Utah in bilico tra ambizioni e realtà

Utah Jazz
Copertina di Matia Di Vito

Le prossime cinque settimane saranno fondamentali per capire quanto sia reale l’ambizione da titolo di Utah. Il calendario diventerà più complicato, ma soprattutto sono le ultime a disposizione per migliorare questo nucleo sul mercato. Lo zoccolo duro della rosa è lo stesso da anni, le due stelle sono maturate e la panchina è stata allungata in estate con gli innesti di Whiteside, Gay, Paschall e Butler. L’attacco ha superato i problemi a metà campo degli anni passati, diventando d’élite in ogni aspetto del gioco. Alla base di questi risultati in attacco, ci sono i soliti sospetti. Mitchell, reduce dal migliore mese in carriera. Rudy Gobert, mai così dominante a rimbalzo. Conley e Bogdanović, che al momento hanno le migliori percentuali da 3 delle loro carriere. Ciò nonostante, non vi è cronista che si senta pronto a scommettere sulla compagine mormona.

I motivi sono tanti, il primo è la diffidenza verso una squadra che è puntualmente crollata negli atti conclusivi delle ultime stagioni. Difficile credere in un progetto che ha dimostrato più volte i propri limiti. Anche perché il telaio è rimasto lo stesso. È giusto però che i tifosi si rassegnino ad una uscita al secondo turno? Quali sono i problemi tecnici che affliggono questa rosa? Ci sono margini di miglioramento? Nei prossimi paragrafi cercherò di rispondere a questi quesiti, partendo da un’analisi dell’attacco. 

L’attacco dei Jazz

L’attacco è statisticamente strabiliante, ma dipende troppo dalle percentuali da 3. Questo fa sì che nelle giornate buone i Jazz siano inarrestabili, mettendo a referto delle prestazioni tali da rendere il reparto offensivo, in media, uno dei migliori di tutti i tempi; nelle giornate in cui il tiro non entra, invece, i Jazz fanno parecchia fatica.

Una conclusione su due di Utah arriva da dietro l’arco, un volume senza precedenti anche per una squadra che ne ha sempre fatto uso massiccio. Con le percentuali da 3 di tutta la lega in calo, questa ricetta dovrebbe portare al primo attacco per distacco della lega. Questo avviene in primis grazie alle percentuali da 2 dei due giocatori franchigia, ossia Gobert e Mitchell.

L’apporto di Rudy Gobert

Il francese ha diminuito il numero di tentativi vicino al ferro, in netta contro tendenza con quanto ci si poteva aspettare dopo le prestazioni con la nazionale transalpina alle Olimpiadi. La differenza, in positivo, la fa la qualità dei tentativi, ma soprattutto delle ricezioni che l’attacco dei Jazz offre a Gobert. Il risultato è che la sua efficienza è ulteriormente cresciuta e, a oggi, trasforma il 71% dei suoi tiri in punti.

Lo spread pick and roll dei Jazz è l’arma più rodata della lega al questo momento, al punto che tra le coppie più efficienti in NBA nei giochi a due ce ne sono due di Utah nelle prime tre: Mitchell e Gobert, e Conley e… Gobert. Il francese negli anni è diventato uno dei rollanti più affidabili della lega, risolvendo i problemi di ricezione che lo contraddistinguevano a inizio carriera. È meno legnoso sulle gambe muovendosi così in maniera più fluida, e nelle ultime due stagioni ha imparato a passare il pallone sugli short roll, sfruttando le attenzioni extra della difese avversarie per servire i compagni di squadra appostati sugli angoli. 

Vi è un’altra nota positiva della sua stagione, ma molto più sottile da cogliere. A oggi, è la prima annata in cui Gobert non si è lamentato pubblicamente di non ricevere sufficienti palloni in attacco. I tentativi estemporanei di ganci e movimenti in post fini a se stesso sono pressoché scomparsi, mentre pare molto più pronto a coprire gli spazi giusti usando la sua gravità per favorire i compagni. Un salto di consapevolezza e un altro piccolo miglioramento per un giocatore che, essendo fra i meno talentuosi della lega, si è costruito una carriera sul “working on the margins”.

