Il nostro Power Ranking NBA 2022/2023

Power Ranking NBA 2023
Copertina di Matia Di Vito

In lotta per i playoff

14) Minnesota Timberwolves

Può una franchigia che viene dalla sua migliore stagione negli ultimi diciassette anni, che ha appena completato la trade più importante della propria storia e con una stella nel pieno delle sue forze e un’altra che sta crescendo rapidamente essere considerata meno che certa di fare i playoff? A quanto pare, almeno nell’ovest della stagione che sta per iniziare, sì. In maniera non troppo dissimile da quanto detto per i Suns, è complicato prevedere quale tipo di stagione attenda i Timberwolves: è possibile che – se la strana coppia Towns-Gobert riesca subito a trovare la quadra (paradossalmente, più complicato difensivamente che offensivamente) – Minnesota si trovi ad avere un attacco e una difesa top 10 della lega e sfondi il muro delle 50 vittorie.

È possibile che la presenza di SloMo e Gobert sia del tutto inconciliabile con lo stile predicato da Finch la scorsa stagione (per quanto l’Head Coach di Minnie abbia dimostrato di essere estremamente flessibile nel corso della sua carriera), e che i Timberwolves facciano fatica a ingranare all’inizio della stagione. O ancora, è possibile che uno dei punti di forza della scorsa stagione, la profondità della panchina, sia andata gambe all’aria proprio a causa della trade Gobert (Beverley, Vanderbilt e Beasley sono stati tre giocatori chiave nella corsa ai playoff della passata stagione) e questo abbia un impatto profondo sulle sorti dei Timberwolves.

A dire il vero, la profondità della rotazione dovrebbe essere una caratteristica della squadra di Finch anche nella stagione che sta per iniziare: McLaughlin si sta affermando come uno dei playmaker di riserva più affidabili della lega, Bryn Forbes e Austin Rivers possono essere più che pezzi da fine rotazione, Jaden McDaniels e Taurean Prince sono ben collaudati nel sistema (e credo che McDaniels possa essere qualcosa in più che una semplice riserva) e Naz Reid come terzo lungo è un lusso sfrenato.

Insomma, tutto lascia pensare che scavallare le 50 vittorie non sia utopia per i Timberwolves, anzi, ma allo stesso tempo inserire un giocatore come Rudy Gobert, non il profilo più malleabile della lega, potrebbe non essere un gioco da ragazzi. Certo, c’è sempre la possibilità che Ant esploda già quest’anno (il terzo è spesso l’anno della consacrazione per le giovani stelle), diventi un top 25 della lega e a quel punto le prospettive potrebbero essere diverse anche per la postseason.

15) New Orleans Pelicans

Ogni anno, una o due squadre finiscono la regular season in maniera particolarmente convincente, e talvolta riescono persino a fare una buona impressione ai playoff; puntualmente, proclami trionfalistici vengono profusi per queste squadre, con previsioni di stagioni sfavillanti e simili. I Pelicans hanno effettivamente concluso alla grande la scorsa stagione, soprattutto grazie alla trade che ha portato CJ McCollum a New Orleans, e hanno dato del vero filo da torcere ai Suns al primo turno.

E sì, è altrettanto vero che hanno fatto tutto ciò senza il prospetto più esaltante che sia mai capitato in NBA dai tempi di LeBron James e che nella sua unica vera annata in NBA ha girato a 27 e 7 di media, prospetto che quest’anno sarà pronto ai nastri di partenza. Ma in NBA non sempre 1+1 fa 2: ad esempio, è possibile (o addirittura probabile) che la presenza di Zion in campo limiti i possessi di McCollum come portatore di palla, o rovini le spaziature. O ancora, possono Zion e Valančiūnas, parte integrante del successo Pelicans della scorsa stagione, coesistere in campo, sia in termini di spaziature che dal lato difensivo?

