I motivi del “fallimento” Lakers

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Copertina di Marco D'Amato

La stagione dei Lakers è finita anzitempo, in un modo che quasi nessuno ad inizio anno avrebbe pronosticato e, soprattutto, contro una squadra che sembrava non avere molte chance di vincere. Molti potrebbero commettere l’errore di definire e ricordare questa annata come un grande bluff – per intenderci, simile al 2012-13 con Nash e Howard a far compagnia a Kobe -, ma guai a farlo! Le motivazioni di questa fragorosa caduta ci sono e ora, senza perdere altro tempo, vediamo perché i Lakers non sono riusciti a ripetersi in back-to-back.

Dal secondo posto al play-in

Le prime 27 partite di stagione regolare avevano lasciato ogni tifoso Lakers estasiato: una squadra estremamente duttile e molto più forte rispetto a quella che, solo pochi mesi prima, aveva vinto il titolo nella bolla di Orlando. I numeri parlano chiaro anche ora: 21 vittorie a fronte di sole 6 sconfitte, senza mai dare l’impressione di essere a tutto gas, con le due star sempre in controllo.

Se i Lakers si son potuti permettere un inizio ottimo è merito anche della aggiunte fatte in free agency da parte di Rob Pelinka, in particolare Dennis Schröder e Marc Gasol. Entrambi, infatti, hanno contribuito ad ampliare il playbook offensivo dei Lakers permettendo a LeBron di agire anche off ball o di far giocare Davis di fianco ad un 5, ma con lo spacing di una 4-out offense.

La situazione cambia rapidamente e, nel giro di circa un mese, i Lakers subiscono le due batoste più grosse della stagione: prima l’infortunio di Davis il 14 febbraio contro i Denver Nuggets e poi, contro gli Atlanta Hanks, arriva il turno di James. I giallo-viola erano riusciti a restare a galla dopo l’infortunio subito da AD, ma l’improvviso infortunio di LeBron li affonda definitivamente.

Il bilancio tra vittorie e sconfitte rimane pressoché invariato, ma i dati cambiano drasticamente: senza King James in campo l’offensive rating cala ad un misero 105.1 e la true shooting scende al 55.3%, tutti indicatori di quanto il numero 23 sia fondamentale per questa squadra, anche a 36 anni e con 18 stagioni alle spalle.

Alla luce di questi due infortuni, il front office dei Lakers ha deciso di fare una mossa poco ragionata e dettata dal panico, prendendo dal mercato dei buyout Andre Drummond – fin qui nulla di anomalo – ed inserendolo immediatamente in quintetto. Il lungo ex-Cavs veniva da una prima metà di stagione pessima, ma sembrava più dettato dal contesto di Cleveland che da altro. Quello che si aspettavano i Lakers era un rendimento immediato e in grado di tenerli al di fuori dalla zona del play-in. Sfortunatamente per i giallo-viola la situazione non migliora e tra attacchi in post basso molto macchinosi e difese estremamente rivedibili – complice una intesa con i compagni mai sviluppata -, i Lakers continuano a sprofondare verso il basso.

Infortuni e cambi di quintetto rivedibili ed i Lakers si sono ritrovati dal lottare per il primo/secondo seed ad Ovest a dover affrontare la minaccia dei play-in per accedere alla postseason, cosa che non è andata molto a genio a James.

L’uscita prematura

Una volta messo in saccoccia il settimo posto ai danni di Golden State, la squadra di Vogel si è trovata davanti una giovane e aitante Phoenix. Come già detto ad inizio articolo, nessuno si sarebbe mai aspettato i Suns al secondo turno, soprattutto dopo l’infortunio subito da Chris Paul in gara 1. Ed invece, è successo l’inaspettato. Ma come è stato possibile ciò?

La prima causa dell’uscita prematura dei Lakers è da ricercarsi nella salute e nella condizione fisica dei giocatori. Di Anthony Davis ne ho già parlato anche recentemente, il Monociglio entra nella serie non al 100%, ma comunque sembra più in forma del compagno James; l’infortunio in gara 4 è la ciliegina sulla torta di un primo turno tutt’altro che splendido. Per quanto riguarda LeBron, invece, bisogna dire che non aveva mai subito in carriera un infortunio così impattante come quello subito quest’anno e una batosta del genere a 36 anni non è facile da gestire.

Come possiamo capire però l’effettivo stato di forma di James? In base a quante volte va al ferro. Nella serie contro Phoenix, James ha tirato nella restricted area 7.2 volte a partita convertendo il 69% delle conclusioni, numeri che, presi così da soli, sembrano straordinari. Guardando però la mappa dei tiri è possibile notare come la tendenza al tiro di James sia stata più orientata verso il tiro da fuori che vicino a canestro: 48 tiri da 3 (8 di media) contro 43 tiri al ferro. Dunque appare un James più conservativo, che si accontenta del jumper dalla lunga piuttosto che portarsi a casa il ferro.

Certo, non è possibile ridurre tutto ad una questione di salute fisica ed è dunque giusto fare i complimenti ai Suns per come sono riusciti a sfruttare questa debolezza del Re: sfidare i Lakers al tiro da tre e togliere facili entrate a canestro a LeBron, giocando anche minuti di zona.

Phoenix ha scommesso tutto sulle percentuali da tre punti dei Lakers ed ha fatto jackpot. I giallo-viola si sono trovati in quella che comunemente viene definita shooting slump, ovvero un crollo netto nelle percentuali al tiro. Durante le uniche sei gare di postseason la squadra allenata da coach Vogel ha convertito le triple con il 29.9%, penultimo dato della lega (non arrivano nemmeno a 10 i tiri da tre punti segnati di media a gara). I comprimari, quali KCP, Matthews, Kuzma e Caruso della situazione, non hanno saputo convertire anche le più semplici conclusioni come quelle del video qui sotto. Diventa dunque superfluo dire che venendo meno anche l’apporto dei comprimari le chance di vittoria si riducano a quasi zero.

Proprio parlando di comprimari è giusto spendere due parole per il tedesco in maglia Lakers. Schröder ha giocato una serie fatta di alti e bassi, passando dai 24 punti in gara 2 agli 8 in gara 4. Il punto più basso è stato raggiunto però in gara 5, dove Dennis ha tirato 0 su 9 dal campo in 25 minuti di gioco, rendendo i compiti ancor più facili alla difesa.

Una squadra stravolta

L’ultimo tassello per capire i motivi della disfatta Lakers è da ricercarsi nello stravolgimento avvenuto durante il mercato dei buyout con la presa di Andre Drummond. Il centro ex-Cavs, infatti, è andato a prendere il posto di Gasol nel quintetto titolare sconvolgendo ancora di più i flebili equilibri che si erano creati ad inizio stagione.

Prima dell’arrivo di Andre, i giallo-viola con Gasol centro titolare avevano trovato la quadra perfetta con il quintetto composto da Marc, Dennis, KCP, Davis e James che in 281 minuti ha registrato un ottimo +13.2 di net rating. L’ottima chimica di squadra si può vedere nella clip seguente: passaggio in punta a Marc e taglio backdoor di LeBron; l’alzata è millimetrica e perfetta per la schiacciata su alley-oop.

Per quanto riguarda Drummond la situazione appare diametralmente opposta. Il centro ex-Cavs ha avuto solo 21 partite per adeguarsi ai ritmi della squadra allenata da Vogel, un lasso di tempo estremamente ridotto. A questo c’è da aggiungere che i minuti giocati con le due star sono irrisori, solo 74 nell’arco di 4 partite e, per giunta, sul finale di stagione; è quindi facile intuire quanto sia stato difficile creare anche un minimo chimica tra il neo acquisto ed il vecchio nucleo della squadra.

Insomma, il voler sostituire un elemento consolidato della rotazione (Gasol 497 minuti in campo con James e Schröder) con un giocatore appena acquistato non si è rivelata una buona mossa e Coach Vogel se ne è accorto troppo tardi, con la stagione ormai finita.

Da dove ripartire?

Dopo aver analizzato la stagione ed esaminato le cause della sconfitta al primo turno è giusto dare uno sguardo all’immediato futuro.

Quella che i Lakers si apprestano a vivere è una off season estremamente importante e che farà da crocevia per il futuro della franchigia, almeno fino al termine dei contratti di LeBron e Davis. Innanzitutto è necessario pensare alla costruzione del roster, Pelinka ha fatto sapere che le due star e Vogel saranno sicuramente coinvolti durante la costruzione della questa estate; l’idea principale rimane quella di mantenere il nucleo della squadra intatto, cerando di rifirmare e tenere giocatori come Caruso e THT.

Un occhio particolare è da riservare alla situazione dei lunghi. Harrell ha una player option da ben 9 milioni e non è ancora chiaro se il suo obiettivo sia quello di cercare di vincere un titolo o monetizzare il più possibile, magari cercando anche squadre minori ma con più spazio salariale. Per quanto riguarda Drummond, invece, la situazione è diversa; la franchigia ha detto che vede l’ex Cavs come un piano a lungo termine, ma la situazione potrebbe cambiare.

Un dubbio che Pelinka dovrà sciogliere riguarda la pointguard tedesca: Schröder ha già rifiutato l’estensione da 84 milioni in 4 anni da parte dei Lakers a stagione in corso e diventerà così free agent. È quindi lecito domandarsi se sia il caso di tornare a puntare su Dennis ed offrirgli molti soldi o cercare qualcos’altro.

I giallo-viola si apprestano a vivere un’estate densa e per certi versi anche intrigante. Rimane comunque un unico obiettivo per i Lakers e sicuramente continueranno a provarci: tornare sul tetto della NBA e strappare il 18esimo titolo nella storia della franchigia.

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Andrea Poggi
24 anni, istruttore di minibasket e appassionato di fotografia. Tifoso Lakers dalla nascita per fare un torto al padre tifoso Celtics, segue anche i Pelicans a causa di Lonzo Ball.