Quel pasticciaccio brutto dei Dallas Mavericks

Dallas Mavericks
Copertina di Nicolò Bedaglia

Il romanzo di Carlo Emilio Gadda, nonostante il sapore più romanesco che texano, è una buona metafora per descrivere la situazione attuale in casa Dallas Mavericks. Due situazioni spinose accadute a breve distanza l’una dall’altra, “colpevole” ignoto e soprattutto tanta, tanta confusione. Si spera, quantomeno, che Mark Cuban non ci lasci senza seguito; nel frattempo, proviamo a capire qualcosa di quello che sta succedendo nelle stanze dei bottoni della franchigia texana.

L’articolo bomba: “The shadow GM”

Tutto ha inizio il 14 giugno, quando un fulmine a ciel sereno colpisce la franchigia di Mark Cuban: sul noto portale sportivo The Athletic esce un articolo che svela l’esistenza di una sorta di “General Manager ombra” nel front office dei Mavericks, che starebbe causando non pochi problemi a tutta l’organizzazione. Il pezzo è firmato da Tim Cato, una delle voci più autorevoli in ambito Mavericks, e Sam Amick, giornalista molto rispettato negli ambienti NBA con quasi vent’anni di esperienza come insider: molto difficile, dunque, considerarla una boutade qualunque.

Il protagonista è tal Haralabos “Bob” Voulgaris, scommettitore di grande successo a cavallo tra gli anni ’90 ed i primi anni 2000 entrato nella NBA nel 2009 come consulente di una franchigia non nota. Nel 2018 è stato assunto dai Mavericks come direttore dello sviluppo e della ricerca quantitativa, ma fonti all’interno della franchigia hanno svelato come il suo approccio avrebbe completamente conquistato Cuban, tanto da fargli acquistare un ruolo decisamente più importante. Voulgaris avrebbe infatti approvato o bocciato molti scambi e operazioni di mercato, arrivando a giocare un ruolo fondamentale nelle acquisizioni di Seth Curry e Delon Wright e spingendosi addirittura ad avere voce in capitolo nella scelta dei quintetti base e delle rotazioni.

Il problema con Voulgaris andrebbe però oltre un comunque sgradevole scavalcamento dei ruoli: il canadese di origini greche avrebbe infatti un carattere piuttosto difficile (“Non sa come si parla alle persone“) e mal sopportato sia dai giocatori che dagli altri membri del front office. Non è venuto alla luce nulla di specifico, ma sicuramente uscite come questa non devono aver fatto molto piacere, per esempio, a Donnie Nelson.

Potrebbe suonare piuttosto arrogante, ma il mio processo di studio della pallacanestro mi ha portato a credere che sarei in grado di mettere insieme una squadra meglio di quasi tutti i general manager della lega. Probabilmente tutti.

Riportata da ESPN in un articolo del 2013, contenente parecchie dichiarazioni indici quantomeno di un’altissima autostima

Un paio di episodi risalenti alla Regular Season evidenziavano anche come il rapporto con Dončić fosse tutt’altro che idilliaco, senza che questo mettesse comunque in dubbio l’imminente firma dello sloveno sul contratto al supermassimo salariale da 200 milioni di dollari in 5 anni. Nonostante qualche presunta frizione tra Carlisle e Dončić, inoltre, il posto dell’allenatore appariva ben saldo anche in seguito alle dichiarazioni di Cuban immediatamente successive all’eliminazione patita per mano dei Los Angeles Clippers.

Lo stesso Cuban, inoltre, ha commentato su Twitter l’articolo con una dichiarazione breve e piuttosto eloquente.

Nulla di cui preoccuparsi, dunque? Not exactly.

Back-to-back di addii

Siamo al 16 Giugno e Shams Charania esce con una notizia di rilievo: il General Manager Donnie Nelson e i Dallas Mavericks hanno deciso di interrompere il loro rapporto. Si tratta indubbiamente della fine di un’era: Nelson era arrivato ai Mavericks nel 1998 ricongiungendosi a suo padre, ben noto allenatore, ed era diventato GM nel 2005. Una svolta netta, dolorosa, anche se comprensibile per certi versi: l’idea intorno alla quale la squadra era stata strutturata si era rivelata fallimentare, con Dončić rimasto troppo solo nei momenti cruciali. Le tempistiche però sono state quantomeno curiose, anche se è stato precisato come la separazione fosse stata decisa prima dell’uscita dell’articolo di Cato e Amick. Inevitabile, però, l’immediata interpretazione di molti tifosi e appassionati: Cuban ha scelto da che parte stare, ovvero con Voulgaris.

Il dettaglio che rimette tutto in discussione non è però quasi mai saltato all’occhio: Bob Voulgaris è in scadenza di contratto. Anche qui, però, nulla di chiaro: Kevin O’Connor si era detto convinto del mancato rinnovo del contratto, ma Cuban, qualche giorno dopo, è stato sibillino quando intervistato da The Athletic (“Non parlerò di trattative individuali. Non lo faccio mai“) ed il portale ha interpretato le sue parole nel verso opposto.