Qualora Green decida, come pare, di usare Zion in maniera diversa da Van Gundy, saprà Zion adattarsi a un ruolo maggiormente senza palla in mano? Insomma, il ritorno di Zion è una grandissima notizia per New Orleans e per gli appassionati di basket tutti, ma porta con sé anche diverse domande a cui lo staff dei Pelicans dovrà trovare risposta. Certo la rotazione Pelicans sembra essere ben definita e profonda: CJ Mc Collum, Herb Jones, Ingram, Zion e Valanciunas dovrebbero essere gli starters indiscussi, anche se non è detto che lo stesso quintetto sia quello che chiuda le partite.

Ci sono diversi giocatori che, dipendentemente dalla serata, potrebbe ambire a chiudere le gare: Alvarado ha dimostrato di poter attaccare con convinzione il ferro avversario e di saper dare fastidio difensivamente anche ai più grandi nel suo ruolo, Devonte’ Graham rimane uno spot-up shooter di tutto rispetto e può portare del buon playmaking secondario, mentre Trey Murphy III ha lo skill set perfetto per giocare accanto a Zion.

Naji Marshall si scopre sempre un buon tuttofare da fine rotazione e Jaxson Hayes, Larry Nance Jr. e Willy Hernangómez possono portare buoni minuti, sia da 4 (qualora Coach Green decida di andare con un sistema a doppio lungo, come fatto vedere nella parte finale della scorsa stagione) sia da 5. Insomma, di motivi per sorridere a New Orleans ce ne sono e non pochi, rimane solo da sperare che dopo il sabato del villaggio arrivi anche la domenica.

16) Toronto Raptors

Sono stato fortemente in dubbio sulla posizione da dare ai Raptors nel ranking: una parte di me pensa che siano una squadra estremamente solida, con una rotazione 1-6 tra le più forti dell’est, e conoscendo i minutaggi che Coach Nurse riserva alle sue stelle questo potrebbe portare molte vittorie; d’altro canto, le riserve non sembrano essere al livello dei titolari, e il problema che tanto ha afflitto i Raptors nella scorsa stagione, la mancanza di un playmaker in grado di far rifiatare VanVleet, è tuttora presente. Nurse & Co. scommettono forte sullo sviluppo di Barnes, che sarà di fatto la point guard di riserva della squadra: può questa soluzione, certamente valida nel lungo termine, funzionare anche nell’annata che sta per cominciare?

Per quanto abbia messo in mostra flash certamente interessanti, il prodotto da Florida State è ancora lontano dall’essere un prodotto finito ed un creatore di gioco “pulito”: troppe palle perse, troppe decisioni non ottimali, troppa fretta nel far ripartire l’azione. Ho pochi dubbi che in estate Barnes abbia lavorato duramente sul proprio gioco palla in mano, ma non sono certo che abbia già raggiunto il livello “opzione credibile in assenza del play titolare per una squadra da 50 vittorie”.

Come dicevo, nuova annata, vecchi problemi (e punti di forza): il roster è rimasto più o meno lo stesso, salvo fatta l’aggiunta di Otto Porter. È per questo che, tutto sommato, mi aspetto una squadra molto solida e conscia dei propri punti di forza, per quanto limitata in ottica playoff. Prepariamoci dunque alla solita truppa di ali dalle braccia lunghissime e alle difese cervellotiche di Nurse, con un occhio al sopracitato Barnes e Banton.

17) Atlanta Hawks

Discorso simile a quanto fatto per i Timberwolves, solo che sono molto meno ottimista per il best case scenario di Atlanta di quanto non lo sia per quello di Minnesota. Per quanto sulla carta togliere un po’ palla dalle mani di Trae Young sia un passaggio necessario per innalzare il ceiling degli Hawks, l’aggiunta di Dejounte Murray rischia di far cadere la franchigia in uno dei due scenari seguenti: togliere troppo la palla dalle mani di Young, perché non ci saranno modi alternativi per massimizzare Murray, o utilizzare Murray in un ruolo che non è nemmeno lontanamente vicino a quello in cui può mettere in mostra quel che sa fare meglio, col rischio in questo caso di aver affiancato a Trae un partner decisamente non ottimale dal lato offensivo.

