Il nostro Power Ranking NBA

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Copertina di Sebastiano Barban

Come ogni anno, è tempo di pronostici. Mi piace molto stilare il Power Ranking di inizio stagione, è l’articolo che rileggo più volentieri durante l’anno e che più mi ricorda quali fossero le condizioni iniziali ad inizio Regular Season, quali fossero i punti fermi e quali fossero l’incognite.

I risultati di fine anno ci fanno spesso dimenticare quali fossero le griglie di partenza e troppo spesso commentiamo le vittorie o le sconfitte con un “ah, era chiaro”. Quindi avanti, come ogni anno mi espongo alla pubblica gogna cercando di dividere le squadre in tier, e ricordate: l’ordine all’interno dei tier stessi è tanto meno importante quanto si scende in basso, quindi vi prego di non avere pensieri impuri del tipo “Eh no, i Thunder io non me li sarei aspettati sopra i Rockets” a fine articolo.

1) Contender

Brooklyn Nets

Difficile trovare dei punti deboli in questa squadra. I quattro quinti del quintetto che dovrebbe chiudere le partite sono formati da due tra i migliori giocatori offensivi di sempre, Durant e Harden, uno dei migliori scorer in isolamento dell’intera lega, Irving, ed un ottimo tiratore di movimento come Joe Harris. Questi quattro hanno diviso il campo in Regular Season per soli 140 minuti, facendo registrare un Net Rating da far strabuzzare gli occhi pari a +16.8.

Prima che gli infortuni minassero le ambizioni da titolo dei Nets, sempre questi quattro hanno giocato insieme per 102 minuti durante i playoff, ed il Net Rating dei Nets durante quei minuti è stato +31. Vero, questi 102 minuti equivalgono ad una media di circa 20 minuti a partita contro i Boston Celtics privi di Brown ed in generale privi di una chiara identità per la prima volta in anni, ma i numeri dei quattro moschettieri rimangono davvero impressionanti.

Ci sono dubbi legati agli infortuni, alla tenuta difensiva (che però è parsa migliore del previsto nei momenti che contavano l’anno scorso) e soprattutto allo status vaccinale di Irving…ma a quei quattro aggiungete una serie di nomi che potrebbero essere utili ai Playoff, quali Patty Mills, Bruce Brown, Blake Griffin, Paul Millsap e Nic Claxton, un paio di veterani all’ultimo giro di giostra (James Johnson e LaMarcus Aldridge) ed il secondo miglior scorer della classe di rookie appena sfornata in Cam Thomas e capite che il gap con le altre è tale da far sì che i Nets partano con i favori del pronostico anche qualora Kyrie non dovesse giocare nemmeno una gara per loro quest’anno (cosa che dubito fortemente).

Se proprio volessimo trovare un difetto a questo roster, potremmo citare la mancanza di un 3&D puro, di quel prototipo di giocatore che tanto è cresciuto di importanza negli ultimi anni (per quanto il rookie Kessler Edwards pare abbia le carte in regola per diventare proprio quel giocatore). Ciononostante, c’è qualcuno che possa sostenere che questa squadra non sia la favorita per il titolo? In termini di sfortuna peggio dell’anno scorso non può andare, e sono andati a circa due centimetri dall’eliminare coloro che poi avrebbero alzato il trofeo.

Milwaukee Bucks

Le squadre che vincono il titolo si dividono in due macro-categorie: quelle spaccate da conflitti interni dopo averlo vinto, dove i protagonisti vogliono vedere il proprio ruolo aumentare di importanza e si apre una caccia alle cifre per agguantare il prossimo grasso contratto (il famoso “will of many” inventato da Bill Simmons), e quelle che acquisiscono una certa sicurezza dopo averlo vinto, una sorta di scorza dura che viene fuori nei momenti decisivi della stagione, un “been there done that” che spinge oltre l’ultimo ostacolo.

Alla luce di come i Bucks hanno vinto il titolo (sostanzialmente iniziando a giocare in attacco come tutti quanti sostenevano da inizio anno dovessero fare proprio in concomitanza delle Finals, aiutati da alcune malaugurate scelte difensive del coaching staff dei Suns) e della personalità del loro leader, tendo fortemente a propendere per la seconda. Certo, non bisogna dimenticarsi della serie contro i Nets privi di Harden ed Irving e delle difficoltà contro gli Hawks, ma credo che vedremo dei Bucks migliori rispetto allo scorso anno, più consci dei loro punti di forza e della loro identità offensiva (leggasi “levare palla dalle mani di Giannis a meno che non sia in transizione o in Gara-6 delle Finals”).

Il quintetto migliore sembra scritto nella pietra, con DiVincenzo che scalpita dopo l’infortunio che l’ha tenuto fuori per la quasi totalità degli scorsi playoff. Il difetto principale sembra ovvio: la panchina è corta, coi soli Portis e Connaughton giocatori di sicuro impatto ai playoff (e ho diverse riserve su entrambi), e toccherà al coaching staff trovare un ottavo tra George Hill, Grayson Allen (acquisto molto sottovalutato il suo), Hood, Ojeleye e Nwora. Occhio anche alla cessione di PJ Tucker, vera chiave di una difesa che, senza Lopez in campo, ha sostanzialmente cambiato 1-5 ai playoff e potrebbe non riuscire a farlo più in sua assenza. Molto probabile siano attivi a gennaio e sul mercato dei buyout.

Los Angeles Lakers

Vero, quando hai in squadra LeBron James e Anthony Davis sei automaticamente una contender, ed i playoff 2020 hanno dimostrato che, se i tre che ruotano attorno a LBJ e AD offrono un fit perlomeno accettabile, non importa molto quale sia il livello di talento del resto del quintetto: in quel caso, i Lakers saranno una delle due squadre migliori della lega, punto.

Il dubbio che accompagnerà la stagione dei Lakers deriva però dal fatto che il bilancio tra fit e talento sembra pendere bruscamente dalla parte del talento: Russell Westbrook è un giocatore certamente migliore di qualsiasi compagno di AD e LBJ nella title run 2020, ma è possibile che la sua presenza in campo rovini le spaziature come nessun’altro aveva mai fatto prima nell’era del duo migliore della lega o, peggio ancora, levi la palla dalle mani di LeBron, ed il suo status di superstella nella lega imporrà un elevato minutaggio ogni notte. Inoltre, Russ è ormai un difensore al più mediocre, e credo che Anthony stesso giocherà molti minuti per ragioni di status e legami con LeBron: sebbene il livello di impegno che i due ci metteranno sarà certamente elevato, le capacità difensive sono ormai quelle che sono, e questa non farà altro che aumentare il peso sulle spalle di LeBron e Davis.

Il trio migliore per chiudere le gare insieme a LBJ&AD include certamente sia Ariza che uno tra Bazemore e Monk, ma è tutto fuorché scontato che questa sarà la scelta di Vogel: la rotazione dei Lakers sembra profonda, con circa 10/11 giocatori che possono contribuire in un contesto playoff, ma il rango imporrà probabilmente gerarchie non ottimali nei momenti che contano. Potenzialmente tutte le risposte per arrivare all’anello sono all’interno del roster, ma sono molto scettico del fatto che queste vie saranno effettivamente percorse una volta arrivati al dunque.

L’altro grosso punto di domanda è, ovviamente, l’integrità fisica: LeBron sta entrando nella sua diciannovesima stagione ed ha dato segni di cedimento nelle ultime tre, Davis è probabilmente il giocatore più fragile tra i top6/7 della lega, Russ ha sempre basato il suo gioco su una esplosività che ormai non è più la stessa da un po’, Ariza ha già inaugurato la lista di infortuni…e via così. Età ed infortuni sono proporzionali, quindi aspettiamoci molte assenze nell’arco dell’anno (chi lo sa, magari qualcuna di queste può aiutare Vogel nel prendere il coraggio a due mani e fare scelte controcorrente).

Non sarei affatto sorpreso se i Lakers entrassero ai playoff con un seed diverso dal numero 1: se saranno sani e e avranno capito quale sia la loro identità entro aprile, avranno i favori del pronostico ad Ovest, ma questi due “se” non paiono piccoli al momento.

Phoenix Suns

Ne ho parlato nella preview stagionale e quindi non mi dilungherò troppo in questo Power Ranking, ma credo che Phoenix sia la quarta ed ultima squadra che possa fregiarsi del titolo di Contender. Se a livello di talento puro e star power sono un gradino sotto ai Lakers ad Ovest, in termini di chimica di squadra, versatilità e fit in campo sembrano essere molto avanti ai gialloviola.

Le voci sulle estensioni contrattuali potrebbero rappresentare una distrazione e minare gli equilibri interni tanto da distogliere l’attenzione degli interessati da temi (ai fini del risultato finale) più importanti. L’ossatura è quella della scorsa stagione, con i primi nove della rotazione che sembrano fissati: Paul e Booker compongono probabilmente il miglior reparto guardie della lega, Bridges e Crowder completano il reparto esterni titolare con Ayton sotto canestro. Dalla panca, Payne e Shamet saranno le uniche due guardie a vedere minuti importanti, mentre Cam Johnson sarà probabilmente il vero sesto uomo della squadra e McGee avrà il compito di far rifiatare Ayton. Nader sarà verosimilmente il decimo della rotazione, con Payton, Smith e Kaminsky che lotteranno per vedere qualche minuto a notte (solo in Regular Season).

Il principale difetto dello scorso anno, la mancanza di fisicità, viene parzialmente coperto dall’acquisto di McGee, ma rimane un tema a cui stare attenti soprattutto in eventuali serie contro i Lakers o i Bucks. Un altro difetto, la mancanza di creatori dal palleggio, sembra aver trovato parziale copertura in Shamet, dalle doti di creazione dal palleggio del quale tutti si sono detti piacevolmente sorpresi, e pare inoltre che Bridges sia pronto ad essere il terzo portatore di palla della squadra.

Aspettatevi che i Suns siano attivi sul mercato soprattutto nello spot di backup 4, o via trade (Thaddeus Young il nome da seguire) o via buyout (Kevin Love pare una concreta possibilità, qualora riuscisse a trovare un accordo con i Cavaliers).

2) Schegge impazzite

Los Angeles Clippers

Immaginate uno scenario in cui Kawhi Leonard si trova in anticipo sulla propria tabella di marcia per il recupero dall’infortunio (tic) ed in cui le altre pretendenti al trono ad Ovest faticano ad ingranare (tic). Se voi foste Kawhi stesso, non vi verrebbe forte la tentazione di provare a tornare prima dei playoff per vedere come sta il vostro corpo? La storia di Leonard ci insegna che lui ha sempre agito prudentemente quando si trattava di infortuni, ma magari con una posta in palio alta le cose cambiano.

Con un Leonard all’80%, i Clippers se la giocano con tutte ad Ovest, mentre senza hanno una variabilità così alta che non sono nemmeno del tutto certo che riescano ad evitare il play-in: ecco perché sono i capofila delle schegge impazzite, contender qualora la loro stella riuscisse a tornare una versione vagamente simile alla migliore di se stesso entro otto/nove mesi dall’infortunio (scenario assolutamente plausibile), squadra da playoff e poco più nel caso contrario.

Reggie Jackson, Eric Bledsoe e Luke Kennard si divideranno la maggior parte dei minuti a guardia, slot completato da uno dei rookie che più mi intriga nel lungo termine, Keon Johnson, ottimo difensore perimetrale con potenziale per diventare buon tagliante e giocatore off ball, nonostante debba mettere su svariati chili. Johnson in futuro potrà anche giocare sui 3 avversari, ma per ora il reparto ali sembra essere il più affollato anche senza il lungodegente Kawhi: George e Morris saranno verosimilmente i due titolari, con Mann e Batum rispettivamente settimo ed ottavo della rotazione, il primo chiamato a continuare coi progressi messi in mostra la scorsa stagione, il secondo a confermare l’ottima annata 2020/21 e magari a strappare la prossima estate un contratto che non lo renda uno degli atleti più sottopagati della lega (dopo anni di vacche grasse, a dirla tutta).

Batum giocherà spesso da small ball 5, o perlomeno fintanto che Ibaka non rientrerà dall’infortunio, per fare rifiatare Zubac. Nel selvaggio Ovest questa formazione potrebbe non essere sufficiente per raggiungere i playoff senza passare dal play-in, e un allenatore come Lue sembra essere più adatto al contesto playoff che a creare una chiara identità per la Regular Season (cosa dimostrata dall’ennesima buona annata in contesti probanti), ma occhio ai cugini losangelini: molte delle loro fortune passeranno per le mani di Paul George, che ha dimostrato nella serie contro i Suns di poter essere il miglior attore protagonista qualora gli si lascia spazio sul palcoscenico.

Golden State Warriors

Discorso simile a quello fatto per i Clippers vale anche per i Warriors: se Klay tornasse qualcosa di vagamente somigliante al Klay del 2019, i Warriors potrebbero essere l’ultima delle contender ma con un’esperienza unica e, soprattutto, con i contratti a roster per fare una trade importante nel bel mezzo della stagione qualora annusassero l’odore del sangue; al contrario, senza Klay questa squadra è praticamente la stessa che l’anno scorso, nonostante una stagione magistrale del suo Curry-Green, non si è qualificata ai playoff.

In attesa del ritorno di Klay, Jordan Poole sarà il compagno di reparto di Steph Curry e potrebbe essere la vera sorpresa dell’inizio di stagione Warriors: dopo essere stato uno dei panchinari più prolifici per minuti giocati dell’intera lega, il microonde da Michigan (The Microwave è il suo soprannome) ha avuto una Preseason fantastica e pare pronto a prendersi il posto da titolare almeno fino al ritorno del secondo Splash Brother. Un altro giocatore che sembra essere in ottima forma è Otto Porter, che però partirà dietro Wiggins nelle gerarchie, anche se non è da escludere che i due possano dividere il campo nei minuti con Green da 5.

In assenza di Wiseman, ancora senza una timeline precisa per il ritorno in campo, Looney sarà il centro titolare e Bjelica sarà probabilmente la sua riserva, ma aspettiamoci Draymond in campo sotto canestro nei momenti importanti delle gare. L’altro giocatore sicuramente da rotazione NBA è Toscano-Anderson, mentre rimane da valutare l’impatto di Moses Moody al suo primo anno, sebbene io abbia davvero pochi dubbi sul fatto che possa essere un 3&D importante per anni a venire.

Pare evidente che il problema per i Warriors sia la rotazione nel reparto guardie, ridotta all’osso e comunque composta solo da giocatori che chiederanno agli altri tre in campo straordinari difensivi. Per questa ragione Moody stesso potrebbe avere diversi minuti in campo a notte, anche più di Kuminga per quanto questi sia stato selezionato ad una scelta più alta. Morale della favola: senza Klay, questa è probabilmente di nuovo una squadra destinata ad acciuffare i playoff all’ultimo momento o a mancarli (e siamo sempre ad un infortunio di Curry o Green dal tanking selvaggio), ma non vorrei incontrarli ai playoff con gli Splash Brothers al completo.

3) Playoff Sicuri

Miami Heat

Nonostante abbia posizionato Miami fermamente al primo posto tra i vincitori della offseason, non me la sono sentita di metterla tra le contender. Quando stilo il Power Ranking di inizio stagione, tendo ad analizzare le due conference separatamente, perché per vincere il titolo basta sconfiggere una sola squadra della Conference avversaria, mentre bisogna batterne almeno tre della propria: credo che con l’estate appena conclusasi gli Heat si siano issati al terzo posto ad Est, ancora un gradino sotto i Bucks (e svariati gradini sotto i Nets), ma allo stesso tempo un gradino sopra i 76ers, divario che potrebbe ulteriormente aumentare qualora, come pare, Daryl Morey non riuscisse ad ottenere un All-Star in cambio di Ben Simmons.

Il quintetto Lowry-Robinson-Butler-PJ Tucker-Adebayo è un vero incubo per ogni attacco avversario, una lineup in grado di cambiare 1-4 con la maggior parte dei suoi elementi, ma soprattutto un insieme di individui dall’intelligenza cestistica fuori dal comune, soprattutto nella propria metà del parquet. Il mantra seguito durante l’estate pare evidente: gli Heat sono andati all-in su comprensione del gioco e fisicità. Il vero dubbio è se questi cinque possano offrire spaziature sostenibili in ottica playoff o meno: Tyler Herro e Max Strus (sì, credo che Max Strus possa diventare il settimo/ottavo giocatore della rotazione) avranno probabilmente ruoli più importanti di quanti ora possano anticipare, e non sarei nemmeno del tutto sorpreso se Omer Yurtseven diventasse presto la riserva di Bam.

L’attacco a metà campo sarà verosimilmente il tallone d’Achille di Miami, ma la closing lineup è composta da giocatori che sanno muoversi senza possesso e tagliare a canestro, ed offrono ottima circolazione di palla. Sono sicuro che Spoelstra riuscirà a tirare fuori il meglio dal proprio roster e che Riley starà con le orecchie ben alzate per cogliere la minima occasione per migliorare ulteriormente il roster.

Utah Jazz

Mi ero spinto ad inserirli tra le contender nel Power Ranking dei playoff la scorsa stagione, ma per l’ennesima volta il risveglio dei ragazzi di Coach Snyder è stato brusco: eliminazione per mano dei Clippers senza Leonard in gara-5 e gara-6, miglior record della lega frantumato sotto i colpi del miglior Terance Mann. Vero, ci sono delle attenuanti ed anche belle grosse: gli infortuni degli unici due ball handler a roster, Mitchell e Conley, per inciso anche i due migliori giocatori della squadra, hanno certamente giocato un ruolo non trascurabile nell’esito della serie e sono stati forse gli infortuni più dimenticati degli interi playoff. Ma quel che più conta è che, per la stagione numero 3729 in fila, i limiti difensivi di Rudy Gobert siano stati esposti una volta arrivati i playoff, e questo è stato ancor più evidente dopo l’eliminazione dei Clippers per mano dei Suns in cui il pariruolo del francese, Deandre Ayton, è stato per distacco il miglior giocatore della serie per Phoenix.

Vero, il roster di Utah è pressoché privo di buoni difensori sugli esterni e quindi gli avversari arrivano di fronte a Gobert indisturbati o quasi. Vero, Gobert viene spesso messo in situazioni in cui si vede sostanzialmente costretto a difendere il pick&roll in 2vs1. Però è altrettanto innegabile che l’impatto del francese sotto canestro sia infinitamente migliore rispetto a quello che ha in ogni altro contesto difensivo, ed il fatto che per il terzo anno di fila questo sia il talking point di fine anno fa pensare.

Utah è fondamentalmente quella dell’anno scorso nel bene e nel male, ma con una freccia in più nel proprio arco: Jared Butler è il terzo creatore di gioco di cui Snyder aveva disperatamente bisogno, e l’impatto che potrebbe avere anche in post-season non va sottovalutato. In questa preseason, Utah è apparsa più prona a cambiare assegnamento difensivo, rischio che forse Snyder si può prendere con un Paschall in forma e che renderebbe la squadra mormona più versatile.

D’altro canto, senza Gobert in campo uno dei difetti del roster, l’assenza di taglia, sarà ancora più evidente. Gli altri punti deboli e punti di forza già li conosciamo: circolazione di palla immacolata, migliori spaziature della lega, ma allo stesso tempo difficoltà a creare dal palleggio e a difesa schierata e rotazioni forse ancora corte (con un po’ di immaginazione si possono contare dieci/undici giocatori di rotazione NBA, anche se secondo me quelli che sarebbero in rotazione ovunque sono al massimo nove). I Jazz sono un meccanismo oliato alla perfezione, ma è possibile che abbiano raggiunto il massimo livello che si può raggiungere con una struttura basata sul duo Mitchell-Gobert.

Denver Nuggets

I Nuggets hanno dato un segnale importantissimo alla lega: siamo all-in col nostro nucleo, siamo convinti che Jokić-Murray-Porter Jr-Gordon più un quinto qualsiasi sia una delle migliori lineup della lega. A parer mio sono nel giusto, dato che io stesso li vedevo addirittura come favoriti ad Ovest prima dell’infortunio a Murray. Ciononostante, Murray è un giocatore che fa dell’esplosività andando a canestro e di rapidi movimenti laterali per liberarsi del proprio uomo un tratto distintivo del proprio gioco, e difficilmente vedremo questi movimenti replicati a livelli alti nella stagione che sta per cominciare.

Un Murray al massimo grado è l’unico modo in cui Denver può avere uno dei due migliori attacchi della lega in postseason, e non vedo altre opzioni affinché Denver possa essere una contender dati i cronici problemi difensivi, tanto messi in mostra da Chris Paul e Devin Booker nella disfatta dello scorso giugno: la difesa sul pick&roll di Jokić e chiunque altro attualmente a roster che non sia Gordon è tra le peggiori della lega, Porter Jr rimane uno dei difensori on ball più cercati dagli avversari nonostante i miglioramenti e senza Murray il reparto guardie manca di centimetri per coprire linee di passaggio in maniera adeguata (uno tra Campazzo e Morris deve essere pressoché sempre in campo per offrire playmaking secondario).

D’altro canto, non si può dire che i Nuggets non abbiano fatto del loro meglio per coprire le falle del loro roster: Jeff Green è una gran presa ed offre una solida opzione per i minuti senza Jokić in campo e “Bones” Hyland è ben più che un rookie già di culto, anzi, è potenzialmente proprio quel di cui i Nuggets hanno bisogno. Taglia sopra al normale, braccia lunghe, range di tiro illimitato, buona difesa sul pallone, Hyland è esattamente il profilo perfetto per completare il roster Nuggets qualora la curva di sviluppo del rookie seguisse le aspettative della dirigenza del Colorado.

Oltre a Hyland e Green, come per Utah ormai conosciamo a memoria il copione offerto da Jokić e soci: basket divertente e ben eseguito e difesa a dir poco ballerina. L’annata che sta per cominciare offrirà però spunti d’analisi limitati oltre alle prestazioni di Porter Jr e Hyland stesso: aspettiamoci una stagione di transizione, magari anche con buone gare ai playoff, ma pur sempre in attesa del ritorno di Murray.

Atlanta Hawks

Altra hot take di ottobre che si rivelerà molto probabilmente errata: per come stanno le cose ora, sono più fiducioso in Atlanta in ottica playoff che in Philadelphia. Gli scorsi playoff degli Hawks non sono stati i tipici playoff di una squadra alla prima esperienza. Dopo aver superato i New York Knicks molto più agevolmente di quanto fosse lecito aspettarsi, Atlanta ha probabilmente messo fine per sempre alla Premiata Ditta Simmons-Embiid.

Ero il primo a pensare che Trae Young avrebbe sofferto l’impatto con la fisicità del gioco playoff, e sono stato la persona più felice sulla faccia della Terra ad essere stato smentito: 29+10 assist di media al debutto tra i grandi sono cifre che fanno rumore anche se arrivate con una True Shooting del 55%, soprattutto se accompagnate da momenti che rimarranno nella memoria collettiva come l’inchino al MSG o la Shimmy prima di una tripla a segno in g1 contro Milwaukee.

Gli Hawks non hanno avuto la timidezza tipica delle squadre giovani e non sono andati sotto fisicamente contro squadre sulla carta molto più prestanti di loro. Al momento, Atlanta è forse la squadra con la rotazione più profonda ad Est dopo i Nets: Young, Bogdanović, Huerter, Hunter, Collins, Gallinari, Capela ed Okongwu sono otto uomini che avrebbero minuti playoff importanti in pressoché ogni franchigia.

In aggiunta, Lou Williams ha dimostrato di avere ancora qualche colpo in canna e Cam Reddish ha messo in mostra sprazzi del talento dell’ex potenziale prima scelta al draft 2019 prima di arrivare a Duke, affermandosi come uno dei migliori difensori on ball tra i nuovi arrivati nella lega e lasciando intravedere potenziale di creazione dal palleggio anche in contesti probanti (e, incredibile a dirsi, anche sprazzi di triple dal palleggio). Inoltre, Solomon Hill finisce per rendersi sempre utile e Sharife Cooper e Jalen Johnson si sono rivelati senza troppe sorprese due dei rookie più intriganti della classe…insomma, di motivi per pensare positivo ad Atlanta ce ne sono.

Dopo aver messo il piede sull’acceleratore del rebuilding la scorsa offseason, il GM Travis Schlenk non deve commettere l’errore di pensare che la timeline della squadra sia infinita: qualora tutti i giocatori a roster si sviluppassero come i loro primi anni di carriera lasciano pensare, certo questo roster avrebbe pochi punti deboli. Ma molti giovani che crescono bene equivalgono a molti contratti rookie scale in scadenza che presto diventeranno corpose estensioni: sebbene non sia tra le squadre citate spesso tra quelle in corsa qualora un grande nome dovesse diventare disponibile, io terrei gli occhi ben aperti.

Philadelphia 76ers

La più grande delusione dei playoff 2021, senza se e senza ma. Diverse squadre hanno gli infortuni come scusante, decisamente non i 76ers, praticamente unica contender del lotto le cui stelle non hanno dovuto allontanarsi dal campo per problematiche gravi a qualche punto della postseason. L’eliminazione contro gli Hawks ha messo in mostra tutti i limiti di uno dei roster più costosi della lega, confermando la dannosità offensiva di Simmons, la difficoltà di Embiid ad arrivare nel miglior stato di forma agli appuntamenti importanti della stagione e, soprattutto, evidenziando l’assenza di un creatore affidabile contro le difese schierate.

Le mosse della scorsa estate sottolineano la decisa volontà di costruire attorno ad Embiid, ma va perlomeno ricordato che lo stesso camerunense ha mostrato di non essere il lungo difensivamente più versatile della lega negli scorsi playoff. Il mio dubbio principale legato a Philly è proprio questo (oltre ovviamente la querelle Simmons, che credo non offrirà ritorno che sia in grado di far fare un salto di qualità ai 76ers nell’immediato), che i limiti evidenti di Simmons abbiano ben nascosto, nel corso degli anni, lacune più o meno affiorate del centrone africano.

Ripetiamo insieme: se sei veramente un giocatore top6/7 della lega, la tua squadra avrebbe dovuto passare il secondo turno dei playoff almeno una volta nei tuoi primi 7 anni post-draft. Per il resto, difficile fare previsioni su quale sarà la closing lineup o anche solo la rotazione fino a quando la telenovela Simmons non si sarà conclusa: fossi in Morey, cercherei di accumulare più scelte possibili per poi lanciare tutto il malloppo al primo Beal/Lillard scontento di turno, perché al momento non vedo modi di far diventare questa squadra una contender credibile (sono un grande fan di Derrick White, ma se White è il giocatore che più potrebbe aiutarti a diventare una contender, forse sei lontano dall’esserlo).

Il lato positivo è che il roster è profondissimo e costruito con contratti di ogni sorta, quindi dovrebbe essere facile trovare il giusto pacchetto di veterani e giovani da scambiare, sempre che proprio uno di questi giovani (sì, sto pensando a Maxey) non diventi il giocatore che stai cercando.

Dallas Mavericks

L’estate della franchigia texana è stata caldissima, probabilmente la più calda del regno Cuban e non un buon auspicio per la stagione che sta per cominciare. L’allenatore a cui è stato affidato il compito di allenare il giocatore con più possibilità di diventare un talento generazionale tra gli ultimi arrivati nella lega è Jason Kidd, sull’operato del quale a Milwaukee sono usciti dettagli poco lusinghieri in seguito alla pubblicazione della biografia su Giannis di Mirin Fader.

Dallas è stata la grande delusa del mercato Free Agent 2021 come ormai da (quasi) annuale tradizione, ma il Porziņģis visto nelle prime uscite stagionali sembra solo lontano parente del fantasma visto lo scorso anno. Il compito di playmaker secondario vicino a Luka nei momenti caldi delle partite dovrebbe aspettare nuovamente a Jalen Brunson, con un Hardaway fresco di rinnovo a dargli una mano con la licenza di sparare ad ogni occasione bene in vista.

Bullock, reduce da una ottima stagione a New York, sarà l’altro difensore designato sulle guardie avversarie e certo non rovinerà le ottime spaziature Mavs. Kleber e Finney-Smith sono certamente giocatori limitati, ma sono buone opzioni difensive contro i megacreator avversari, segnano l’occasionale tripla in catch&shoot e sono opzioni da backup 5 qualora tutte le altre opzioni oltre a Porziņģis non siano percorribili.

Starà a Powell, Marjanović e Cauley-Stein convincere Kidd del fatto che i minuti senza il lettone sotto canestro siano di loro pertinenza. Il limite principale dei Mavs è quello della scorsa stagione, e cioè che tutta la creazione o quasi passi per le mani di Dončić. Occhio però, è possibile o addirittura probabile l’arrivo del connazionale Dragić a metà stagione, ed in quel caso quello che è il principale punto debole dei Mavs diventerebbe un loro vantaggio sugli avversari.

L’altro aspetto migliorabile, la rotazione sugli esterni, potrebbe avere la risposta cercata in Josh Green, sophomore che ha tutte le caratteristiche adatte per essere un alfiere di Luka, ma che ha avuto poco spazio nel suo anno da rookie. La mia personalissima sensazione è che Dallas sia al momento sottovalutata perché uscita due volte al primo turno, ragionamento che però ignora il fatto che, soprattutto lo scorso anno, i texani siano usciti sconfitti solo per mano di una assoluta contender e non senza aver dato vita al miglior primo turno degli ultimi cinque anni.

Attenzione dunque: in un Ovest senza un chiaro padrone, con due possibili contender probabilmente tagliate fuori da infortuni, non escludo del tutto che questo possa essere l’anno buono (il primo di una lunga serie) per Luka per prendersi la Conference, ovviamente il tutto dopo una possibile stagione da MVP.

4) In lotta per i Playoff

Boston Celtics

I Boston Celtics non sono tanto brutti quanto si potrebbe pensar guardando alla scorsa stagione, soprattutto tenendo conto della parte finale in cui l’infortunio di Jaylen Brown ha messo in evidenza tutti i limiti di un roster con evidenti lacune. Quella principale, però, non è stata colmata durante l’estate, e cioè la mancanza di creazione dal palleggio a metà campo. Allo stop della musica, Schröder è stata la point guard rimasta senza sedia, ed ha pertanto accettato (credo non di buon grado, data la quantità di denaro a cui ha rinunciato con la proposta di estensione Lakers rispedita al mittente) un contratto di un anno con i Celtics.

Realizzatore prima che passatore o creatore di tiri aperti per altri, Schröder non è decisamente abbastanza per risolvere i problemi a difesa schierata dell’attacco Celtics, ma può dare una mano. L’incognita maggiore legata alla stagione Celtics è l’impatto di Udoka: qualora il delfino di Popovich riuscisse a riportare la serenità nello spogliatoio e di converso l’armonia in campo, i Celtics potrebbero essere un avversario molto arcigno. Stiamo pur sempre parlando di una squadra che chiuderà con Tatum e Brown come punti fermi, una coppia di esterni che per età e impatto sui due lati del campo ha pochi pari nella lega.

Nel ruolo da 5 la competizione interesserà Robert Williams, reduce da un terzo anno sì in crescita ma non impetuosa come ci si aspettava, e Al Horford, che in sordina l’anno scorso pare aver dimostrato che i problemi a Philadelphia non dipendessero troppo da lui (sebbene gli infortuni allora ne abbiano fortemente limitato l’impatto) quanto dal contesto. Gli altri due ruoli sugli esterni se li giocheranno Smart (difficilmente lo vedo fuori da una closing lineup), Schröder stesso e Josh Richardson. La guardia da Tennessee è stato forse vittima della propria flessibilità nelle sue esperienze a Philadelphia e Dallas, ma le ultime due annate hanno allo stesso tempo evidenziato problemi dipendenti solo e soltanto da lui: l’imprecisione al tiro, l’incapacità di essere nulla oltre che ad una (scarsa) terza opzione in termini di creazione offensiva e anche l’impatto neutro (se non addirittura leggermente negativo) dal lato difensivo del campo sono tutte pieghe che non ci si sarebbe aspettato la sua carriera avrebbe potuto prendere.

Il contesto non sembra essere quello adatto a sollevarlo del tutto da compiti di creazione, ma una rinascita non è da escludere. Pritchard è l’ottavo giocatore che può senza dubbio far parte di una rotazione playoff, come potenziali sorprese da fine rotazione occhio a Nesmith (le spaziature da lui offerte in movimento lontano dalla palla non sono nel repertorio di nessun’altro a roster) e Grant Williams, forse il giocatore che finora più mi ha deluso del draft 2019.

Portland Trail Blazers

La dettatura di veline da parte di Damian Lillard a Chris Haynes ha raggiunto livelli quasi comici durante l’estate appena conclusasi. Lillard è stato per tempo l’emblema della stella che vuole vincere con la propria franchigia, senza unirsi ad una superpotenza; non solo, Lillard stesso si è sempre fregiato davanti ai media di essere quel tipo di giocatore, fedele alla squadra ed ai propri compagni, davanti ad Haynes in primis, nella famosa storia di Zach Lowe uscita su ESPN poi, tanto da far dire più volte a Lowe stesso che “fintanto che Dame è a Portland, CJ non si muove”.

Poi un anno fa le prime crepe, ovviamente fatte trapelare da Haynes: Lillard non è contento dell’operato della società, vuole più aiuto. Ed ecco la dirigenza sbrigarsi a strapagare Robert Covington (due prime scelte) e spendere sul mercato per giocatori di dubbio valore, applaudita peraltro dai media mainstream, salvo poi uscire al primo turno per mano di una Denver priva di Jamal Murray.

Pronta la nuova velina dell’araldo Haynes: Lillard vorrebbe proprio rimanere a Portland, ma glielo stanno davvero rendendo impossibile questi cattivoni della dirigenza. I problemi dei Blazers sono sempre gli stessi: mancanza di taglia e problemi difensivi nel reparto guardie su tutti, assenza di creazione al di fuori di Dame in seconda battuta. Cedere CJ McCollum potrebbe risolvere almeno uno dei due problemi, non tanto per il valore del giocatore (indiscutibile), quanto per il rapporto utilità/stipendio: forse un giocatore alla Brogdon non risolverebbe del tutto il problema della prevedibilità del gioco Blazers, ma di certo aiuterebbe in fase difensiva e porterebbe centimetri e chili complementari alla scarsa taglia di Lillard.

Le mosse estive sono state fatte con l’obiettivo di migliorare l’aspetto difensivo: il posto di Anthony è stato preso da Larry Nance Jr (investendo un’ulteriore prima scelta), sebbene la rotazione non pare ancora essere profonda a sufficienza per affrontare le 82 partite della Regular Season. Lillard, McCollum, Powell, Snell, Covington, Nance, Nurkić e Zeller sono giocatori di comprovata esperienza, McLemore è un buon giocatore da fondo rotazione, ma serve che almeno uno tra Simons e Little faccia il salto di qualità affinché Portland possa anche solo ambire ad arrivare ai playoff senza passare dal play-in.

Detto questo, monte stipendi alto, prima scelta del 2022 mandata a Chicago in caso di playoff, distanza probabilmente incolmabile tra loro e le contender: non è assurdo pensare che quella che sta per iniziare sia l’ultima stagione di Lillard a Portland.

Chicago Bulls

Probabilmente i numerosi tifosi Bulls staranno alzando le loro sopracciglia: come, dopo un’estate di spendi spandi effendi non ci mette nemmeno in una posizione da playoff sicuri? La verità è che l’efficacia del roster allestito da Karnišovas è tutta da verificare sul parquet: i due incaricati di prendersi il carico della creazione di gioco saranno Zach LaVine e DeMar DeRozan, e potrebbe essere una coppia che sulla carta funziona, soprattutto se aiutati da due “connettori” sopra la media come Lonzo Ball e Nikola Vučević.

L’utilizzo di Ball in primo luogo dovrà essere, a mio modo di vedere, primariamente off-ball, con compiti di creazione quasi esclusivamente in transizione (anche se i Bulls non sembrano costruiti come squadra da corsa). Il quinto della migliore lineup schierabile è Pat Williams, che tanto bene ha figurato al suo esordio in NBA: aspettiamoci un’altra stagione con compiti primariamente difensivi per l’esterno da Florida State, ma è già venuto il momento di dimostrare miglioramenti, soprattutto in termini di volume al tiro da fuori.

La maggior parte della rotazione sarà completata da Caruso, White (fuori per il primo mese di regular season almeno), Derrick Jones Jr e Troy Brown Jr. Due sono i principali fattori per cui al momento non vedo i Bulls come sicura per i playoff (oltre la ragione ovvia che il livello medio dell’Est si è alzato): in primis, lo starting 5 potrebbe avere grossi problemi difensivi.

DeRozan non è mai stato un fulmine di guerra da quel lato del campo, ma il carico offensivo che ha dovuto sostenere a San Antonio ne ha peggiorato le prestazioni difensive in maniera drastica. LaVine ha fatto vedere buone cose con un carico di lavoro ridotto alle Olimpiadi, ma le responsabilità offensive non saranno leggere come quelle sotto Coach Pop e di conseguenza la qualità delle prestazione difensive offerte potrebbe tornare ad abbassarsi. Vučević ha in fronte un mirino grande come un casa per i portatori di palla avversari, e tutto il carico ricadrà dunque sulle spalle di Ball e Williams, ottimi difensori ma pur sempre due.

La seconda ragione è che, a prima vista, in Regular Season Chicago dovrà concedere diversi minuti a giocatori non a livello di una rotazione top 15 NBA: sto pensando a gente come Javonte Green e Tony Bradley. Sarei lieto di essere smentito perché più talento nella lega c’è meglio stiamo tutti, ma credo che l’ultima fetta della propria panca costerà diverse gare ai Bulls.

Andrea Bandiziol
Andrea, 31 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di True Shooting vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora.