L’Italbasket alle porte di una nuova era

Simone Fontecchio
Copertina di Sebastiano Barban

Finisce con una eliminazione ai quarti di finale l’Europeo dell’Italbasket. Un cammino che ha restituito più luci che ombre, in definitiva. Seppur con qualche caduta a livello di concentrazione generale, e quella fastidiosa sensazione di sentirsi sempre inferiori a qualcun altro.

Tanto da veder come “un miracolo” la vittoria contro una compagine più titolata, o “impossibile” l’ambizione di una vittoria assoluta. Oppure dall’aver quasi paura di vincere, gettando alle ortiche l’inerzia (ed il vantaggio) straordinariamente ottenuto, nei minuti finali con la Francia. Anche per colpa di qualche fischio dubbio, che però non può esser portato come principale giustificazione.

Eppure la storia dello sport dovrebbe averci insegnato che l’improbabile apparente, non è mai tale. Che le dinamiche che influiscono in competizioni simili superano, talvolta, anche i valori sulla carta. E che tutto sommato si deve sempre giocar per vincere, per questo partir come sfavoriti in una sfida rischia di porre giustificazioni a priori controproducenti per uno sviluppo futuro.
Si tratta di un tema già trattato su queste pagine poco più di 12 mesi fa, a seguito dell’eliminazione dal torneo olimpico di Tokyo, proprio contro la Francia di Gobert e Fournier.

Come allora, valutando la prestazione offerta dagli Azzurri stavolta con una versione dei Transalpini molto meno brillante, non si può non andarsene con l’amaro in bocca. Quello che resta quando arrivi ad un passo dal successo, ma lo vedi sfuggir di mano. Certo, nessuno discuterà mai la qualità dell’Europeo disputato da Simone Fontecchio e dai ragazzi di coach Pozzecco, ma quando cedi ad una serie di errori balistici (e difensivi) in un finale in cui devi gestire un vantaggio, bisogna ammetterlo ed analizzarne le ragioni. Presumibilmente mentali, per quell’approccio del sentirsi meno forti a priori in contesti simili. E si tratta di pura percezione, perché il campo ha raccontato un’altra storia e la verità è che solo superando un blocco simile si può migliorare i risultati.

Tutto ampiamente alla portata, perché l’Italbasket si è dimostrata squadra di gran cuore, capace di trascinarsi a vicenda superando mancanze fisiche ed errori tecnici con il sacrificio comune. Manca veramente poco, ma le criticità vanno risolte.

E non ha senso nascondere la polvere sotto il tappeto esaltando soltanto le belle cose viste in campo – tante – ignorando l’evidenza che, ancora una volta, pur meritando non siamo riusciti a superare l’ostacolo Francia ai quarti di finale.

Cerchiamo quindi di chiosare su questa avventura, coscienti che è necessario ripartire da ciò che è mancato o non ha ben funzionato, per alzare l’asticella degli obiettivi. Gli innesti giovani in rampa di lancio hanno davvero i numeri per favorire un salto di qualità, anche a livelli superiori alle abitudini. Il talento c’è, così come sono tantissime le cose da salvare con immediata possibilità di correzione. Anche nel livello extra campo, del quale si parla sempre tanto, e dove i buoni risultati cestistici non possono prescindere da linguaggi e proposizioni differenti a livello di marketing. Se l’obiettivo è quello di ampliare gli interessati alle sorti della pallacanestro, anche nei campionati nazionali.

Occasione persa?

Un torneo dall’altissimo livello tecnico, farcito da talenti generazionali ai vertici del basket mondiale come Dončić, Giannis e Jokić: occasione ghiottissima per promuovere con forza la pallacanestro nel nostro paese. A maggior ragione con il girone da disputarsi a Milano, con l’Italbasket nello stesso raggruppamento della Grecia di Antetokounmpo. Un’esigenza effettivamente sentita da Federazione e dai moltissimi addetti ai lavori che raccontano questo gioco, in primis i tanti opinion leaders che utilizzano i medium più disparati per farlo.

Viene da domandarsi però, se l’occasione è stata colta, alla luce di un supporto non esattamente oceanico laddove si poteva (voleva?) ampliare il “parco appassionati”, puntando a “nuove leve”.