L’aggiunta dell’ex Spurs ha reso il roster “da corsa”, nel senso che questa squadra sembra ora indicata a giocatori a ritmi molto alti (Murray, Collins, gli stessi lunghi Capela ed Okongwu sembrano tutti giocatori adatti ad un gioco di transizione): rimane ora da vedere se Nate McMillan sia l’uomo giusto per adattarsi a questo stile o meno. Justin Holiday, Bogdanović, il più giovane dei fratelli Holiday e De’Andre Hunter completano un roster che sulla carta sembra avere la profondità necessaria ad uscire dalle acque torbide della regular season, ma che in realtà potrebbe rivelarsi troppo sottile se la fragilità di alcuni dei suoi interpreti (Capela, Okongwu, Bogdanović e Hunter su tutti) dovesse essere confermata.

La panchina dell’ex Indiana sembra essere una delle più calde dell’intera lega: quando un front office va all-in su un giocatore, è difficile che torni sui suoi passi ed ammetta di aver sbagliato, ed è ovvio che la bontà della stagione di Atlanta verrà definita quasi unicamente dalla bontà del processo di integrazione di Murray. È molto più facile che si decida di far saltare l’uomo seduto in panchina.

18) Chicago Bulls

La stagione di Chicago è iniziata sotto la stessa cattiva stella con cui era terminata la precedente, quella degli infortuni. Le parole con cui Shams Charania ha dato la notizia dell’assenza prolungata di Lonzo Ball non lasciano presagire nulla di buono (“potrebbe tornare a giocare in questa stagione”), e di certo le condizioni di LaVine non lasciano dormire sonni tranquilli. La mia peggior paura per l’offseason Bulls si è rivelata fondata: i tanti infortuni della scorsa primavera hanno immobilizzato il front office (“vediamo prima cosa siamo in grado di fare col roster completo”), che quindi non ha fatto nulla per coprire alcune falle evidenti in ottica playoff.

L’inizio a razzo della passata stagione non deve ingannare: per quanto Vučević abbia dimostrato un’attività più che sufficiente per la Regular Season, rimane un grosso bersaglio per gli attacchi avversari quando il gioco si fa duro. Ciò che spaventa è che al momento le alternative non sembrano essere migliori: Drummond è certamente un’ottima alternativa per la regular season, ma non è un’opzione percorribile ai playoff. Patrick Williams, reduce da un lungo infortunio, sembra essere ancora troppo limitato offensivamente affinché possa guadagnare minuti importanti in primavera. Derrick Jones Jr. può essere un’alternativa in attacco, ma è troppo leggero contro qualsiasi altro 5.

Oltre a questo, tolto Ball il roster sembra essere privo di un comprimari in grado di dare supporto alle due stelle su entrambi i lati del campo. Morale della favola, c’è il rischio concreto che Chicago, primariamente a causa della sfortuna che sembra essersi accanita su Ball, butti via la seconda stagione di DeRozan e LaVine. Nel migliore dei mondi possibili i Bulls partono a mille, riescono a raggiungere i playoff nonostante gli acciacchi, Ball torna in tempo per la postseason e Karnisovas e il front office tutto hanno modo di valutare la bontà (o meno) del loro operato. Ma ci sono anche molti universi in cui i Bulls finiscono nel tritacarne del play-in senza uscirne vivi.

19) Portland Trail Blazers

Comincio dicendo che, davanti al bivio a cui la dirigenza dei Trail Blazers si trovava di fronte (ricominciare da zero scambiando Dame o provando a continuare a costruire attorno a Lillard stesso), io avrei inforcato con convinzione la strada opposta a quella per cui hanno deciso a Portland. I possibili scenari per la stagione che sta per cominciare variano dall’avere vintage Lillard, che con questo roster garantirebbe non più di 45 vittorie, all’avere il Lillard della scorsa stagione, che verosimilmente porterebbe i Trail Blazers pericolosamente vicini alle 30 vittorie, anche senza spegnere giocatori chiave ben prima della primavera.

