Cavs of Justice

Cavaliers Mitchell
Copertina di Marco D'Amato

Charlie. Alpha. Victor. Sierra

Con questo riferimento puramente gratuito allo Shield, stable che per anni ha calcato e dominato i ring della WWE, cerchiamo di entrare nel merito della trade che in questo inizio settembre ha sconvolto il panorama della NBA e più particolarmente quello della Eastern Conference, e che ha visto l’approdo del tre volte All Star Donovan Mitchell in quel di Cleveland. Se i Cavs avranno lo stesso successo dei “furono” Mastini della Giustizia solo il futuro potrà rivelarcelo, ma nel frattempo nulla ci vieta di analizzare nel dettaglio tutte le sfaccettature di una mossa quanto mai audace da parte della franchigia dell’Ohio, intenta a ritornare in breve tempo ai vertici e ad essere ACKNOWLEDGED (sì è una citazione a Roman Reigns all’interno di un articolo di basket, fatemi causa) come una delle realtà più promettenti della Lega.

Concentriamoci prima di tutto sui termini della trade in questione: per privarsi del prodotto di Louisville, i Jazz hanno ottenuto le prestazioni di Collin Sexton (che secondo i termini dello scambio firmerà con i Jazz un contratto da $72M per 4 anni totalmente garantito), Lauri Markkanen e Ochai Agbaji (appena draftato dai Cavs con la 14esima scelta), oltre a tre 1st round pick (2024, 2026, 2028) e due pick-swap (2025, 2027). In ogni universo conosciuto questo sarebbe considerato come un prezzo esagerato per Donovan Mitchell, ma, ahi noi, viviamo nella linea temporale in cui i Timberwolves hanno ceduto mezzo stato del Minnesota per Gobert, quindi dobbiamo considerare il mercato decisamente inflazionato di questa estate. Sarebbe necessario trattare tutti i retroscena dietro a questa inattesa e fulminea trade, partendo dal fetish di Danny Ainge nell’accumulare pick e asset che prontamente non verranno usati, fino all’atteggiamento dei New York Knicks che continuano ad attendere la venuta di un fantomatico “Signor Godot” che li salvi come nella celebre opera di Beckett, ma qui sta scrivendo un vecchio cuore Cavs, quindi su di loro mi concentrerò.

I motivi per cui Donovan Mitchell ai Cavs non avrà il successo sperato

Com’è buona abitudine, si parte sempre dalle cattive notizie, e perciò guardiamo a tutti i motivi per cui questo azzardo non avrà il successo sperato da Cleveland.

Partiamo immediatamente dalle questioni di campo, e perciò dai presunti problemi di fit che Mitchell potrebbe avere inserendosi nella starting lineup dei Cavs, in entrambe le metà campo. In difesa è dove queste problematiche appaiono più lampanti, a causa della presenza di un altro giocatore undersized non propriamente noto per le sue qualità difensive, ovvero Darius Garland. Nonostante le evidenti carenze della sua point guard, la difesa dei Cavs si è dimostrata il fiore all’occhiello della franchigia, rimanendo per gran parte della stagione al primo posto nelle principali statistiche difensive, e scivolando al quinto posto per punti concessi solamente nelle ultime battute stagionali causa una pletora di guai fisici ed infortuni vari che ne hanno anche inficiato le prestazioni al Play-in.

C’è però una forte differenza tra mascherare un cattivo difensore e mascherarne due: la filosofia dei Cavs di chiudere forte sui tiratori spingendo l’avversario ad attaccare il pitturato a proprio rischio e pericolo dovrà essere esasperata quest’anno, anche a causa di una rotazione tra gli esterni veramente ridotta all’osso con i soli Okoro, LeVert e Osman a dividersi i minuti. Proprio la figura di Isaac Okoro sarà fondamentale per capire il valore di questa squadra: il suo inserimento in quintetto a fianco dei Big 4 sarà a scopo prettamente difensivo, la specialità della casa, e dovrà essere abile nel coprire per quanto possibile le lacune del suo backcourt, sebbene abbiamo già notato come il suo essere undersized possa essere un serio problema nella difesa 1v1 contro le grandi ali di questa Lega, tra cui Tatum, KD e Middleton per limitarci all’Est.