Necessità comprensibile, ma che immediatamente cozza con l’incapacità di offrire televisivamente in chiaro le partite dell’Italbasket, e con i prezzi non esattamente popolari proposti per vedere le sfide al Forum. Prezzi comunque legittimi e – a mio avviso – ben giustificati dal livello proposto, ma che in ogni modo cozzano con le volontà di cui sopra. La botte piena e la moglie ubriaca, si sa, sono molto difficile da aversi a fine serata.

La sensazione è che un torneo con questi attori protagonisti, e con una qualità cestistica veramente godibile, fosse di per sé perfetto per promuovere il gioco. Non necessariamente concentrandosi solo sugli Azzurri, ma presentando in modo più approfondito gli aspetti di ogni singola nazionale.
Proponendo elementi di analisi e comprensione dello spettacolo, per meglio goderne, oltre che limitarsi a render ridondanti i meme, esagerando nelle esaltazioni e occultando certe criticità.

Quella forma mentis che vuole l’Italbasket come un perenne Davide contro dei Golia inarrivabili – offrendo il fianco a giustificazioni delle sconfitta e rifuggendo le analisi degli eventuali insuccessi – è quanto di più dannoso si può offrire per creare “una cultura”. Almeno secondo chi vi scrive.

Perché è giusto esaltare la prestazione contro la Grecia dei ragazzi di Pozzecco, ma non ci dobbiamo dimenticare che si gioca per vincere, e che una sconfitta (seppur di misura) necessità di autocritica per ripartire migliorandosi fin dalla sfida seguente.
Invece, la sottovalutazione di un avversario come l’Ucraina, ha rischiato pesantemente di minare il cammino azzurro. Fortunatamente ripresosi nelle belle prestazioni offerte contro Croazia e Serbia, perché la mentalità del “bravi comunque” non è riuscita a perforare le mura dello spogliatoio di un gruppo unito. Che fa dell’esser gruppo la sua prima forza, e meno male.

Quindi, a prescindere dal campo, se la volontà è quella di spendersi per rendere più ampio il bacino d’interesse attorno al movimento cestistico nazionale, è giusto provarle tutte ma anche correggersi in corsa, partendo proprio dai risultati ottenuti nella settimana di Milano.
Avevamo già visto che non può esser sufficiente portar influencers (o meglio, web stars) a palazzo per promuovere le Finals di LBA, e che la libertà di fruizione del prodotto attraverso il media televisivo resta ancora la principale arma per avvicinare “occasionali” da fidelizzare. Aiutandosi magari con utilizzi dei social più coscienti, studiando davvero la lezione della NBA, senza scimmiottarla per sommi capi.

Chi resta e perché

E allora proviamo a scendere più nel profondo di questa esperienza dell’Italbasket agli Europei 2022, guardando ai risultati del campo in ottica futura. E si tratta di un futuro molto prossimo, con la “new era” in rampa di lancio presumibilmente già in vista dei Mondiali dell’anno venturo. Indiscutibile partire dalla carta di identità dei giocatori, per pensar di rivederli o meno nel nuovo ciclo.

Se il backcourt Azzurro non ha sempre convinto per solidità e coscienza, il terzetto formato da Spissu, Pajola e Mannion merita una rivalutazione per margini di miglioramento potenziale. L’età media è piuttosto giovane, tanto quanto palesi sono le differenti mancanze di ognuno.

Il primo – a prescindere dal sensazionale terzo quarto balistico nella vittoria con la Serbia – appare il più quadrato nella gestione dell’attacco a metà campo, più capace degli altri ad impostare i pick and roll e con buone capacità realizzative da dietro l’arco.

Evidente quanto l’aver disputato un secondo tempo strepitoso agli ottavi, abbia liberato mentalmente Spissu da pressioni pregresse, tanto da permettergli di disputar un incontro da condottiero assoluto ai quarti con la Francia. Partita assolutamente da incorniciare, la sua migliore con la maglia azzurra ad oggi. Pur pagando una fisicità sottodimensionata nella metà campo difensiva.

In questo, Alessandro Pajola spicca decisamente per grinta e applicazione, confermatosi dopo la discreta olimpiade disputata lo scorso anno, e malgrado un avvio di Europeo con pochi minuti sul parquet per scelta tecnica. Purtroppo per lui, una istintività troppo marcata e doti di ball handling non certo di primo livello, ne limitano le possibilità in regia.