Il primo dubbio riguarda la pura bontà del roster: Lillard-Simons-Little-Grant-Nurkic è un quintetto il cui risultato è probabilmente minore della somma delle singole parti: problemi di spacing dati da Nurkic/Little, oltre all’assenza di un vero tiratore di movimento; la convivenza del duo Lillard-Simons, sia offensivamente (entrambi rendono meglio con la palla in mano) sia difensivamente (penso non ci sia nulla da spiegare); infine l’integrità fisica di diversi interpreti.

Anche la panchina sembra lasciare a desiderare: Gary Payton II e Josh Hart sono gli unici due giocatori di conclamata caratura NBA, a cui poi seguono diversi punti di domanda (Eubanks chiamato ad essere il primo cambio a 5, l’eterno incompiuto Justin Winslow, un paio di giovani di belle speranze in Keon Johnson e Shaedon Sharpe con esperienza NBA nulla o pressoché nulla alle spalle).

Tradotto: o Dame torna Dame, o Portland è pericolosamente vicina all’avere il peggior roster della lega, ed avrà solamente fatto scendere il valore di Lillard quando arriverà l’inesorabile momento di scambiarlo. Non ho molta fiducia nell’annata della franchigia dell’Oregon, ma non sarebbe la prima volta che Lillard eccede le aspettative.

20) New York Knicks

Forse credo troppo in Jalen Brunson. Forse sono un’inguaribile ottimista. Chiamatemi pazzo, chiamatemi visionario… ma io penso seriamente che i Knicks possano essere una squadra solida quest’anno. Non dico da 50 vittorie, ma ampiamente da 42-43W sì. Brunson-Fournier-Barrett-Randle-Robinson non è un quintetto malvagio, soprattutto se guidato da un coach che in regular season difficilmente delude come Thibodeau (anche perché spremerà le sue stelle fino all’ultima goccia). Quickley, Rose, Grimes, Toppin e Hartenstein sembrano ricambi di buona qualità, e se siete persone dalla fede inattaccabile lo stesso Reddish potrebbe ancora dare una parvenza di giocatore da rotazione.

L’apparato difensivo di New York, sebbene aiutato da percentuali avversarie al tiro da fuori decisamente sotto la media, è sembrato reggere il colpo nelle due passati stagioni. L’attacco confusionario dovrebbe invece beneficiare dell’aggiunta di Brunson, certamente non pagato poco, ma forse nemmeno strapagato come il consenso generale potrebbe suggerire. Molte delle fortune della stagione Knicks passano proprio dal prodotto di Villanova, e da quanto le sue ambizioni o proiezioni di se stesso (non ha mai fatto mistero di ambire a essere un All-Star) possano essere tradotte in realtà.

Certo però anche Thibs farà la sua parte: sarà in grado di fidarsi delle giovani leve e dar loro il giusto spazio? Saprà ridurre il carico di lavoro dei propri titolari in modo da non farli arrivare al giro di boa della stagione regolare già con la lingua di fuori? Le premesse affinché questo roster diventi uno dei più amati dal MSG negli ultimi vent’anni ci sono tutte (ci vuole poco, direte voi).

Vorrei ma non posso

21) Sacramento Kings

Le trade che i Kings hanno compiuto tra gennaio ed oggi hanno un solo significato: vogliono fare i playoff a tutti i costi, impressione rafforzata dall’aver scelto il prospetto più pronto di tutti in Keegan Murray. Ciononostante, non sono per niente sicuro che questa squadra riesca anche solo a concludere nelle prime otto, per non dire nelle prime sei. Di talento sembra essercene e anche a sufficienza, ma il fit è quantomeno dubbio: Fox, Monk e Mitchell sono tre giocatori che possono esprimere il loro potenziale principalmente palla in mano, tuttavia hanno dimostrato di avere difficoltà nel gestire i tempi di un attacco NBA.