Tanto per aggiungere un altro po’ di confusione, dopo poche ore dalla notizia sono subito rimbalzate voci sul malcontento di Dončić, al momento in Slovenia e impegnato con la sua nazionale. Luka aveva infatti un rapporto piuttosto stretto con Nelson fin dai suoi anni al Real Madrid. Le dichiarazioni rilasciate dallo sloveno sono state poi più diplomatiche di quanto preventivato, ma tutto ciò è stato sufficiente a gettare nel panico i tifosi dei Mavericks: la nostra stella non va d’accordo con una figura ambigua all’interno dell’organizzazione e la risposta è il licenziamento del GM con cui ha un rapporto stretto da anni?

Pensate che sia finita qui, vero? Neanche per sogno. Dopo solo un giorno tocca a Wojnarowski sganciare la bomba: coach Rick Carlisle, alla guida della squadra dal 2008, ha rassegnato le dimissioni nonostante avesse ancora due anni di contratto. Sgomento ancora maggiore in tutto il mondo Mavericks: Carlisle è considerato quasi all’unanimità uno dei migliori allenatori dell’intera NBA, forse il migliore in assoluto se si parla di aggiustamenti in corso d’opera e letture tattiche. Nella dichiarazione rilasciata da Carlisle a ESPN, oltre ai salamelecchi di rito, salta all’occhio un particolare interessante: l’ormai ex allenatore si dice onorato di aver allenato giocatori come Nowitzki, Michael Finley e Jason Kidd.

Già.

Non manca qualcuno?

Certo, può essere stata semplicemente una forma di rispetto per giocatori che hanno trascorso parecchi anni in maglia Mavs, ma appare quantomeno curiosa l’assenza di una singola parola dedicata a colui che ha ottime probabilità di diventare il miglior giocatore al mondo nei prossimi dieci anni. A questo punto, complice anche una puntata del podcast di Zach Lowe con ospite Tim MacMahon, informatissimo sulle vicende di Dallas, viene a galla con forza un problema solamente annusato fino a pochi giorni fa: Carlisle e Dončić non sono mai andati particolarmente d’accordo.

Certo, la grande capacità di adattamento dell’allenatore e la giovane età del giocatore hanno garantito un rapporto di rispetto reciproco, ma nulla di più. Carlisle, che dal punto di vista tattico ha pochi eguali, non è sempre stato impeccabile nel relazionarsi con i giocatori ed è sempre stato piuttosto severo con le sue point guard: Dennis Smith Jr. e Rajon Rondo hanno lasciato Dallas in rapporti non esattamente idilliaci, così come Darren Collison e per qualche misura anche Steve Nash. Persino Jason Kidd, che ha condiviso con Carlisle la fantastica cavalcata del 2011 conclusasi con la vittoria del titolo, ha vissuto alti e bassi con il suo allenatore. Luka, dal canto suo, è stato descritto come un giocatore con un temperamento non facile da gestire, che urla spesso e che spesso ha contestato la gestione dei timeout e delle rotazioni. L’influenza di Voulgaris, inopportuna secondo lo sloveno, non ha certo aiutato.

Più dubbi che certezze

La domanda sorge spontanea: e ora? Intanto occorre fare un po’ d’ordine: Mark Cuban è e rimane la persona più influente dell’organizzazione e l’unico ad avere l’ultima parola su tutto. Secondo MacMahon la decisione di licenziare Nelson è unicamente dipesa da una perdita di fiducia nei suoi confronti da parte dell’istrionico proprietario; Carlisle si è dimesso di sua spontanea volontà, ma la sua permanenza era tutt’altro che scontata nel breve termine e sostanzialmente impossibile nel lungo. Probabilmente al coach veterano è anche apparso chiaro quanto sia importante la felicità di Dončić, motivo per cui anche il futuro di Voulgaris è ancora incerto.

I Mavericks fanno tabula rasa e ripartono, ma il loro 2021-22 ad oggi è un salto nel buio: sarà tutt’altro che banale sostituire una coppia allenatore-GM che costituiva un’istituzione nell’ambiente. I sostituti avranno un compito eccitante quanto ricco di pressioni: costruire una squadra intorno all’astro nascente della NBA. Le voci, ad oggi, stanno a zero o quasi, caratteristica tipica di un front office blindato, ma che ne esce con un’immagine ben più caotica rispetto a prima. Possibili anche due soluzioni interne: la promozione di Michael Finley a GM e quella di Jamahl Mosley a capo allenatore. Quest’ultimo, in particolare, è un nome molto gradito a Dončić e sembra godere di un’ottima fama in generale tra i giocatori, che lo hanno accolto così dopo la vittoria contro i Knicks in cui aveva sostituito Carlisle.

In appena tre giorni i Dallas Mavericks sono stati stravolti, con l’addio di due figure con una storia ultradecennale all’interno della franchigia. D’ora in poi Cuban si muoverà su una sorta di percorso ad ostacoli, tra aspetti tecnici, economici e morale della sua stella: per aiutarlo nell’arduo compito basterà il ritorno di Dirk Nowitzki, richiamato in questi giorni come consulente speciale? Una sola certezza: l’estate del 2021 sarà la più importante della storia recente dei Mavericks.

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Enrico Bussetti
Vive per il basket da quando era alto meno della palla. Resosi conto di difettare lievemente in quanto a talento, rimedia arbitrando e seguendo giornalmente l'NBA, con i Mavericks come unica fede.