Per quel che riguarda Mannion, bisogna mettere le mani avanti: ha appena 21 anni e non veniva esattamente dalla miglior stagione possibile, farcita di problemi fisici e poco minutaggio a disposizione. Il suo Eurobasket è stato a tratti impalpabile, in controtendenza con i buoni sprazzi anche realizzativi mostrati nelle gare preparatorie e nelle precedenti qualificazioni al Mondiale. Resta comunque capace di fiammate importanti, ma deve aumentare la sua continuità ed evitar di buttar via troppi palloni in modo superficiale.

Si tratta di un accentratore di gioco, che predilige la soluzione personale alla gestione dei compagni, pagando spesso una fisicità non troppo espansa a supporto. Probabilmente deve giocare di più in Europa e crescere seguendo le tipicità medie della “nostra pallacanestro”, apprendendo a centellinare meglio le scelte e ad aspettar i compagni nei giochi, piuttosto che caricar il canestro a testa bassa.

Sempre guardando al parco guardie, improbabile che Stefano Tonut resti fuori dalla convocazione.
Il ventinovenne neo Olimpia Milano, è assolutamente in grado di offrir qualche soluzione sfruttando un corpo solido, con discreta dose si atletismo. Il suo problema è – e resterà – la shooting selection, la tendenza a prendersi soluzioni affrettate che possono rivelarsi dannose in certi frangenti di partita.
Anche per questo, il rapporto costi/benefici dei suoi minuti sul parquet potrebbe lasciar qualche dubbio, ma è innegabile che meriti un’altra chance.

Discorso simile (in relazione ad una conferma sicura) per Achille Polonara, che si è assolutamente riscattato dopo una serie di partite preparatorie poco convincenti, ricoprendo perfettamente il ruolo di vice Danilo Gallinari in seguito al suo infortunio. Offensivamente può risolvere momenti rebus in cui l’attacco ristagna, e nella metà campo difensiva può avvalersi di un discreto atletismo. Ha superato i 30 anni, ma può serenamente rappresentare il traghettatore tra questo gruppo e gli innesti a venire.

Così come lo strepitoso Nicolò Melli, in grado di offrir esperienza ed intelligenza cestistica. Ma anche tanta versatilità difensiva, costretto per tutta la competizione a sacrificarsi nella difesa dei big men avversari oltre il previsto. E restituendo efficacia ai limiti dell’eroismo, funzionando da leader in campo anche in attacco quando necessario. Nessuno metteva in dubbio il suo valore, ma la qualità che può ancora regalare alla maglia Azzurra va calcolata come una garanzia per il domani, auguriamoci fino alle prossime Olimpiadi incluse.

Resta da parlar di Simone Fontecchio, della sua crescita a livello di conduzione offensiva della squadra, da prima opzione conclamata in grado sia di guidar i compagni a suon di efficienza realizzativa, che di saper aspettar la partita senza assaltarla alla giugulare subito.

I problemi di falli ed il modo in cui è stato in grado di mettere punti fondamentali nella gara con la Serbia – fino alla giocata difesa/attacco che, di fatto, ha chiuso i giochi – sottolinea quanto l’evoluzione di Fontecchio abbia raggiunto il meritato “piano superiore”. E vedremo tra qualche mese se riuscirà a confermarsi a Utah, dove presumibilmente dovrà inserirsi nel ruolo di specialista dall’arco per poi (si spera), manifestar la sua completezza di gara in gara.

Certo, i due liberi sbagliati nel finale con la Francia gridano vendetta. E soprattutto mettono a nudo un difetto di freddezza altrimenti non percepito fino a quel momento, anche nella gara stessa dove aveva disputato una prestazione strepitosa. Compatirlo – oppure dire che quegli errori non contano – non è l’approccio giusto secondo chi vi scrive.

È onesto invece spiegare che si, sono errori che capitano ma sono costati il passaggio del turno. E che dalla rabbia che può generare un episodio simile bisogna ripartire, aggredendo il campo fin dalla prossima uscita. Il modo migliore per saper come vendicar il momento, dovesse ricapitarne uno analogo.

A livello gerarchico, pensar a lui come un “secondo violino” in materia di importanza può davvero garantire all’Italbasket un salto di livello anche nei rankings pre competizioni internazionali.

Il primo, lo sappiamo tutti, dovrebbe essere Paolo Banchero: la prima scelta assoluta dell’ultimo Draft NBA che continua a garantir la sua volontà di vestire il tricolore, e contemporaneamente deve confermare i presupposti che hanno permesso ai Magic di selezionarlo da first pick.

Ma prima di passar agli attesissimi nuovi prospetti, impossibile non nominare Gianmarco Pozzecco. Allenatore salito in cattedra a pochi mesi dall’avvio di Eurobasket a scapito di Meo Sacchetti, e che presumibilmente resterà saldo al comando negli anni futuri.

Divisivo – come è sempre stato – si è avvalso di un gruppo già ben fondato confermandone la sostanza dal lavoro avviato dal suo predecessore. Forse per mancanza di tempo, o per volontà di trasformare questa esperienza nella fine di un ciclo, avanti di avviarne uno nuovo. In questo, le esclusioni di Procida e Spagnolo hanno lasciato un po’ interrogativi, così come ha fatto storcere il naso a molti la sua totale incapacità di controllarsi durante la gara. Con il rischio continuo di venir espulso, e non sempre può andar bene come avvenuto con la Serbia.

Anche la scelta di utilizzar rotazioni cortissime in avvio (ed in particolare nella sfida con l’Ucraina) non ha molto convinto, a maggior ragione in una competizione dove si va in campo sostanzialmente tutti i giorni.

Ha dimostrato però capacità di autocritica e immediata correzione delle sue stesse scelte, ed è innegabile che rappresenti il cosiddetto “player’s coach” se ce n’è uno. Questo può avere un valore importantissimo, soprattutto nella fase che attende la Nazionale, dovendo traghettar un gruppo di giovani e variegati talenti in quello che spesso viene definito “il giro che conta”. Prima, inevitabilmente, di operar quelle scelte che potrebbero veder esclusi anche i protagonisti di questa spedizione, citati poco sopra.

Di contro però, deve lavorare molto sulla sua emotività, con una presenza più concreta nei momenti decisivi. Consapevole di esser sempre sotto osservazione per le proprie reazioni, da parte degli arbitri, in materia di falli tecnici. Un qualcosa che avveniva anche quando calpestava i parquet da giocatore.

Le nuove leve

Per meglio azzardar cosa vedremo (o meglio, chi vedremo vestire la maglia azzurra), è necessario puntualizzare quello che manca. E che mancava in modo evidente, anche prima di iniziare l’Europeo per noi appena concluso.

Per competere ad alti livelli, è imperativo aumentar stazza e atletismo. E lo sarà ancor di più il prossimo anno, quando – tanto per dirne uno – nel dover ritrovar la Francia il problema non sarà solo Rudy Gobert ma anche Joel Embiid. Poi, certo, serviranno anche iniezioni di freschezza in tutti i ruoli in campo. E almeno sulla carta, non sembrano esserci particolari problemi.

Paolo Banchero lo abbiamo nominato poc’anzi, e prima di azzardar ogni previsione è necessario vederlo in campo, valutando il suo impatto con il mondo NBA. Quello che sappiamo però, è che si tratta di un 208 centimetri capace di tirar in modo fluido da ogni posizione, solido per andar a rimbalzo e con capacità atletiche di altissimo livello. Dovesse anche rivelarsi meno pronto alla National Basketball Association di quanto ci si può augurare, il suo profilo è perfetto per rappresentar il volto della “new era” Azzurra. Ed anche il suo corpo, per guidarla nelle posizioni momentaneamente più sguarnite, con possibilità di occupare anche il ruolo di centro.

Ma non è il solo che può farlo, anzi. Di Alessandro Lever avevamo già parlato nel post Tokyo su queste pagine, e dopo quattro anni passati alla Grand Canyon University (con discreti risultati) è attesissimo a Trieste per la prossima stagione. Dopo aver comunque fatto il suo esordio in Nazionale, seppur per pochi minuti ed in una singola sfida.

E poi ci sarebbe Leonardo Okeke: un classe 2003 di 212 centimetri con margini di miglioramento giganteschi, anche da un punto di vista fisico dove può diventare ancor più solido. Già l’apertura alare è di tutto rispetto, ed anche i miglioramenti tecnici intravisti nell’ultimo anno. La prossima stagione giocherà a Badalona, e al netto della sua coordinazione dovrà imparare ad usare al meglio il suo corpo (magari lavorando a livello muscolare) per diventar efficace difensivamente contro i big men avversari. E magari ammortizzare i contatti con gli stessi in attacco.

Ma anche a livello di back court la situazione appare notevolmente interessante.

Di Matteo Spagnolo sappiamo già (quasi) tutto, dalla cinquantesima scelta del Draft ad opera dei Minnesota Timberwolves alla sua comparsata nell’ultima Summer League. Il suo innesto in pianta stabile tra i 12 di Pozzecco è scontato, seppur dipendente dal rendimento che proporrà nella prossima stagione di LBA in forza all’Aquila Trento. In prestito da Real Madrid, che ne detiene i diritti.

Oltre a lui, le due “sorprese” più interessanti provenienti da una metaforica “cantera” nazionale potrebbero essere Abramo Canka (che dovremmo vedere con i Bruins di UCLA nella stagione a venire) e Giordano Bortolani (in forza al Basquet Manresa per il 2022/2023).

Il primo, genovese di nascita da padre senegalese e madre albanese, propone discreti istinti realizzativi in un corpo che sfiora i due metri di altezza. Può offrire tutta la versatilità offensiva richiesta ad una guardia, con possibilità di essere anche impiegato da ala piccola, lavorando sul suo ball handling ed acquisendo un po’ di solidità fisica.

Per quel che riguarda Bortolani, invece, le sue capacità balistiche ben supportate da una discreta meccanica, sono sotto gli occhi di tutti. E lo rendono aggiunta preziosa per l’Italbasket del futuro, calcolando quanto si tratti di un skill decisiva e mai sufficiente per quantità a roster. Si parte da quello, e dalla sua capacità di liberarsi senza palla per segnare in catch and shoot. Poi ci sarebbe tanto da crescere a livello di coinvolgimento dei compagni e nell’altra metà campo, ma il tempo è ovviamente dalla sua.

E per concludere la carrellata – sempre restando sul tema della versatilità offensiva come principale indicatore – la freschezza di Gabriele Procida è attesissima con la maglia azzurra. Presenta ottimi numeri sia in attacco che in difesa, con una discreta presenza atletica che gli è valsa la trentaseiesima chiamata dell’ultimo Draft. Il contratto triennale firmato con l’Alba Berlino in estate, dopo aver “rimandato” per volontà dei Detroit Pistons il suo ingresso nella lega, gli permetterà di crescere ancora confrontandosi ad alto livello sia nella Bundesliga tedesca che in Eurolega.

Insomma, la sensazione è che la nuova era dell’Italbasket non potrà prescindere da lui, Spagnolo e Banchero. Puntando ardentemente alla crescita di Okeke, da aggiungere ai “confermabili” trattati in precedenza.

Ma anche dietro a questi nomi, come appena detto, il potenziale è bello corposo. E nell’elenco di quelli da attenzionare ulteriormente ci sarebbero anche Filippo Gallo (point guard classe 2004), Davide Casarin (guardia di quasi due metri classe 2003), Matteo Visintin (anche lui guardia del 2004) e volendo anche l’ala di 206 centimetri Mouhamet Rassoul Diouf (senegalese di nascita ma italiano di passaporto, classe 2001).

È giunta l’ora di aprire le porte ad un nuovo ciclo quindi, con l’obiettivo realistico di puntare ancor più in alto quantomeno a livello europeo. Perché se le promesse in corso saranno mantenute, con l’esperienza acquisita negli ultimi due anni da un gruppo la cui essenza è destinata a resistere, il gap con le “grandi” nazionali apparentemente inarrivabili deve assottigliarsi.

E non devono resistere giustificazioni né quell’antipatico “va bene comunque”, soprattutto quando la direzione da intraprendere è ben delineata e le prospettive a livello giovanile sono così nitide.
Certo, chiaramente affinabili, ma quello dovrebbe essere “il bello” del lavoro da fare, prima di poter raccogliere frutti importanti. Da pretendere a tutti i livelli – anche per quello di tifosi – perché la “new era” dell’Italbasket lo merita.


Ti è piaciuto l'articolo?
Dacci un feedback:

Loading spinner
Davide Torelli
Nato a Montevarchi (Toscana), all' età di sette anni scopre Magic vs Michael e le Nba Finals, prima di venir rapito dai guizzi di Reign Man e giurare fedeltà eterna al basket NBA. Nel frattempo combina di tutto - scrivendo di tutto - restando comunque incensurato. Fonda il canale Youtube BIG 3 (ex NBA Week), e scrive "So Nineties, il decennio dorato dell'NBA" edito da Edizioni Ultra.