Sabonis è un lungo che dà il suo meglio quando è al centro della manovra offensiva, e di certo non apre il campo (problema soprattutto per le lineup con Fox). Huerter, Barnes e Murray, i probabili altri starter, sono giocatori che possono essere considerati comprimari per una squadra da playoff, ma buona parte dei destini della squadra dipenderà dalla chimica tra Fox e Sabonis (difficile da valutare dopo le circa 20 partite giocate insieme) e da quanto i due siano sostenibili dal lato difensivo (spoiler: penso molto poco).

Similarmente a quanto detto poco sopra per Portland, al bivio la dirigenza di Ranadive ha preso la strada opposta a quella che avrei inforcato io, ovvero tenere Haliburton e scambiare Fox. Quando il pesce puzza dalla testa, poco conta che il resto della rotazione sia di tutto rispetto: Terence Davis, Kent Bazemore, Richaun Holmes, Trey Lyles e Metu hanno dimostrato di poter giocare minuti di rotazione di qualità almeno sufficiente in NBA. A prima vista, la squadra sembra fatta un po’ a mo’ di raccolta delle figurine, senza pensare molto a come le caratteristiche dei vari giocatori si amalgamano. Sarei ben lieto di essere smentito, la tifoseria Kings se lo meriterebbe.

22) Charlotte Hornets

L’aver perso Miles Bridges è un duro colpo. Lo sarà per la stagione in corso (diventa davvero complicato immaginare uno scenario in cui gli Hornets riescano a qualificarsi ai playoff), e probabilmente lo sarà ancor di più per gli anni a venire. In Bridges gli Hornets avevano trovato il secondo punto fisso della franchigia oltre a LaMelo, uno la cui timeline coincideva peraltro con l’ultimo rampollo della famiglia cestistica più discussa d’America e il cui ceiling doveva ancora essere scoperto.

Poi è successo quello che è successo quest’estate, e la lega ha giustamente lasciato l’ala grande in un cantone. Le ambizioni per la stagione degli Hornets hanno dovuto dunque essere ridimensionate, e verosimilmente coincidono con i prossimi passi di LaMelo verso la grandezza e con la conclusione di una caccia al tesoro per il ruolo da 5 che dura ormai da troppo tempo. Sarà Mark Williams la risposta cercata dalla franchigia dell’owner più famoso di tutti?

Al di la delle dichiarazioni di facciata che lo vogliono ancora il favorito per il ruolo di riserva di Plumlee, il front office pare aver già abbandonato buona parte delle speranze riposte su Nick Richards, e l’unica vera alternativa pronta all’uso pare essere P.J. Washington, che però ora deve riscoprire il 4 che c’è in lui causa assenza di Bridges (occhio peraltro alla stagione di Wahington stesso in un contract year).

Per il resto, nuova stagione e vecchi dubbi anche per gli Hornets: riuscirà Gordon Hayward a giocare 60 partite? Potrà Kelly Oubre fare il prossimo salto di qualità che molti si aspettavano da lui nel post-bolla? Qualora le risposte a queste due domande siano affermative, potremmo stare qui a commentare le possibilità degli Hornets di uscire vivi dal play-in ad aprile. In caso contrario, sarà il caso che Jordan cominci a pensare a strade alternative per costruire attorno alla propria stellina.

23) Washington Wizards

Non mi fido di Bradley Beal. Su una scala da 0 a 10, di Beal e del suo contratto appena firmato mi fido circa 1. So che la domanda che dovrei pormi è “Riuscirà Beal a tornare ad essere uno scorer da 30 punti a notte?”, ma non riesco ad andare così in là. Mi fermo a “Vorrà Bradley Beal giocare con i Wizards almeno per la prossima stagione?”, e già qui credo di non avere risposte particolarmente accattivanti per i fan della squadra della capitale.

Per il resto, avrei poco da dire su questa squadra: il Porziņģis visto lo scorso anno è certamente in grado di essere la seconda stella di una squadra da fine griglia playoff, e il roster negli spot 3-11 è di tutto rispetto (Morris, Kuzma, Barton, Avdija, Davis, Wright, Kispert, Hachimura e Gafford in nessun ordine particolare). Ma quando la tua prima stella si comporta come un adolescente alla ricerca di se stesso da ormai più di una stagione e il suo sparring partner ha la salute del lettone, capite bene che il castello di carte sembra davvero poter crollare alla prima bava di vento.

Non ho grosse aspettative per la stagione degli Wizards, a meno che Unseld non sia in grado di fare qualche magia. Sono curioso di vedere quel che il miglior giocatore della passata stagione di college basketball, Johnny Davis, potrà portare alla causa Wizards e se riuscirà addirittura a levare il posto a Morris, ma gli spunti finiscono qui o quasi.

Tankapalooza

24) Detroit Pistons

A differenza della squadra di cui abbiamo appena discusso, non vedo l’ora di guardare i Pistons nella stagione che sta per cominciare. Cunningham ha fatto vedere cose spaziali sul finire della scorsa stagione, e Ivey potrebbe essere il suo compagno di reparto perfetto. Se non avete seguito il prodotto da Purdue nella scorsa stagione di college basketball, allacciate le cinture perché vi divertirete non poco (sebbene mi aspetti delle difficoltà in termini di efficienza, perlomeno ad inizio carriera). Bey, Bogdanović e Stewart sono i perfetti pezzi con cui completare il puzzle.

Ho particolarmente apprezzato l’acquisizione di Bogdanović per i Pistons, soprattutto al prezzo a cui l’hanno ottenuto (pressoché zero): il veterano porta spacing, movimento e un’ulteriore opzione palla in mano che non guasta mai. Il modo in cui la franchigia di Motown sta affrontando il proprio rebuilding pare essere quello che ci piace a me: il giusto mix di veterani e giovani, senza esagerare né da un lato né dall’altro.

L’altra prima scelta dello scorso draft, Jalen Duren, pare partire momentaneamente in vantaggio su Noel come backup center a causa dei tanti acciacchi della fu promessa da Kentucky, ma avrà tempo e modo per sbagliare e crescere, mentre Isaiah Livers avrà modo di imparare da uno dei migliori mentori che potesse trovare in Bogdanović. Burks e Joseph porteranno minuti solidi dalla panchina, mentre pare che siamo di fronte all’ultima chiamata per Hayes e Bagley.

25) Orlando Magic

Non vedo l’ora di vedere Banchero all’opera. I Magic hanno, a mio avviso, fatto la scelta corretta prendendo un giocatore in grado di poter fungere da centralizattore di gioco e facilitatore per i compagni. Certo, mettere la propria squadra in mano ad un rookie porterà inevitabilmente ad affrontare difficoltà, perlomeno in fase iniziale, e per questo sono meno positivo sui Magic in vista della prossima stagione di altri: Wagner, Fultz, Suggs e Anthony sono tutti comprimari perlomeno decenti che potranno alleggerire il carico dell’italiano, ma sono altresì giocatori con limiti di creazione evidenti.

L’unica strada per uscire dalla mediocrità pare essere lasciare il tempo per crescere e sbagliare a Banchero, con tutto quello che ciò comporta. Insieme a Paolo, i fari saranno anche puntati sui sophomore: Wagner ha fatto vedere cose davvero interessanti ad Eurobasket, degno seguito di una stagione al di là delle più rosee aspettative. Suggs invece deve riscuotersi dopo un’annata a dir poco deludente, facendo vedere che il giocatore apprezzato a Gonzaga è ancora qui tra noi.

Poco altro per cui essere eccitati in vista della nuova stagione: Wendell Carter Jr. è certamente un centro interessante, soprattutto dal lato difensivo, ma ha i suoi limiti, così come tutti gli altri giovani a roster paiono essere al più giocatori monodimensionali (Okeke e Hampton su tutti). Consiglierei a tutti di dimenticarsi di Jonathan Isaac, che pare ormai un corpo estraneo al roster. Occhio allo stato di forma di Ross e Harris, due che potrebbero far gola a diverse contender nel corso della stagione.

26) Utah Jazz

“What’s going on in Utah?”, direbbe Brian Windhorst. Semplice: Gobert, Mitchell, Bogdanović e O’Neale, tutti via nel giro di una sola offseason. Marchio di fabbrica di Danny Ainge se volete, quello di arrivare e avere il coraggio di premere il pulsantone rosso quando la situazione lo richiede, cosa che la dirigenza mormone forse avrebbe dovuto fare già del tempo fa. Come fu già nel 2006 a Boston, Ainge preferisce non ripartire completamente dal nulla cosmico: ecco dunque un roster con i nuovi arrivati Sexton, Markkanen, Beasley, Olynyk, Vanderbilt, oltre a quelli che già c’erano, ovvero Mike Conley e Jordan Clarkson.

Una piccola truppa di veterani (che immagino verranno comunque gestiti e fatti riposare a dovere, Conley su tutti), della cui interezza da qui a fine stagione non scommetterei molto (sebbene la dirigenza abbia fatto trapelare altrimenti, l’ipotesi scambio per Clarkson è tutto fuorché tramontata), ma che fino a quando sarà presente a roster sarà d’aiuto ai diversi prospetti arrivati quest’estate: Bolmaro e Kessler su tutti, ma occhio anche allo spazio riservato al nostro Simone Fontecchio. Insomma, il bottone rosso è stato premuto, vero, ma i Jazz potrebbero finire per vincerne più del previsto (e, dal punto di vista della dirigenza, del dovuto).

27) Oklahoma City Thunder

Pronti via, Chet Holmgren fuori per la stagione. Meno di un mese fa, la notizia che Shai ha sofferto una distorsione al legamento collaterale ha fatto allontanare ancora di più la prospettiva che la stagione dei Thunder possa avere un qualsiasi significato oltre la mera valutazione della compatibilità dei principali attori (principalmente tra Shai e Giddey, comunque rimandata a data da destinarsi). Anche quest’estate Presti ha accuratamente evitato di acquisire veterani che potessero aiutare la squadra, così da posizionarsi il meglio possibile in vista del prossimo draft, che si preannuncia di quelli da cerchiare in rosso nel corso della storia.

Come detto e stradetto diverse volte, certo questa strategia non paga in termini di sviluppo dei giovani attualmente a roster: avere spazio per crescere non equivale necessariamente a crescere, solitamente si hanno possibilità di riuscita molto migliori quando oltre ai minuti in campo si hanno anche giocatori capaci a roster in grado di mettere i giovani prospetti nella posizione migliore per avere successo.

Quando la condizione di assenza di veterani si presenta per un anno si può parlare di normale reset, di ripartenza dalle fondamenta. Per due anni di fila, può essere che non si siano presentate le condizioni per firmare giocatori funzionali alla crescita dei prospetti. Quando però questa circostanza si ripete per tre anni consecutivi, probabilmente c’è della scienza dietro. Spero nuovamente di sbagliarmi e che i vari Pokuševski, Mann, Dieng e Williams al quadrato riescano comunque a diventare la migliore versione possibile di loro stessi.

28) Indiana Pacers

“Tyrese Haliburton ed altri quattro” potrebbe essere uno slogan riduttivo per la stagione dei Pacers. Sono estremamente curioso rispetto all’utilizzo di Mathurin, fresco di scelta da Arizona: gli verrà preferito tutto l’anno Duarte? Possibile che la taglia del trio Hali-Duarte-Mathurin spinga Carlisle a provarli tutti insieme? Sulla carta, i tre paiono essere estremamente compatibili: tiro, movimento, gestione della palla, difesa, pare esserci tutto. Forse al momento mancano un po’ di chili, ma di certo nei piani immediati di Carlisle non c’è quello di giocare uno schema in cui si cambia 1-5.

McConnell pare ancora destinato ad essere una delle backup point guard migliori della lega, e quest’anno farà da chioccia anche all’ordinato Nembhard (che a mio modo di vedere sarebbe anche stato già pronto per un ruolo da backup point guard in contesti di rebuilding). Smith e Turner completano il quintetto di giovani con profili interessanti, e paiono essere i favoriti a mani basse per il frontcourt del futuro (Smith dovrebbe essere titolare da subito). Sarà curioso capire cosa vorrà fare il front office con Hield e Turner: entrambi paiono avere già un piede fuori dalla porta, ma al tempo stesso possono tornare utili allo sviluppo di alcuni componenti del roster.

Certo, gennaio sarà l’ultima occasione per ottenere qualcosa di valido dal centrone, a meno di pagarlo profumatamente la prossima estate, cosa di cui sono relativamente certo il front office Pacers farebbe a meno. Nota a margine: occhio a Nesmith. Nei rari momenti in campo con i Celtics nella scorsa stagione non mi è dispiaciuto, e la timeline della squadra potrebbe portare Carlisle a dargli più possibilità del previsto.

29) Houston Rockets

Se qualcuno fa un cattivo uso delle proprie capacità mnemoniche, probabilmente si ricorderà che fui abbastanza critico del draft dei Rockets lo scorso anno: ritengo l’aver passato Evan Mobley un peccato capitale che perseguirà la dirigenza texana per molto tempo, nonostante Jalen Green sia uno dei migliori talenti da scorer puro della sua generazione.

Al contrario, quest’anno mi piace molto quanto fatto nella notte di fine giugno dai Rockets: Jabari era una scelta pressoché obbligata, ma si possono sbagliare anche quelle, e soprattutto stravedo per TyTy Washington, che ritengo molto più funzionale a un progetto di rebuilding con diverse bocche da fuoco primarie rispetto a Kevin Porter Jr, che al contrario della guardia da Kentucky pensa prima a se stesso che agli altri. Tari Eason è un altro azzardo che potrebbe pagare dividendi già nel breve termine (le prestazioni in Summer League e preseason sono state di caratura certamente superiore a quelle che ci si aspettano da una scelta numero 17).

Come detto anche per i Thunder, mancano profili di esperienza se leviamo Eric Gordon (che immagino verrà scambiato da qui alla trade deadline) e l’infinita pletora di centri di riserva (Cauley-Stein, Marjanović, Derrick Favors), e ritengo anche che il roster creato sia eccessivamente a trazione anteriore. Però si comincia a intravedere una struttura: Washington, Green, Tate, Smith, Şengün, con profili la cui timeline è allineata al quintetto delineato. Sono molto curioso di vedere cosa faranno i Rockets nei prossimi due o tre mesi.

30) San Antonio Spurs

San Antonio potrebbe avere, sulla carta e in termini di mero talento, il peggior roster della lega. Non che sia un problema, anzi, dopo anni di mediocrità un reset totale (che peraltro equivale all’aver scambiato il solo Dejounte Murray) era quasi d’uopo. L’unica cosa che avrei gestito diversamente da quanto fatto da R.C. Buford è nello spot di playmaker, dove avrei preferito un profilo di esperienza al pur valido Tre Jones (per cui personalmente stravedo, ma che non vedo ancora pronto per guidare un attacco NBA).

Il filo rosso della stagione sta nella ricerca del primo violino, figura probabilmente non ancora presente a roster: chi prenderà la quantità di tiri lasciati da Murray? Keldon Johnson e Devin Vassell sembrano in prima linea per ragioni diverse (il primo per inclinazione personale e carattere, il secondo per mera anzianità di servizio rispetto ai colleghi oltre che per flash fatti intravedere nel passato recente), ma occhio anche a Malaki Branham, che potrebbe risultare essere il miglior scorer dei tre. Per il resto, fari puntati su Josh Primo e Jeremy Sochan, oltre che ultima chiamata per il treno Romeo Langford. Il casting per il posto da primo violino nell’orchestra Spurs è aperto.

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Andrea Bandiziol
Andrea, 31 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di True Shooting vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora.