L’uscita dei Jazz ha tre chiari colpevoli

Jazz NBA
Copertina di Francesco Ricciardi

I Jazz hanno chiuso la stagione in maniera ingloriosa nonostante un Donovan Mitchell che ha confermato quanto di buono fatto nella bolla di Orlando. Dopo l’infortunio di Leonard, i favori del pronostico si erano spostati pesantemente verso Utah, ma ciò nonostante i Clippers sono riusciti a segnare a piacimento quando contava. Il quintetto piccolo dei losangelini ha evidenziato come i Jazz non siano capaci di contenere gli avversari quando questi giocano con 5 esterni. Un problema evidentemente cronico, a cui questo roster fa fatica a trovare delle risposte efficaci.

Viene da sé che il primo imputato di questa sconfitta non possa non essere Gobert. Il sistema difensivo di Snyder organizzato attorno al proprio centro è imploso, e per quanto le colpe siano da condividere, il francese è di sicuro fra gli imputati principali.

Primo sconfitto: Gobert

Il tre volte difensore dell’anno basa i suoi successi sulle sue abilità da rim protector, ed è probabilmente il più grande intimidatore d’area degli ultimi anni. Nonostante i molteplici riconoscimenti, Gobert non è mai riuscito a levare i dubbi relativi al suo impatto ai playoff. E di sicuro non verranno dipanati dopo quest’ultima prestazione. La cosa più grave, non nuova tra l’altro per lui, è la mancanza di cattiveria nei momenti di difficoltà: da gara 5 Gobert non è stato più lo stesso, facendosi trascinare dalle difficoltà dei compagni e dallo schema tattico adottato da Lue.

I Clippers hanno cercato pesantemente i tiri da 3 dagli angoli: nella serie, Los Angeles ne ha presi ben 12.8, arrivando al picco dei 22 in gara 6. Ogni volta che i penetratori arrivavano in area, Gobert si è trovato perennemente di fronte al dilemma amletico dell’aiuto-non-aiuto. Facendo un passo in direzione del canestro, automaticamente si creava lo spazio per una conclusione dell’angolo, posizione che veniva coperta in maniera assidua proprio dal giocatore che veniva marcato da Gobert, spesso Batum o Mann.

Nel momento in cui non andava in aiuto, Utah concedeva automaticamente una semplice conclusione al ferro. Dopo le difficoltà della quinta partita si è deciso di scommettere sulle percentuali dei tiratori, Mann in particolare, ma i risultati sono stati tragici.

Al contrario, nei primi 3 episodi della serie la presenza difensiva di Gobert è stata palpabile, con i Clippers che han tirato molto meno al ferro. Assicurato il controllo del pitturato, gli esterni dei Jazz si potevano così limitare a contestare le triple. Una volta capito però come attaccare, Los Angeles ha caricato senza ritegno Gobert, obbligandolo a muoversi freneticamente. Lui che è famoso per cambiare le partite rimanendo sotto canestro. Uno spartito già noto ai Jazz, ma che anche questa volta si è rivelato efficace.

Se Gobert non ha di certo brillato, a causare così tanti problemi a Utah è stata la difesa perimetrale. Perché se Rudy si trovava sempre in mezzo, tante responsabilità sono da attribuirsi a chi stava in prima battuta. I palleggiatori dei Clippers hanno costantemente battuto il primo uomo, richiamando Gobert verso il centro dell’area lasciando libero il suo uomo. Da questa situazione, Rudy non è stato in grado di rispondere. Spesso fuori posizione in gara 5, nel 6°capitolo ha giocato perennemente col dubbio su cosa dovesse fare, e se già normalmente non brilla per velocità laterale, Gobert ha finito per farsi travolgere dall’ondata cavalcata dai velieri di Los Angeles. E se una delle tue stelle ha un impatto negativo, è difficile fare strada ai playoff.

Secondo sconfitto: la dirigenza

A finire sul banco degli imputati non mancano di certo l’allenatore e la dirigenza. Le colpe di quest’ultima sono da cercarsi principalmente nella costruzione di un roster con delle evidenti lacune, e tanti doppioni. L’assenza di un chiaro piano B parte inevitabilmente da questo principio. Ingles e Bogdanović sono ali poche fisiche che non riescono a battere il proprio uomo in attacco, e non sono in grado di effettuare spostamenti laterali rapidi. Mitchell, Conley e Clarkson sono tre guardie anch’esse sottodimensionate per il ruolo che subiscono l’intensità altrui. Rimane O’Neale, che però non può fare reparto da solo, specie contro una squadra come i Clippers.

Se a questo si aggiunge Favors che è la copia tecnica di Gobert, il quadro è ben che delineato. Pensare di potere costruire una difesa degna del 3° defensive rating in regular season è un discorso, ma ai playoff spesso la narrativa si inverte. E così è stato puntualmente anche quest’anno.

Dopo l’ennesima stagione chiusasi per via di questo problema, è probabile che sia arrivato il momento di cambiare qualcosa. Si susseguono voci, o forse meglio definirli sospiri, di un possibile cambiamento sull’ondata della nuova proprietà e dell’arrivo di Wade nel quadro dirigenziale. Nel caso si decidesse in tal senso, è lecito attendersi la coppia Zanik-Lindsey sulla graticola.

Terzo sconfitto: Snyder

Discorso simile, ma diverso sotto certi aspetti, per il condottiero dei Jazz delle ultime 8 stagioni, coach Quin Snyder. In molti si sono giustamente lamentati della mancanza di contromisure al penetra e scarica (sugli angoli) messo in piedi da Lue, ma la rosa come accennato in precedenza non offriva grandi alternative. Ciò nonostante, Niang ha avuto fin troppi minuti, e la rotazione è rimasta la stessa anche nei momento di maggiore difficoltà. In passato Snyder ha dato prova di sapere cambiare le rotazioni in momenti di necessità, ma quest’anno ha voluto dare fiducia al gruppo collaudato della regular season. Molto più condivisibile, invece, pensare che sacrificare un paio di vittorie in stagione regolare in favore di qualche esperimento in più avrebbe potuto giovare.

Anche la zona è stata utilizzata poco e in maniera sporadica e spesso approssimativa. Ancora più difficile da digerire è la mancata reazione alla rimonta dei Clippers in gara 6. Certo, è stata impressionante quanto imprevedibile l’eruzione offensiva di Mann, ma un cambiamento a metà terzo quarto sarebbe stato utile.

In termini numerici la tattica di Snyder aveva senso per quanto rischiosa. Mann ha sì tirato con più del 40% dagli angoli in stagione, ma era alle sue prime partite vere ai playoff. Vi sono stati momenti in cui sembrava semplicemente che la squadra non ne avesse più, soprattutto in termini mentali. Il mancato senso di urgenza dimostrato nelle ultime partite, denota come Snyder non sia stato in grado di toccare le corde dei suoi.

Se la difesa è stata la protagonista della disfatta, non si può dire che l’attacco sia stato efficiente. Poca pressione, intensità, idee confuse, poca grinta. I numeri, alzati di peso da Mitchell, nascondono dei momenti di secca all’interno delle ultime due partite a dir poco inspiegabili. Perché se da un lato i Clippers hanno fatto un buon lavoro, spesso e volentieri gli attacchi dei Jazz sono stati alquanto sterili. Tranne quando la palla ce l’aveva in mano Donovan.

Unico scagionato: Mitchell

Mitchell dall’altro lato è stato spettacolare. Il suo palleggio-arresto-e-tiro è diventato fra i più letali della lega: infatti, nelle ultime due post-season, Mitchell segna un impressionante 47.5% in pull-up da 3, su un volume di tiro raggiunto solo da 38 giocatori nell’intera regular season 20/21. Anche nelle conclusioni al ferro, che spesso paiono il suo tallone d’Achille, Mitchell ha concluso con il 65%.

Ha dimostrato di sapere battere con continuità il proprio difensore dal palleggio, con una rapidità laterale d’élite e delle doti in palleggio sempre più raffinate. Con un mix tecnico di questo livello, Mitchell è senza alcun dubbio uno dei più grandi realizzatori degli ultimi due playoff. Gran merito di queste sue esplosioni offensive è da attribuirsi alla sua abilità di coinvolgere il difensore avversario che preferisce, creando in continuazione dei mismatch.

Nelle prime partite, Donovan ha rotto ogni schema difensivo disegnato da Lue, costringendo l’allenatore dei Clippers a cambiare continuamente la difesa per mandarlo fuori ritmo. In rapida successione, Mitchell si è visto di fronte tanti raddoppi, la zona, show/edge sui pick and roll, pressione a metà campo. La mancanza di continuità (unita agli evidenti problemi fisici) è stata la chiave per togliergli un minimo di ritmo e farlo faticare su ogni possesso. Un ritmo insostenibile, che ha finito per sfiancarne l’animo e il fisico.

Tali fatiche sono diventate sempre più pesanti da affrontare, anche di fronte alle difficoltà dei compagni di squadra. Le sue letture sui raddoppi sono andate in peggiorando, un po’ anche per stanchezza, e un po’ per le continue migliorie della difesa di Lue e di un redivivo Beverley. Mitchell è stato l’unico a salvarsi, ma con il suo invitabile calo, la serie è volta inesorabilmente al suo termine.

Bilancio finale

Non ci si può nascondere, perdere 4 partite di fila con la beffa dell’ultima in cui i Jazz hanno toccato il +25 rappresenta un fallimento. Le aspettative di inizio anno erano in linea con quanto accaduto, ma dato l’evolversi della stagione, questa era un’opportunità più unica che rara per Utah. Gli infortuni hanno solo accentuato dei problemi preesistenti e non possono essere un’attenuante. Probabilmente quest’annata rappresenta il picco di questa rosa, e ci si auspica sia al tempo stesso il punto di svolta dell’era Mitchell. I margini di manovra sono pochi, e sarà molto complicato vedere un netto miglioramento della rosa.

Data questa importante premessa, bisogna sottolineare come questa squadra abbia sempre dato tutto. Forse anche troppo in regular season. Per tanti giocatori, questo è stato il miglior anno in carriera, sintomo di come il sistema Jazz sia di buon livello. Si deve imparare dagli errori e rendersi conto che serve cambiare qualcosa.

Se negli anni scorsi si è garantito continuità al progetto tecnico, è possibile che la nuova proprietà voglia mettere mano e apportare qualche modifica. Questa sconfitta, molto pesante su diversi punti di vista, potrebbe essere il detonatore per un forte cambiamento, ma che non si può dare per scontato.

Ryan Smith è noto per essere un grande fan di Gobert, ed ha aperto il portafoglio sia per lui che per Mitchell. Sarà felice di andare oltre la luxury tax per questa squadra? Vorrà ridimensionare parzialmente il progetto o sceglierà di continuare ad investire pesantemente su una rosa da secondo turno ai playoff? O darà carta bianca per un nuovo assolto ai playoff? Di sicuro, non poteva avere una prima offseason più complicata di quella che si profila all’orizzonte.

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Alexandros Moussas
Alla tenera età di 9 anni, mio zio mi fece scoprire il basket NBA, facendomi guardare con lui le finali del 98. Con Tavcar nelle orecchie e Micheal Jordan ad alzare il trofeo, mi innamorai dei perdenti, gli Utah Jazz. Da quel momento, nulla è cambiato. Io continuo a tifarli, e loro continuano a non vincere.