Boris racconta le trade dei Blazers

Blazers Trade Boris
Copertina di Matia Di Vito

Qui su True Shooting ho sempre provato a mantenere una certa serietà nel parlare dei Portland Trail Blazers e talvolta di Eurolega. Purtroppo, o per fortuna, a volte la realtà ci regala delle situazioni che non avevamo pronosticato di dover affrontare e l’unica cosa che si può fare è reagire al meglio delle proprie possibilità.

In questo caso specifico la “situazione” sono le trade messe in piedi da Joe Cronin, GM ad interim dei Portland Trail Blazers, e il “reagire al meglio possibile” è la stesura di questo articolo, nel quale vedrete abbandonate in parte le pretese di serietà e potrete leggere un’analisi semiseria della situazione di Portland attraverso alcuni momenti iconici della famosa serie TV Boris. In fondo troverete possibili reazioni post-lettura, suggerite anch’esse dalla suddetta serie TV.

Se non vi interessa minimamente potete semplicemente rispondere cosi: 

Chi non sapesse di cosa si tratta dovrebbe velocemente rimediare e andare a vedere le tre stagioni della serie italiana, ma comunque per la lettura di questo articolo basterà un minimo di contesto: la serie racconta le vicissitudini di una troupe televisiva che deve mettere in piedi una fiction all’italiana, quindi con tutto ciò che ne consegue in termini di mancanza di fondi, qualità dubbia del prodotto e condizioni di lavoro piuttosto particolari.

L’eccentricità degli attori, lo stress a cui è sottoposto il regista e le metodologie paradossali con cui funziona il mondo della TV rendono il tutto quasi tragicomico e la serie è arricchita dalla qualità della sceneggiatura e degli attori del cast, tutti perfettamente calati nel personaggio. Di Boris è stato prodotto anche un film.

Fatte le presentazioni, possiamo passare a parlare del basket “giocato” negli uffici dell’NBA senza perderci in ulteriori chiacchiere:

Il motivo per cui la settimana folle che ha preceduto la deadline ha così scaldato i tifosi di Portland è legato principalmente al modo in cui gli asset inseriti nelle trade sono stati gestiti da Cronin, oltre che al piano messo in atto dalla dirigenza per attuare il famoso, anzi famigerato, retooling. Appare subito chiaro che a muovere Cronin sia stata anche una chiara indicazione dirigenziale di non voler pagare la luxury tax quest’anno, dal momento che alcune mosse sono sembrate piuttosto affrettate. 

Questo retooling comunque sembra consistere, almeno nelle speranze di Cronin, nel mettere in piedi un roster capace di assecondare al meglio le caratteristiche di Lillard e soprattutto nel liberare spazio salariale in vista della prossima free agency, con l’obiettivo di comportarsi in maniera estremamente aggressiva in quel momento. 

Quello che viene subito da chiedersi è se le trade fatte fino ad ora siano trade riuscite e se il piano di Cronin abbia delle reali possibilità di riuscita, dato che appare quantomeno complesso da realizzare. 

Partiamo dalla prima trade:

Lo scambio che Portland ha portato a termine con i Los Angeles Clippers ha il chiaro obiettivo di scendere sotto la soglia della luxury e liberare spazio salariale, e in effetti è riuscito in questi intenti. Allora perché mai è stato valutato cosi negativamente? I problemi sono in realtà enormi e riguardano appunto la gestione degli asset, oltre che la bontà dell’idea che c’è dietro queste mosse.

La trade riguardava principalmente Norman Powell, vero oggetto del desiderio dei Clippers e pezzo pregiato dello scambio. Powell quest’anno stava viaggiando intorno ai 19 punti di media, segnati con una TS% del 59%, ben oltre l’efficienza media della lega, grazie a un tiro da tre eccellente e una capacità di segnare in transizione che costituisce da sempre il suo marchio di fabbrica.

A questo si è aggiunto un miglioramento nell’ottenere tiri liberi, per bilanciare un’efficienza al ferro non di livello élite a difesa schierata. Per un giocatore del genere Portland non è riuscita ad ottenere nemmeno una prima scelta, in aggiunta al pacchetto di giocatori arrivati da Los Angeles. 

Il pacchetto di giocatori ha un valore davvero basso se lo si analizza a fondo: Bledsoe e Winslow sono due mestieranti molto poco considerati nella lega, il primo a causa di un decision-making rivedibile, un’efficienza ballerina e una difesa che si limita all’aggressività sul point of attack, mentre il secondo per la mancanza quasi totale di tiro e i problemi fisici continui avuti dal suo ingresso in NBA.