Ci sono perplessità anche sul fit offensivo del duo Darius-Donovan; sappiamo che entrambi prediligono gestire l’attacco palla in mano, ma Garland si è dimostrato un mega creator di livello assoluto ed è presumibile che gestirà lui la maggior parte dei possessi. Entrambi non hanno grande esperienza nel gioco off-ball, sebbene Mitchell abbia avuto un playmaker come Conley al suo fianco per anni, ma questo sarà uno dei punti focali dell’attacco dei Cavs, che nella scorsa stagione si è piazzato appena ventesimo, essendo totalmente dipendente dalle creazioni del suo #10.

Ma nonostante un mare d’incertezze, è difficile essere troppo negativi nei confronti della mossa orchestrata da Koby Altman. Quello che bisogna capire nell’analizzare questo tipo di trade è il triste destino degli small market nella NBA moderna: per ottenere un giocatore del livello di Donovan Mitchell bisogna sfruttare quelle poche occasioni che il mercato ti offre, anche rischiando di strapagare dei giocatori. Non ci si può certo aspettare che il salvatore della propria franchigia nasca a 55 km dalla tua città e si renda eleggibile al draft PER PURO CASO nell’anno in cui hai la prima pick, vero? Scherzi a parte è stato proprio la base creata tramite il draft a permettere al Front Office di Cleveland di avere il coraggio di ipotecare il proprio futuro con uno scambio del genere. In appena quattro anni dal secondo addio di LeBron, i Cavs si ritroveranno ad inizio stagione con 3 All Star e un probabilissimo futuro All Star come Evan Mobley, e questo grazie ad una serie di scelte coraggiose di Altman unite ad alcune innegabili sliding doors piuttosto fortunate, a partire dall’inserimento nella “mega-trade” di Harden che ha portato Jarrett Allen in Ohio fino ad arrivare all’infortunio al menisco di Sexton del novembre passato.

I motivi per cui Donovan Mitchell ai Cavs avrà il successo sperato

La cosa che più lascia più increduli del core dei Cavs è la sua età media, basti pensare che Donovan Mitchell con i suoi quasi 26 anni è il più anziano in quintetto, che però ben si amalgama con i veterani in uscita dalla panca quali Love e Rubio, che già nella scorsa stagione sono stati il segreto di Pulcinella dei Cavs.

La presenza di Mitchell dà all’attacco dei Cavs una dimensione che le era mancata nel corso del 2021/22: la prevedibilità del classico P&R Garland-lungo era diventata a dir poco straziante verso le ultime partite dell’anno, ma era dettata da una impossibilità di creare un qualsivoglia tipo di azione offensiva generata dagli altri giocatori a roster, lacuna che la trade di LeVert non era stata in grado di colmare. Con l’ex Jazz si apre un mondo di possibilità che lo staff di Bickerstaff dovrà essere abile a sfruttare; solo il fatto che Garland non subirà dei raddoppi dopo ogni blocco del lungo è una prospettiva ormai sconosciuta ai tifosi Cavs.

Il dubbio principale riguarda le spaziature. Mitchell è un ottimo tiratore dal palleggio, ma quello che lo separa dagli altri è la facilità e la frequenza con cui può attaccare il ferro. Un’area intasata dalla presenza di Mobley e Allen non è il massimo per questo tipo di giocatore, rendendo ancor più fondamentale lo sviluppo perimetrale di Mobley in attacco.

Proprio su quest’ultimo mi voglio concentrare nel chiudere l’articolo. Nel suo anno da rookie la sua sola presenza ha cambiato gli orizzonti della franchigia, mostrando una presenza difensiva immensa e una capacità di adattamento da veterano, oltre ad enormi margini di crescita. Per quanto la squadra e la franchigia siano ora nelle mani di un Garland fresco di rinnovo al massimo salariale (che siano un caso tutte quelle partitelle a Miami con Mitchell?), Evan Mobley rappresenta il futuro dei Cleveland Cavaliers, e pertanto le responsabilità per lui inizieranno a crescere sempre di più.

Le pressioni stanno aumentando e con loro le aspettative che questa trade non ha fatto altro che fomentare: già da ora Mobley è il perno della difesa dei Cavs, ancora più di Allen, e quest’anno il suo ruolo offensivo deve necessariamente crescere per andare di pari passo con le ambizione di una squadra che si candida seriamente al ruolo di dark horse nella combattutissima Eastern Conference.

In conclusione l’acquisizione di Mitchell deve essere considerata una mossa necessaria per i Cavs, se si rileverà anche giusta solo il tempo potrà dircelo

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