Il contributo di Mitchell

La guardia ex Louisville è protagonista di una stagione eccellente, ma la novità sta nella maniera in cui segna. Mitchell è migliorato dal 57% nella restricted area al 66%, e dal 41% al 49% nel resto dell’area, a fronte di un volume uguale a quello della passata stagione. Una differenza del genere dovrebbe ripercuotersi in maniera più vistosa normalmente, ma il peggioramento da 38.4% a 34.4% da 3 fa sì che la sua efficienza sia migliorata di poco. Per ora. Perché nell’ultimo mese Mitchell è passato dal 29% al 40%, dando segnali di ripresa in tal senso. Se la regressione delle percentuali da 3 continuassero, Mitchell potrebbe aspirare al 60% di TS%, rendendolo pienamente un giocatore efficiente. La svolta tecnica nasce dalla rinnovata pericolosità in penetrazione. Ormai entra quando e come vuole.

Sta imparando a manipolare la difesa e a sfruttare gli spazi che questa gli concede. Non solo per lui, ma anche per i suoi compagni. Le capacità di lettura degli accoppiamenti e la caccia all’anello debole degli avversari non si erano mai viste in regular season come in questa stagione. In più partite inoltre è stato in grado di dare un contributo positivo in difesa. Il picco l’ha avuto nel mese di dicembre, segnando 30 punti a partita.

Alcuni dati potrebbero essere figli delle difese che ha incontrato in una NBA segnata dalla pandemia, ma i miglioramenti in penetrazione paiono solidi. Un buon indicatore del suo impatto sono i minuti in cui gioca da solo senza Gobert e Conley. Fino allo scorso anno, Utah tendeva a disunirsi e a subire parziali negativi, quest’anno invece ha un differenziale di +4.3 su quasi 400 minuti di utilizzo.

La nota dolente: la difesa

La difesa dei Jazz continua a fare acqua in maniera alquanto prevedibile. Questo, perché le carenze del roster non sono state risolte e i problemi cronici non sono cambiati. Anzi, O’Neale pare aver fatto un leggero passo indietro, ciò nonostante rimane probabilmente il più affidabile difensore perimetrale della squadra. Conley in realtà gioca più che bene dietro, ma le sue limitazioni fisiche non gli permettono di impattare le partite come una volta. Mitchell dopo alcuni sprazzi incoraggianti a inizio anno ha smesso di piegare le ginocchia con continuità, comprensibile vedendo l’esplosione offensiva dell’ultimo mese. A questi, si aggiungono i tragici Clarkson e Ingles.

Di fronte ad una qualità così bassa di materiale umano, Snyder ha il suo bel da farsi a sperimentare nuove strategie che possano funzionare. La soluzione con Gay da 5 pare impercorribile, soprattutto contro le avversarie di alto livello.

Per poter ribilanciare questo problema coach Quin sta provando ad inserire nelle rotazione Forrest, ma i problemi offensivi dell’ex Florida State sono evidenti. Tanto è encomiabile per la sua abnegazione, tanto è rimarchevole notare come in attacco rimanga un pesce fuor d’acqua, più che mai in un sistema in cui pretende un uso massiccio del tiro da 3. La perfetta rappresentazione della difesa l’ha offerta, inaspettatamente, Marcus Morris.

In uno scenario del genere, esiste qualcosa su cui si dovrebbero insistere di più? A mio modesto avviso, la risposta è sì.

Possibili nuovi scenari difensivi

A oggi, si è visto ancora poco l’accoppiamento dei Rudy(s), con Gay da 4 vicino a Gobert. E in particolare, in quei frangenti Utah si è dimostrata molto restia ad accettare i cambi difensivi sui pick and roll, non sfruttando a dovere le possibilità di sperimentare. Nei Playoff si è visto a più riprese come i Jazz, volenti o nolenti, debbano imparare a convivere con lo switch di Gobert su un esterno, essendo il primo obiettivo di ogni attacco NBA.

Per Utah invece si è visto già contro i Warriors come a Snyder sia bastato un quarto per decidere di copiare la rotazione dei Warriors e inserire Gobert ogni volta che Curry stava per rientrare sul parquet. Rudy negli anni è migliorato molto sui cambi, e ha dimostrato di sapere incassare (non limitare). Se dal lato debole ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo, si potrebbe evitare di concedere così tante triple dal palleggio alle guardie avversarie (si guardi il clinic di Brunson a Natale per farsi un’idea), accettando invece la penetrazione in area del palleggiatore.

In quella specifica situazione, Gay potrebbe essere fondamentale. L’esperienza unita a delle braccia smisurate lo rendono un rim protector secondario accettabile, ma pur sempre di tutt’altro livello rispetto ai suoi compagni di squadra. Motivo per cui, sarebbe affascinante provare quest’arma con maggior continuità. Questo non vuol dire che tale soluzione sia la panacea per tutti i mali, anzi, ma sarebbe un passo verso una difesa più sostenibile. Certo, vedendo certe disposizioni sui Pick & Roll fa pensare ci sia molto lavoro da fare.

D’altro canto Gay da 4 renderebbe difficilmente schierabili sia Ingles che Bogdanović data la loro non elevata mobilità laterale. Contro i Clippers lo scorso anno si è visto come non riescano a coprire larghe porzioni di terreno in tempi stretti, e nei momenti in cui la difesa è costretta a cambiare loro sono i primi ad andare in difficoltà. Avere un altro profilo atletico nel reparto sarebbe una gran chiave di volta. E magari, a quel punto Gobert potrebbe sentirsi meno colpevole di uscire dall’area, contestando in maniera più convinta le triple avversarie. Questa serie di incastri nelle ali, unita alle difficoltà delle guardie, fa pensare che sia arrivato il momento di investire le ultime risorse rimaste per provare l’assalto sul mercato.

La grande speranza di Utah

La situazione salariale dei Jazz è parecchio intricata. Il cap è pieno, il monte salari ha ben sforato la luxury tax, e lo spettro della “repeater” è dietro l’angolo. (quando una franchigia NBA sfora la luxury per tre volte in un intervallo di 4 anni)

Le scelte da scambiare sono pochissime e non di immediata fruizione. I Jazz hanno impegnato ogni seconda scelta a loro disposizione tranne la 2025, e le prime sono bloccate dall’affare Conley. Utah potrebbe negoziare con Memphis per togliere l’attuale protezione dall’ultima scelta in ballo tra le due franchigie, cedendo direttamente la 2022 in modo da dare poi la 2024 ai Thunder. Così facendo Utah potrebbe mettere sul piatto le scelte 2026 e 2028. A quel punto, con le due scelte in mano e Butler, l’offerta massima dei Jazz diventerebbe interessante.

Come usare gli ultimi asset a disposizione?

Le filosofie su dove investire sono due. Una, sarebbe quella di cercare un difensore Point of Attack, che possa seguire le guardie avversarie dietro ai blocchi. L’altra consiste nel cercare una nuova ala più atletica che possa spalleggiare Gobert in difesa in maniera dignitosa. Personalmente, preferirei prendere una guardia, ma un’ala potrebbe offrire maggior duttilità ad un roster alquanto monotematico a livello tattico. La zona, spesso usato in uscita dai timeout o sulle rimesse laterali, potrebbe diventare più sostenibile. Il quintetto small ball potrebbe tornare ad avere un senso, o almeno rappresentare una speranza e non un bagno di sangue al contrario di quanto visto fino ad ora (-17 in13 minuti contro i Warriors). Perché anche quando le rotazioni vengono ben eseguite, è facile che ci siano delle sbavature a rimbalzo, vanificando quanto fatto di buono.

In tale ottica, chiunque potrebbe essere sacrificabile al di fuori di Mitchell, Gobert e Conley. Bogdanović al momento sta giocando la sua miglior stagione in maglia Jazz tenendo delle medie nel clutch time incredibili, ma non è fondamentale. O’Neale rimane molto utile, ma non è un difensore in grado di cambiare la fisionomia di un reparto in difficoltà. E di fronte ad una situazione da “adesso o mai più”, i sentimentalismi non sono più concessi. 

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Alexandros Moussas
Alla tenera età di 9 anni, mio zio mi fece scoprire il basket NBA, facendomi guardare con lui le finali del 98. Con Tavcar nelle orecchie e Micheal Jordan ad alzare il trofeo, mi innamorai dei perdenti, gli Utah Jazz. Da quel momento, nulla è cambiato. Io continuo a tifarli, e loro continuano a non vincere.