Teoricamente Winslow potrebbe tornare utile per la difesa sulle ali e la taglia, ma Bledsoe ha un contratto solo parzialmente garantito per la prossima stagione, quindi rimarrà a Portland probabilmente per poco tempo.

L’unico asset minimamente di valore è Keon Johnson, rookie estremamente grezzo proveniente da Tennessee, che rischia però di scontrarsi con un enorme problema che affligge i Blazers: la mancanza di un’affiliata in G League dove sviluppare i propri giocatori, una scelta quasi delittuosa alla luce del miglioramento del livello della G League e dei risultati concreti che molte squadre hanno ricevuto dall’uso sapiente della propria affiliata. 

L’ultimo capolavoro presente nella trade è il regalo di Robert Covington. L’ala ex Minnesota, Houston e Philadelphia è stata inserita, sempre per abbassare il monte ingaggi, in una trade che già costituiva un pacchetto tutt’altro che invitante per il solo Powell, quando sarebbe stato probabilmente possibile scambiarlo in autonomia, anche solo per guadagnare un’altra seconda e un contratto in scadenza quest’anno o il prossimo.

Nonostante Covington stesse vivendo la sua peggior stagione in carriera (TS% e 3P% scese di molto rispetto allo scorso anno, minor numero di rimbalzi dall’ultima stagione a Phila, peggior media punti dall’anno da rookie) rimane comunque un veterano rispettato nella lega per la sua difesa lontano dalla palla, sia in termini di rotazioni sia di protezione del ferro e attività sulle linee di passaggio, quindi regalarlo sotto forma di salary dump non è sembrato il miglior modo di gestire l’asset.

Insomma Cronin con questa trade ha reso quasi inutile il discorso sugli aspetti tecnici, dato che Portland ne esce semplicemente molto peggiorata, senza nemmeno una prima scelta e con forse un giocatore su tre (Winslow) che potrebbe avere un impatto vagamente positivo se inserito ora nelle rotazioni.

Passiamo ora alla seconda trade, che appare meno squilibrata della prima ma che rischia di essere altrettanto priva di senso: 

Procediamo al contrario rispetto all’altra trade, che ha più o meno lo stesso schema, e parliamo prima del regalo: Larry Nance Jr. L’ala arrivata in estate da Cleveland avrebbe costituito un ottimo asset da scambiare con qualche squadra da playoff che avrebbe probabilmente chiamato, se il giocatore fosse stato disponibile, per avere la sua difesa e la sua intelligenza a roster anche per la postseason.

Se gli asset ricevuti nello scambio sono piuttosto scarsi ma giusti per il valore attuale di C.J. McCollum, l’aggiunta di Nance appare un regalo di Cronin simile a quello di Covington nella trade discussa prima. L’unica spiegazione a questo può essere trovata nella notizia, arrivata dopo la trade, che Nance dovrà sottoporsi a un’operazione che lo terrà fuori dal campo per circa sei settimane. 

Riguardo la partenza di McCollum, sarebbe ingiusto non ricordarlo come un giocatore che ha definito l’identità della franchigia negli ultimi anni, costituendo con Lillard una coppia tanto forte quanto sempre poco convincente, a causa di un fit tra i due che è sembrato minarne la possibilità di esprimersi al massimo, allo stesso tempo tarpando un po’ le ali alle prospettive della squadra.

C.J. è stato decisivo nel miglior risultato ottenuto da Portland negli ultimi anni (le WCF del 2019) e, anche se il suo scambio non è arrivato al momento giusto, non può che lasciare Portland con l’affetto dei tifosi. 

In cambio di McCollum da NOLA sono arrivati, oltre a una prima protetta, Hart, Louzada, Satoranský e Alexander-Walker. McCollum, come detto, era nel momento di minor valore, dopo il collasso del polmone e prestazioni non proprio entusiasmanti sia sue sia della squadra.

Il pacchetto molto scarno rispecchia questa mancanza di tempismo: se Hart è un ottimo role player che però non è detto che rimanga a per molto (dal momento che per raggiungere i famosi 60 milioni di cap space va considerata anche la mancata permanenza di Hart), Louzada non è un vero giocatore NBA ed è molto improbabile che non venga tagliato entro poco tempo.

Al di là di questi nomi, gli altri due non sono nemmeno atterrati a Portland che già la frenesia della trade deadline è arrivata a prenderli per spostarli di nuovo. 

Arriviamo infatti alla terza e ultima trade: 

Con questa trade Portland manda Satoranský a San Antonio e Alexander-Walker a Utah, in cambio sostanzialmente di una seconda, un giocatore che difficilmente avrà ancora una lunga carriera NBA come Hughes, la guardia/ala ex Syracuse, e il contratto in scadenza di Ingles, fuori per tutta la stagione a causa dell’operazione al legamento crociato anteriore.

Alexander-Walker costituiva l’unico asset vagamente di valore oltre alla scelta e a Hart nella trade di C.J., pur sposandosi molto male col reparto guardie di Portland ed essendo in mezzo ad una stagione piuttosto deludente per il suo sviluppo. 

La terza trade rende quindi lo scambio per C.J. e Nance ancora di minor valore, dal momento che sembra anche questo essere quasi solo un modo per liberarsi di contratti pesanti sul payroll, tanto che da tale trade si è generata una corposa trade exception di circa 21 milioni di dollari.

In buona sostanza appare di nuovo chiaro che tutte le trade sono da ricondursi solo al tentativo di Cronin di generare cap space e alla poca voglia di Jody Allen, diventata proprietaria quasi per caso dopo la morte del fratello Paul, di spendere eccessivamente per il monte ingaggi della squadra. 

Essendo questi gli obiettivi va compreso lo smantellamento, seppur parziale, ma comunque rimangono degli interrogativi, legati sia a come è stato portato avanti sia, come anticipato in precedenza, alla reale possibilità di successo di questi progetto di retooling, da attuare tra ora e l’offseason.

Riguardo al primo dubbio, credo che si possa bollare la gestione degli asset come pessima, dato che nel fare spazio per la free agency si sono svalutati in maniera netta i giocatori inseriti nelle trade, accumulando un bottino estremamente magro in termini di scelte e giocatori utili in prospettiva.

Insomma, una serie di mosse apparse frettolose e poco attente alla gestione del capitale a disposizione: se l’obiettivo fosse stato quello di rimanere competitivi, si sarebbe potuto ottenere di più in termini di giocatori capaci di stare in rotazione, invece di puntare al solo cap space.

Credo che la cosa peggiore sia questa sensazione di aver fatto queste mosse quando ci si trovava a metà del guado, sia come tempismo sia come situazione del roster. Ad esempio si sarebbe potuto (forse dovuto?) pensare di ricostruire facendo tabula rasa quest’estate, dopo la mesta uscita al primo turno con i Nuggets, comprendendo nella rivoluzione del roster anche Lillard e Nurkić, per ripartire con scelte e giovani.

Degli scambi intavolati quest’estate avrebbero portato in dote un bottino sicuramente più corposo sia per i giocatori scambiati ora ma soprattutto per quelli rimasti a roster, ossia proprio Dame e Nurkić, entrambi ulteriormente svalutati al momento. 

La possibilità di prendersi un anno o due per tentare di pescare alto al draft e sviluppando i giovani che sarebbero potuti arrivare in cambio di certi giocatori non era da escludere, ma non era l’unica alternativa a quanto fatto in questa settimana.

Si sarebbe ad esempio potuta attendere l’estate per tentare di rivalorizzare un pochino C.J. in questi mesi e aspettare il recupero di Lillard, per capire in che condizione sarà dopo l’operazione. Questo potrebbe essere stato un brutto momento per compiere certe scelte.

Cronin potrà anche credere di essere riuscito nell’intento di muoversi bene in termini di salary cap, ma la verità è che la ricostruzione dovrà avvenire intorno ad una stella in calo e con un cap space che non è detto servirà a raggiungere giocatori di livello tale da rimettere Portland in corsa per i posti nobili a ovest.

La franchigia dell’Oregon è priva di qualsiasi appeal agli occhi dei free agent, e l’ultima volta che si è ritrovata con molto spazio salariale (free agency 2016) è finita per offrire tutta una serie di contratti importanti a giocatori di dubbio valore come Allen Crabbe, Meyers Leonard, Evan Turner, Moe Harkless e Festus Ezeli, attualmente tutti fuori dalla lega ad eccezione di Harkless.

Insomma, queste mosse potranno sembrare promettenti in vista della free agency, ma sono complicate da accogliere con calore se analizzate più attentamente.

Di dubbio valore sono anche i giocatori che costituiscono il core giovane di Portland. Escludendo C.J. Elleby, che sta guadagnando qualche minuto in questo momento di confusione del roster ma non sembra poter dare davvero una mano, i nomi sono quattro: Simons, Johnson, Little e Brown.

Simons ha fatto vedere grandi cose negli ultimi mesi, mostrando di aver solo grattato la superficie del suo talento nei primi anni nella lega. Il mix di tiro dal palleggio e taglia importante per una combo guard ne fanno una scommessa quasi sicura per il futuro, ma andrà pagato questa estate e probabilmente costerà caro.

Keon Johnson ha bisogno di molto tempo per diventare anche solo un giocatore presentabile da regular season, essendosi mostrato in questi mesi come un giocatore tutto da costruire, senza nessuna skill a livello NBA se non un grandioso atletismo.

Little ormai è un solido role player su due metà campo ma non ha star potential, così come Greg Brown, il quale potrebbe svilupparsi come un buon giocatore di rotazione se gli venisse imposto di concentrarsi su un paio di compiti in campo: difendere forte grazie al suo straripante atletismo e migliorare il tiro in modo da non inficiare lo spacing della squadra. 

Il problema è anche il loro assortimento: in un’idea futura di squadra sarebbe strano vedere in campo Johnson, Little e Brown contemporaneamente, dal momento che nessuno di questi offre certezze dal punto di vista offensivo, né in termini di tiro, né di playmaking secondario, né di particolare QI per i movimenti senza palla che non si fermino a dei tagli forti a canestro favoriti dal loro atletismo, per tutti ben sopra la media.

In più Keon è una guardia che, ad oggi, non sa palleggiare a livello NBA, perciò avrebbe bisogno di palloni per svilupparsi già con la squadra, dal momento che non può essere inviato in G League come invece era stato fatto dai Clippers. Questo bisogno di palloni si scontra con il fatto che nel backcourt ci sia già Simons, il quale ha dimostrato di poter fare il salto di qualità quando gli sono stati affidati tantissimi possessi offensivi, a causa delle assenza di Dame e C.J.

Da questo punto di vista la situazione sembra poter ulteriormente peggiorare col ritorno di Lillard.

La situazione è tutt’altro che rosea ed è anche normale che molti tifosi si stiano aggrappando alla speranza, la stessa che proprio Cronin sembra inseguire con le sue mosse, che dei free agent importanti, come ad esempio Bradley Beal o DeAndre Ayton, possano essere interessati a firmare in Oregon. Una speranza che appare un po’ lontana dalla realtà e che non è certo gratuita, anzi è costata a Portland vari asset.

Quello che Portland si è rifiutata di fare in estate e che tuttora non sembra volere prendere in considerazione è il rebuilding totale, un’opzione che appare lontana dai progetti della franchigia ma che da anni rischia di condannare la squadra alla mediocrità, dal momento che avanti non si è riusciti ad andare ma ci si è al contempo categoricamente rifiutati di fare un vero passo indietro.

Oltre al rischio di rimanere solo col proverbiale cerino in mano in free agency, l’altro rischio concreto è che Lillard possa diventare totalmente insofferente alla situazione, chiedendo la trade dopo che tutto questo è stato fatto, secondo quanto uscito dalla dirigenza, per creare una squadra più funzionale attorno a lui.

Dame ha per ora ribadito la sua fedeltà alla franchigia e magari potrebbe arrivare addirittura ad estendere ulteriormente il contratto ma, se la campagna estiva di reclutamento – alla quale con tutta probabilità parteciperà in maniera attiva – dovesse fallire, non è improbabile che potremmo trovarci di fronte a dei malumori ed eventualmente a una richiesta di trade nel corso della prossima stagione.

Questa stagione ormai è andata dal punto di vista sportivo e si concluderà probabilmente in modo fallimentare, anche se non è certo qualcosa da imputare totalmente alla dirigenza, la quale potrebbe aver sbagliato delle scelte (come quella dell’head coach) ma che non poteva prevedere quanti problemi fisici avrebbero afflitto Lillard e McCollum.

La speranza è che riguardando a questa deadline non ci si debba ritrovare a ricordarla come il momento in cui Portland è sparita dalla mappa della NBA, diventando una franchigia estremamente dimenticabile, ancora più di ora, e fuori dai playoff per anni. 

Questa disamina, tra testo più o meno serio e immagini assolutamente non serie, volge al termine, ma prima di concludere mi sembra giusto offrire una gamma di reazioni possibili prese direttamente dalla serie.

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Paolo Di Francesco
Se potessi tornare indietro nel tempo donerei delle nuove ginocchia a Roy ed Oden. Visto che non posso, mi accontento di questi Trail Blazers meno entusiasmanti. Parlo di Eurolega su Four Point Play, solo per sfoggiare l’accento romano.