente arrivato: mi trovo mio malgrado costretto a parlare di Jalen Smith.

Nel lunghissimo processo che ha portato al Draft 2020, ho avuto modo di cambiare idea diverse volte su Smith: dopo un anno da freshman in sordina ed una partenza fulminante nell’annata da sophomore a Maryland che mi aveva addirittura portato a chiedere a Manuel Follis di BasketballNCAA in una puntata di The ANDone Podcast se fosse assurdo pensare ad un Jalen Smith in top20, Smith si era assestato su un valore da fine primo giro, appena fuori dalle prime 20. Il profilo poi era chiaro: centro, senza se e senza ma, il prototipo del 3&B, se tutto va nel migliore dei modi possibili un Turner più atletico. Capirete dunque il mio stupore quando i Suns (sì, la stessa squadra con Ayton a roster) lo ha scelto alla numero 10 (sì, quel momento del draft in cui erano ancora disponibili Haliburton, Vassell, Bey e Bane).

Da allora, Smith non ha avuto molte occasioni di mettersi in mostra. La rotazione a 5 dei Suns da allora è stata solida (il backup di Ayton, Šarić nel primo anno di Smith e McGee il secondo) ha sempre fatto molto bene. Da qui la decisione, assurda, di non esercitare la sua Third Year Option, ragione per la quale Smith sarà Unrestricted Free Agent quest’estate. Ma non appena Smith ha avuto dei minuti grazie alle assenze di Ayton e McGee, ecco che ha mostrato quello che potrebbe essere nel suo ruolo naturale.

Nelle gare senza Ayton, Smith ha tenuto medie da 16 punti e 10 rimbalzi in soli 25 minuti a notte(!). Lo spacing che offre (38.5% da 3 con più di 2 tentativi a gara) non lo dà nessun’altra soluzione che i Suns abbiano a 5, tenendo a mente che probabilmente Kaminsky non lo rivedremo più in questa stagione. L’atletismo superiore a chiunque altro a roster lo rende persino quasi accettabile in difesa.

Smith è palesemente un giocatore acerbo: non sa come arretrare in una drop, gli mancano le basi su come scivolare sui cambi (oltre ad avere delle anche molto rigide). Ma ci sono altre cose che fa bene sin da ora, tra cui rollare a canestro coi tempi giusti (con CP3 è facile, direte voi), dare spaziature, leggere rotazioni difensive (non me l’aspettavo). Difficilmente Smith troverà una possibilità a Phoenix, sia quest’anno che nel futuro, ma credo che qualche squadra dovrebbe scommettere su di lui: il ragazzo ha colpi che potrebbero farne un 5 molto funzionale nel gioco di oggi.

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Andrea Bandiziol
Andrea, 31 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di True Shooting vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora.